di Alessandra Savino
Reduce del recente successo riscosso presso il Teatro Treatta di Bitonto con la messa in scena di due atti cecoviani, “L’Orso” e “La proposta di matrimonio”, il regista romano continua a portar avanti tenacemente la sua mission. Grossi era giunto nella vivace città pugliese, dopo dieci anni al fianco di grandi nomi del teatro quali Glauco Mauri e Roberto Sturno, con l’obiettivo di fondare una sua compagnia teatrale di professionisti, tali da farsi strada in quel magico e complesso mondo che si cela dietro il sipario. La sua Compagnia Urbana, giorno dopo giorno, si arricchisce di nuovi talenti fra cui i giovanissimi Emanuele Porzia, Francesco Santoruvo e Anna Jolanda Trovato, interpreti sul palcoscenico bitontino delle commedie del drammaturgo russo, inframezzate da Grossi con una scena dell’ ”Amleto” shakespeariano.
Marco, Come mai ha scelto Cechov e qual è la tua chiave di lettura delle sue opere?
Uno dei motivi per cui abbiamo deciso di portare in scena le commedie cecoviane è il fatto che sembrano molto semplici nella loro costruzione ma in realtà hanno una complessità che definirei ‘dinamica’. Queste due scene si svolgono all’interno di un tessuto sociale benestante. Cechov all’epoca aveva centrato già il problema dell’egoismo dell’uomo, anche nell’ambito dell’amore. Ne “L’Orso” tutto nasce da un discorso economico e dall’economia si passa alla trappola della donna in cui cade l’uomo. Tutto è riconducibile ai soldi. Abbiamo fatto una scelta particolare mantenendo gli stessi personaggi in tutti e due gli atti perché mi piaceva l’idea che il personaggio maschile incontrasse una donna nel primo atto dalla quale avrebbe avuto una figlia da maritare nel secondo. La figlia è vista come un problema per il padre. I problemi sono trattati da Cechov con ironia tenendo conto che sono testi dell’’800 che hanno ancora una vivacità e una brillantezza. Bisogna avere la capacità di metter in piedi un meccanismo tale che il testo, benchè datato prenda sempre nuova linfa. Cechov lo ritengo un autore assoluto perché lui cambia totalmente la narrativa, la modernizza. Non dà modo ai personaggi di sfuggire alla loro responsabilità di raccontare una storia.
Cosa, secondo te, rende Cechov così attuale?
La sua capacità di mettere in mostra i difetti dell’uomo. Poi affronta tematiche e sentimenti che restano vivi nel tempo. I rapporti difficili fra le coppie sono una costante: sono coppie che si scontrano come accade nel quotidiano. Lui ha centrato questo meccanismo rendendolo in qualche modo ironico, plausibile, vero.
Quanto è importante la gestualità sulla scena?
Sui gesti stiamo lavorando molto perché l’azione deve incidere. A me è stato insegnato che l’azione deve essere fatta per un motivo e non deve essere mai casuale. Son proprio i gesti che rendono incisivo uno spettacolo. Cechov dà la possibilità di sfruttare la gestualità. Io ho avuto la fortuna di lavorare con una persona che era stata allievo di Jacques Lecoq, uno dei più grandi mimi al mondo. Lui mi insegnò tutti questi trucchi scenici. Ogni gesto per lui era un racconto. Nei due atti cecoviani che ho messo in scena, grazie all’uso dei gesti, i personaggi, pur nella loro follia, diventano credibili.
L’idea dell’intermezzo shakespeariano da dove nasce?
Francesco Santoruvo, l’interprete maschile della scena di Amleto, aveva bisogno di impattare con il pubblico, rompere il muro della timidezza, perché era alla sua prima esperienza sul palco e un personaggio come Amleto consentiva di farlo. Inoltre, Shakespeare legava le due visioni grottesche in un momento tragico del rapporto. Volevo ricordare al pubblico che oltre il lato grottesco dell’amore c’è anche quello più drammatico. La scena di Amleto e Ofelia sacrifica l’amore affinchè sia portata a termine la vendetta. Mi piaceva mettere qualcosa di forte fra i due atti ironici.
E ora, qualche domanda agli attori…
Jolanda, parlami dei due personaggi che interpreti: cosa li contraddistingue?
Sono due personaggi totalmente diversi fra loro e questo mi piace molto perché mi permette di essere un’attrice versatile. In poco tempo mi impegno a cambiare completamente perché quella del primo atto è una vedova, particolarmente chiusa dopo la morte del marito. Mentre la donna che appare nel secondo atto è alla disperata ricerca di un marito. E’ molto vanitosa e cerca di attrarre l’attenzione degli uomini. Il suo carattere vivace e battagliero le impedisce, però, di conquistare colui che è giunto per chiedere la sua mano.
In entrambi i personaggi emerge un carattere esplosivo che si evince a partire dalla voce squillante della donna: questo è un dato caratteriale tuo oppure è uno studio che hai fatto per l’interpretazione?
Credo di avere una voce abbastanza squillante da quello che mi dicono e mi piacere farmi ascoltare, ma non mi riconosco in nessuna delle due donne che interpreto. Però e mi sono divertita molto nel provare qualcosa che non mi appartiene.
Hai rivestito il ruolo di due donne mature e hai quindici anni, come è stato?
Ero particolarmente in tensione per la prima, la vedova, molto lontana dalla mia età. Nella seconda mi sono sentita più a mio agio perché si trattava di un personaggio che sentivo più vicino. Sono felice di essere riuscita ad allontanarmi da me stessa entrando in situazioni che sono lontane dalla mia quotidianità. Il passaggio da vedova a donna in cerca di marito è stato divertente.
Passiamo ad Emanuele: come hai costruito i due personaggi che interpreti? in loro c’è qualcosa di tuo?
Nella prima parte dello spettacolo ho vestito i panni di un vecchio, Luka, che da sette mesi ascoltava ormai la stessa ‘canzone’ cercando di spronare la Popova (Anna Jolanda Trovato) a riaprirsi al mondo. Nel secondo atto ho interpretato, invece, un uomo alla disperata ricerca di una sposa. Dall’incontro con quest’ultima vien fuori una coppia molto interessante poiché lui e la donna (la Popova) sono molto più simili di quanto si possa immaginare. Entrambi hanno caratteri molto difficili. Sebbene il mio sia un personaggio insicuro, durante il litigio con la donna, cerca di far valere la sua tesi ad ogni costo. E’ un uomo svantaggiato dai problemi cardiaci che lo portano anche allo svenimento. Devo dire che ho messo qualcosa di mio soprattutto nel primo personaggio più che nel secondo. Luka è molto critico e c’è stato un lavoro molto impegnativo alle spalle. Il primo problema è stata la voce perché non sapevo come fare. Il secondo, invece, lo sentivo più vicino a me.
Anche la gestualità dei tuoi personaggi è stata molto curata…
Certo, perchè dovevamo interpretare personaggi d’epoca. Oggi siamo abituati a gesti molto frequenti mentre in quei contesti del passato si tendeva ad una gestualità molto più pacata. Il ventaglio che uso in scena è stata un’idea casuale perché lo portavo durante le prove e Marco ha poi pensato di inserirlo.
In ultimo, Francesco, ti abbiamo visto sul palco nelle vesti di Amleto: come sei riuscito ad interpretare un ruolo violento pur avendo un carattere così pacato?
In realtà è stato proprio questa diversità che mi ha aiutato. Quando hai una tranquillità di fondo, nel tempo finisci per trattenere qualcosa dentro di te. E nell’incontro con il teatro si ha l’opportunità di lasciare andare tutto ciò che hai trattenuto nel corso del tempo. Nonostante ciò ho avuto qualche difficoltà e Marco mi rimproverava di essere fin troppo <<principesco>>. Per capire cosa significasse lavorare con la follia ci siamo ispirati al personaggio del Joker di Batman. Quella era una base su cui iniziare a lavorare ma Amleto è qualcosa di diverso, è un principe. Il bello di aver interpretato nella serata precedente Marcantonio ha fatto si che tirassi fuori tutte le emozioni represse oltre relazionandomi con qualcosa mai provata.
Comments 1
Mi ripropongo di assistere alle prossime rappresentazioni.Interessante e incisivo.