di Alessandra Savino
<<La medicina è mia moglie, la letteratura la mia amante>>. Rubo a Niky D’Attoma la citazione di Anton Pavlovic Cechov per introdurre la sua intervista presso gli spazi di Asteria Space. Non potrei trovarne una più adatta alla circostanza. Un incontro di quelli che ti arricchiscono, con una di quelle menti poliedriche e accattivanti. E, senza farlo apposta, di quanto gli incontri siano fondamentali per uno scrittore ne abbiamo parlato in questa lunga chiacchierata. Niky, studente di medicina e scrittore, mi ha fatto ‘assaggiare’ un po’ della sua scrittura, del mondo e dei personaggi che la popolano. Un mix di fonti che spaziano dalla tragedia greca al fantasy, passando per la storia e l’attualità contemporanea, senza dimenticare di far partire una playlist su spotify. Auricolari alle orecchie e si comincia a scrivere. Immagino Niky così mentre porta a termine l’ultimo libro a cui sta lavorando.
Qual è stata la tua prima pubblicazione?
Si tratta di una pubblicazione antologica a cui sono molto legato perchè in lingua francese. S’intitola “Cahiers Européens de l’Imaginaire e al suo interno è contenuto un mio scritto “La chambre au début du monde”. Il mio nome appariva accanto a quello di personalità come Bauman. Avevo scritto un racconto surreale sul tema dell’amore, in italiano e poi tradotto in francese. È stata una bella esperienza. Avevo conosciuto Vincenzo Susca che insegna Sociologia dell’immaginario all’Università di Montpellier in occasione della presentazione del suo libro a Bari. Gli chiesi di leggere alcuni miei lavori e lui scrisse l’introduzione alla mia prima pubblicazione in assoluto.
Parlando di quest’ultima, come la definiresti?
Era un piccolo esperimento, una raccolta di racconti. Si intitolava “Stelo di sangue”. La considero la pubblicazione numero zero. Poi ho conosciuto la mia casa editrice che mi ha invitato a fare parte di una raccolta di racconti sul tema del lavoro. A loro ho presentato la bozza di “Rio”.
Quanto ritieni siano importanti gli incontri per uno scrittore?
Sono fondamentali. Ci pensavo proprio questi giorni mentre mi chiedevo di cosa avremmo parlato durante questa intervista. Credo che quello che facciamo dipenda molto dalle persone che frequentiamo quotidianamente. Un progetto come quello sulle donne amazzoni (“Io sono un’amazzone”) è legato agli incontri che fai poiché sulla base della persona che intervisti scrivi. Vieni necessariamente a patti con quello che incontri nel bene e nel male. Ci sono alcuni incontri che ti insegnano cosa non fare ed altri, invece, ti dicono in quale direzione andare. Non sei la stessa persona dopo gli incontri che hai nella vita. È un concetto su cui ha insistito molto il professor Di Natale con cui ho collaborato nel 2016 quando mi chiese di svolgere un seminario per i suoi studenti della specialistica nel corso di Ermeneutica Filosofica. Mi chiese di parlare dell’ascolto partecipai a delle discussioni ex cathedra molto informali e poi organizzai una performance teatrale in cui protagonista era proprio l’ascolto. Dialogo, incontro e ascolto sono alla base di tutto secondo me.
Parlando di teatro, pensi che i tuoi libri possano avere una trasposizione teatrale?
Assolutamente sì. “Rio” è costruito come se fosse una sceneggiatura teatrale: ci sono dialoghi, monologhi, note di regia. Anche “Io sono un’amazzone” si presta moltissimo perché ci sono diverse parti dialogate, è come se fosse rivolto più ad uno spettatore che ad un lettore. In quel romanzo ci sono donne, ma anche uomini, i mariti, e poi ci sono anche io come occhio che guarda.
Da cosa ti vengono suggeriti i temi dei tuoi libri?
Dipende, non c’è una metodologia che si ripete. I racconti brevi nascono come situazioni che si evolvono un po’ come fuochi d’artificio con un inizio, una fine e svolgimento. Possono trarre ispirazione da un incontro, un dialogo, una mostra, un’immagine, un’opera d’arte, qualunque cosa. Invece, i testi più lunghi hanno una gestazione più complessa però questo è anche il bello perché in questi possono rientrare diversi temi. Ad esempio in “Rio” troviamo il tema della migrazione, quello della memoria, della difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo e, quindi, dell’integrazione. Un tema che si ripete spesso nei miei scritti è anche quello della consapevolezza di sé.
Ci sono delle fonti a cui attingi per i tuoi lavori letterari?
Sì certo. Moltissimo conta la musica che mi suggerisce l’atmosfera. Per esempio “Io sono un’amazzone” non ha un sommario ma ha una playlist perché ad ogni capitolo ho dato il titolo di una canzone. Questo serve in parte a distrarre dal tema principale, in parte ad indicare un’atmosfera differente. Ci sono state persone che hanno letto il libro basandosi sulla playlist dicendomi che avevano avvertito la differenza da un capitolo all’altro poiché si erano resi conto che c’era un ritmo che cambiava a seconda della musica.
Parliamo del nuovo libro a cui stai lavorando…
Il nuovo lavoro include l’attenzione nei confronti dell’attualità e delle grandi tematiche del nostro tempo, ma anche la distopia, il fantasy, perché non volevo che fosse un lavoro iperrealistico. Diciamo che tutto parte dal fatto che molti di noi da bambini andavano a letto ascoltando le fiabe che venivano raccontate. Poi la mattina ci si svegliava e si andava a scuola. Se, invece, ci avessero raccontato le fiabe al risveglio, all’ora di colazione, forse avremmo avuto un approccio differente nei confronti della vita, poiché quello che manca, secondo me, è l’immaginazione, l’immaginazione come motore che spinge al cambiamento.
Qual è il ruolo dell’elemento fantasy?
Se non posso immaginare di poter fare qualcosa non lo farò mai. Se la nostra immaginazione è annichilita, quindi, saremo come criceti in gabbia. Da qui nasce l’idea del fantasy, nonché il recupero della mitologia e, dunque l’irruzione del magico nella vita reale. Sono stato guidato da una scrittrice di fantasy, Ursula Le Guin la quale affermava: <<la verità è questione di immaginazione>>. Non c’è un solo piano attraverso cui leggere la realtà e questo può variare la nostra percezione della verità. L’immaginazione è anche una protezione. Se immaginiamo non siamo perduti, siamo più consapevoli.
Parlavi di fiabe raccontate ai bambini…ce n’è una che ti ha ispirato maggiormente?
Uno dei libri che leggevo da bambino è “ll Mago di Oz” che ho riletto da adulto con occhi diversi. È un libro che ha avuto varie interpretazioni: c’è chi ha visto una satira sulla politica economica americana. Leggendolo da un altro punto di vista, Dorotea, la protagonista, altro non è che un’anarchica. Ho pensato che lei potesse essere il simbolo di un approccio alla vita, da un lato disincantato e dall’altro molto guidato da sogni e desideri. Dorotea è una sorta di divinità e nel momento in cui si manifesta la vita delle persone cambia. Attenzione, però, quando parlo di Dorotea come anarchica lo faccio da un punto di vista filosofico perché comunque la condanna di ogni forma di violenza per me è fondamentale.
Altre fonti hanno ispirato quest’ultimo lavoro?
Il nuovo libro si compone di tre parti ambientate in tre luoghi diversi in cui le storie principali si ripetono nella prima e nella terza. Non si tratta di una riscrittura del Mago di Oz ma i personaggi sono ispirati ad alcune figure del noto romanzo. Poi nel mio libro c’è anche la tragedia greca. Ho cercato di costruire i personaggi anche basandomi su alcune icone ‘pop’ della nostra epoca.
Che tempistiche hai per la scrittura di un libro?
Molto varie. Ci sono lavori iniziati, terminati e mai più ripresi, altri che, invece, ho continuato a riscrivere nel tempo. Un esempio ne è il testo della performance teatrale sulla cena dei morti che ho messo in scene al Torrione di Bitonto. Un testo cominciato nel 2013 che ho ultimato di recente. Ora sto lavorando al nuovo libro da circa un anno e mezzo.
Nella stesura delle tue opere ha influito il tuo percorso di studi in medicina?
In parte sì perché mi ha reso più comprensibili alcuni concetti. La medicina è fatta tutta di incontri. Essere uno studente di medicina di porta ad incontrare gente che ti chiede spiegazioni, chiarimenti. Gente che ti racconta cose personali, intime, che devi saper ascoltare e comprendere.
Hai mai pensato a come conciliare l’attività di scrittore e quella di medico?
C’è sempre la citazione di Čechov che aleggia su di noi: <<la medicina è mia moglie, la scrittura la mia amante>>. Io non penso alla scrittura come evasione, però, perché non ho mai vissuto gli studi scientifici come gabbia. Anzi, in un breve anno in cui mi sono iscritto alla facoltà di Lettere, ho percepito quella come prigione poiché trovavo molto oppressivo l’approccio accademico alla Letteratura. La medicina per me non è qualcosa da cui evadere, bensì qualcosa che accompagna. I momenti di maggiore stress sono stati anche i momenti di maggiore creatività per me. Questa è una delle poche costanti della mia vita. Lo stress è una condizione che libera la mia creatività. I momenti di quiete, di pace, ci devono essere però non sono quelli che stimolano la mia scrittura.
Qual è per te il momento e luogo ideale per scrivere?
Mi sono abituato a scrivere direttamente su pc, a volte anche su Whatsapp. La cosa fondamentale è che ho sempre le cuffie alle orecchie per ascoltare musica mentre scrivo. Ho intere play list di brano che mi portano ad immaginare e a scatenare la fantasia.
Tre brani di questa playlist che hanno ispirato l’ultimo libro?
Te ne indico anche quattro:
- Emerald Rush – Jon Hopkins https://youtu.be/zKwdkNQ6a5Y
- Apparat – Ash/Black Veil https://youtu.be/efZDW5hfFSI
- Zbigniew Preisner – Fashion show I https://youtu.be/1ztoUD6-c7s
- Kate Bush – King of the Mountain https://youtu.be/F8xk_AkeP5c