di Alessandra Savino
Tra gli artisti che si sono raccontati nel salotto di Asteria Space c’è Paolo Cilfone, personalità creativa lontana dal mainstream. Con un passato da pubblicitario al fianco di Oliviero Toscani, ha fatto del teatro la sua scelta di vita abbandonando le esperienze pregresse. Di come abbia maturato questa importante decisione, quale sia la sua idea di teatro e del lavoro che c’è dietro il suo spettacolo “Bianco Sangue”, ci parla in questa intervista.
Come è avvenuto il tuo incontro con in teatro?
Io in realtà nasco da tutt’altra parte, come fotografo e grafico pubblicitario, circa vent’anni fa. Vivevo a Milano e ho lavorato all’interno dello studio di Oliviero Toscani dove ho maturato una forte esperienza nell’ambito della pubblicità lavorando soprattutto nell’ambito della Benetton. Però il teatro era dentro di me sebbene assopito perchè ero impegnato su quell’altro fronte. Era dentro di me e mi turbava. Lo stesso Oliviero Toscani mi disse che quello non era il mio posto e mi chiese cosa ci stessi facendo lì perché per lui sarei stato un bravo teatrante. Così decisi di far domanda ai residenziali di Dario Fò e Franca Rame e fui accettato sebbene non avessi alcuna preparazione teatrale. Quella è stata l’esperienza da cui sono nato come studioso di teatro sperimentando l’ambito registico. Fino ad allora non volevo salire sul palco come attore per cui mi sono dedicato alla regia, anche cinematografica facendo dei backstage con Ferzan Özpetek e Sergio Rubini. Poi è arrivato il momento in cui ho fatto una scelta di vita netta, ho lasciato tutto per dedicarmi solo al teatro e alla scrittura per il teatro.
Quando hai deciso di salire poi sul palcoscenico?
Con l’ultimo spettacolo che ho scritto sono entrato in scena. Tendenzialmente la parte registica è quella in cui mi sento più a mio agio, tuttavia dentro di me c’è sempre quest’altra voce, quest’ anima attoriale che mi ripete sempre di salire sul palco.
Hai mai pensato di fondare una tua compagnia teatrale?
Ci sto pensando anche se mi frena molto il discorso di affiancarmi ad altri attori. Anche a livello registico tendo più a scrivere testi che metterei in scena io stesso.
Quale è stato il primo spettacolo che hai scritto o interpretato?
Si trattava di una lettura scenica, “Giobbe”. Io adoro il teatro sacro. Andò in scena al Teatro Forma di Bari con il coinvolgimento di altri attori. Poi mi sono fermato per un po’ finchè è arrivato il lavoro, abbastanza complesso, su “Bianco Sangue”, iniziato circa quattro anni fa.
Tutto è cominciato con un libro…
Si è esatto, è stato un lavoro a più riprese, accantonato diverse volte per poi pubblicarlo. Non volevo una casa editrice perché sostengo l’idea del battitore libero ma alla fine ho dovuto sceglierne una e mi sono affidato alla FaLvison Editore di Bari che mi ha accolto a braccia aperte sposando questo progetto. Il testo è stato, poi, messo in scena per la prima volta ad aprile di quest’anno presso il Teatro Duse di Bari con un discreto successo di critica e di pubblico. Mi posso ritenere soddisfatto.
Il testo è nato già con l’idea di essere messo in scena, dunque?
Si, io scrivo già sapendo che quel libro diventerà uno spettacolo. Quindi chi lo legge deve immaginare pause, momenti di riflessione che sono propri del teatro. E’ comunque un libro che può essere letto in maniera scorrevole perché ho cercato di rendere semplice un tema complicato come quello dell’aborto. In ogni caso io scrivo già immaginando la scena.
Il titolo “Bianco Sangue” a cosa allude?
Nella mia metafora esprime il concetto di qualcosa che è sbiadito ma non spento. Il sangue ha un colore molto forte, il bianco è un qualcosa che scolorisce nella pittura però se lo vai a diluire non scolorisce completamente. Quindi rimane un segno, quello dell’aborto, che può anche essere dimenticato ma rimane.
Da quante persone è composto il cast dello spettacolo?
In scena siamo in tre, poi c’è Luciano Tarantino che è un violoncellista perché è prevista una parte musicale da vivo. Tutto deve essere empatico. I miei lavori teatrali sono tendenzialmente sempre brevi, con una durata media fra i cinquanta minuti e un’ora, impregnati su parola e musica.
Che tipo di scenografia hai scelto?
Abbiamo deciso di lavorare molto sulla scenografia corporea, sull’espressione del corpo che nel mio teatro riveste un ruolo centrale. Non utilizzo generalmente una scenografia classica fatta di oggetti, preferisco più una scenografica basata su atteggiamenti, sull’immaginazione da parte del pubblico suggeritagli da qualche immagine. Il fondale nero utilizzato da risalto a tutti i movimenti del corpo e alla gestualità ma non ha un valore simbolico.
Hai progetti futuri?
Sicuramente continuare a lavorare su “Bianco Sangue” e poi ho molte altre idee per la testa in ambito teatrale. Per quanto riguarda altri settori artistici, ho diversi progetti di installazioni video e corti video. Ma ho impiegato tantissimo tempo per capire che il mio mondo è quello del teatro e vorrei continuare a focalizzarmi su quello
Ti dedichi anche alla formazione in campo teatrale?
Si, tengo laboratori per adulti e bambini. Infatti, negli anni ho imparato che ci sono aree del cervello che non cambiano per cui le problematiche da affrontare grosso modo restano le stesse ad ogni età. Non sono laboratori teatrali tradizionali ma laboratori di tecniche teatrali per affrontare la quotidianità. Si tratta di un teatro molto psicologico, introspettivo.