di Francesca Pastoressa
Che il mondo dell’arte e quello della moda siano legati tra loro da un rapporto simbiotico e indissolubile lo aveva capito Marc Jacobs, quando ancora reggeva la direzione creativa del brand di lusso Louis Vuitton. Non indifferente al fascino dell’arte contemporanea e alla sua potenziale influenza sul fashion, a partire dal 2003 Jacobs diede vita ad una serie di collaborazioni che segneranno la storia del marchio di lì a venire, fino a far diventare il connubio arte-moda uno dei suoi tratti distintivi e irrinunciabili, anticipando anche un po’ quel clima di reciproca ossessione che ha portato negli anni molti artisti e direttori creativi dapprima a scrutarsi con circospetta curiosità, poi a strizzarsi l’occhio in segno d’intesa. A stringere la mano a Louis Vuitton, durante gli anni dello stilista americano, sono stati artisti del calibro di Takashi Murakami – il cui sodalizio con la casa di moda durò ben dodici anni – Richard Price e Cindy Sherman. Risale al 2012, però, una delle collaborazioni più fortunate, nonché uno degli incontri più felici tra arte e moda: quello con l’artista giapponese ultranovantenne Yayoi Kusama.
Yayoi Kusama, nata a Matsumoto, in Giappone, nel 1929, si avvicina all’arte sin da subito, trovando in essa il giusto rifugio dalle allucinazioni uditive e visive che non l’abbandoneranno mai. Figlia di possidenti terrieri, i genitori non accettavano la sua passione per l’arte, tanto che sua madre distruggeva i suoi disegni prima che potesse terminarli: ecco perché i protagonisti indiscussi delle sue opere, ripetuti fino allo sfinimento, sono i pois, semplici e veloci da disegnare. Presto il rigore formale dell’arte giapponese comincia a starle stretto, così, dopo uno scambio epistolare con la pittrice americana Georgia O’Keeffe, nel 1958, alla ricerca di nuovi stimoli, decide di trasferirsi negli Stati Uniti, terra promessa per gli artisti che volevano avvicinarsi alle correnti dell’Espressionismo, della Pop Art e dell’Action Painting. Qui, però, la giovane Yoyoi si scontra con una realtà diversa da quella che aveva sperato di trovare: nella Grande Mela lei rappresenta soltanto un’ostinata eccezione in un mondo fortemente maschilista, in cui, oltretutto, era guardata con diffidenza anche per le sue origini. La determinazione la porta a sopportare in silenzio quei primi anni americani vissuti ai margini della società, sotto gli occhi indifferenti e a tratti sprezzanti di chi stentava ancora a riconoscerne le potenzialità che faranno poi di lei l’artista che oggi conosciamo.
Poco a poco, però, quel mantello di invisibilità da cui era stata coperta durante la prima parte di questo suo soggiorno newyorkese cominciò a squarciarci, tanto che alcune delle grandi tele monocromatiche realizzate in quegli anni furono esposte alla galleria Brata – allora trampolino di lancio per molti artisti – e notate dal critico John Donn, il cui consenso le aprì le porte del successo. Da allora, infatti, finalmente riuscita a conquistarsi l’appellativo di rivoluzionaria tra i membri dell’avanguardia artistica nel nuovo continente, non si è mai più fermata e le sue opere a pois (e non solo) cominciarono a trovare spazio in molte gallerie. Quando nel 1975 decide di tornare in Giappone, la sua fame è ormai consolidata e capace di resistere alle insidie del tempo, tanto che la sua arte arriva fino ai giorni nostri, con le sue opere esposte in vari musei importanti a livello mondiale in mostre permanenti, come il Museum of Modern Art di New York, il Walker Art Center di Minneapolis, il Tate Modern a Londra e il National Museum of Modern Art di Tokyo. Si fa conoscere al mondo non solo per la sua arte, ma anche per importanti collaborazioni, tra le quali, ad offrirle un’importate occasione per accrescere la sua notorietà, quella con Marc Jacobs.
È il 2012 quando una Yayoi Kusama, che non ha più certo bisogno di presentazioni, sente la necessità di guardare altrove e spostare la sua sfera d’influenza verso mondi fino a quel momento inesplorati, come quello della moda. Ed è così che, in una collaborazione che è passata alla storia, le creazioni più iconiche di Louis Vuitton – dalle borse agli accessori di pelletteria, fino a delle scarpe decolleté e un trench di plastica – sono state rivisitate con i motivi protagonisti dell’artista giapponese: non solo i pois, ma anche le zucche e i nervi biomorfi. Oggi, Louis Vuitton ha invitato la celebre arista nipponica a risvegliare e allo stesso tempo ampliare quel florido scambio artistico iniziato dieci anni fa, ideando una nuova capsule collection di oltre quattrocento articoli – alcuni dei quali sono stati svelati in anteprima durante la sfilata Cruise 2023 andata in scena lo scorso maggio al Salk Institute di San Diego –, in cui vengono rielaborate le silhouette più iconiche dei direttori creativi successivi a Jacobs: Nicolas Ghequière e Virgil Abloah.
Se la prima parte del sodalizio evocava un mood anni ’60, la nuova collezione invece ha un taglio decisamente più urban, con lo storico monogramma alternato a pois dai contorni poco definiti – ricreati con una particolare tecnica seriografica, che riproduce le pennellate di Kusama, dando vita a un effetto 3D dipinto a mano straordinariamente realistico –, che ricoprono ogni superficie in file regolari, creando pattern quasi ipnotici. Non solo, in omaggio alla storica installazione “Narcissus Garden” di Kusama – che fece il suo debutto nel 1966 in occasione delle Biennale di Venezia, quando ben 1500 sfere specchianti furono installate davanti al Padiglione Italia, sotto la scritta “Your narcissism for sale” – a adornare alcune creazioni della nuova collezione ci sono anche delle sfere metalliche di varie dimensioni e applicate a mano.
In occasione di questa seconda, tanto attesa collaborazione con Kusama, Louis Vuitton sta ridisegnando i propri store: dal civico 101 delle Champs-Élysées – dove una gigantesca scultura dell’artista nipponica abbraccia l’edificio del flagstore parigino intenta a disegnare pois per tutta la parete – passando per la 5th Avenue di New York e gli Harrods di Londra, arrivando poi anche a Tokyo, dove sono stati realizzati spazi immersivi dedicati per tutta la città. A Milano lo scorso 6 gennaio la maison francese, con l’incombente arrivo della settimana della moda, ha inaugurato uno spazio dove lo shopping si mixa all’arte, in un progetto che esalta la visione e la filosofia di Kusama con un allestimento totalizzante. Così l’ex Garage Traversi in via Bagutta – già utilizzato dal brand durante il Fuorisalone, per esporre la mostra Louis Vuitton Objects Nomades – si è trasformato in un concept store: se al piano terra e al secondo piano è possibile trovare le collezioni uomo e donna del marchio, il primo piano sarà dedicato a degli allestimenti speciali come l’attuale pop-up incentrato sulla collaborazione con l’artista giapponese.
Anche l’esterno dell’edificio parla la stessa lingua di Yayoi: la facciata presenta delle vetrine con il tema Infinity Dots, mentre sulla terrazza dominano tre enormi zucche dai colori accesi, ispirate al tema pumpkins caro all’artista. Non solo, la città non ha rinunciato a farsi attraversare dal flusso creativo che deriva dalla collaborazione, celebrandola attraverso animazioni che troviamo passeggiando nei dintorni dello store meneghino: se in piazza San Babila, antistante all’edificio, tre sculture a forma di zucca, realizzate dallo studio Kusama, svetteranno fino al prossimo 13 febbraio su altrettante colline progettate per l’occasione dall’architetto Caccia Dominioni; poco distante di lì, è anche possibile imbattersi in un singolare chiosco di fiori vestito di pois.
Insomma, negli ultimi mesi le città di tutto il mondo si sono riempite di colori grazie all’irruenta forza creativa della Kusama; quello stesso mondo che, in fondo, come lei stessa dice, non è altro che «un piccolo pois dell’Universo».