di Benedicta Rizzi
Quando ho scelto di dar vita a questa idea e di creare una rubrica che raccontasse le donne pugliesi che hanno reso la nostra regione florida di sapere artistico al femminile, ho pensato subito di citare e narrare le storie delle donne più famose, del passato e del presente della regione in cui sono nata: pittrici, attrici, ballerine, cantanti, fotografe, per narrarne la loro vita oltre il sipario.
Un lumicino si è acceso proprio mentre pensavo e ripensavo di quale donna potessi scrivere per inaugurare questo spazio: una ballerina? una cantante contemporanea? una attrice importante? A cosa volevo dare risalto, alla storia, alla carriera, alla risonanza storica che hanno avuto nella società, alla loro fama?
Ho scelto di non costruirmi etichette e di lasciare emergere da una ricerca approfondita la scelta che mi avrebbe condotto a narrare la prima donna di questo meraviglioso spazio che ho deciso di chiamare “Pugliese al Femminile”.
Da sempre mi piace scovare nelle storie delle persone, sono una curiosa per natura, amo in particolare le storie di chi ha dato lustro ad un progetto, ma per forza di cose, il tempo ha cancellato la memoria della loro arte e dell’infinita bellezza generata.
Quando mi sono imbattuta nella storia di Franca Maranò, ho letto da subito un grande paradosso nella sua vita, dopo la sua morte: oltre ad essere una delle prima artiste ad aver fatto uso della materia tessile nella sua arte, Franca Maranò diede anche vita al primo polo dedicato all’avanguardia creativa della città di Bari, ma figura tra le donne artiste dimenticate.
Il centro di cui parlo fu fondato nel 1970 per volontà di sei artisti: Umberto Baldassarre, Mimmo Conenna, Sergio Da Molin, Franca Maranò, Michele Depalma, Vitantonio Russo. Centrosei, questo il suo nome, nacque come Associazione Culturale, e ha svolto nei decenni Settanta e Ottanta, accanto alla Galleria Marilena Bonomo, un importante ruolo di sostegno e divulgazione delle ultime tendenze avanguardistiche delle arti visive.
Inoltre, la Galleria, che era ubicata in uno spazio nel lato nord del Teatro Petruzzelli, ha promosso e valorizzato numerosi artisti pugliesi emergenti, da sempre mortificati per il vuoto critico, informativo e strutturale che circonda il lavoro dei giovani e degli artisti meridionali in particolare.
Quando fu fondato il Centrosei Franca Maranò aveva già alle spalle un curriculum denso di esperienze pittoriche e scultoree. Fu affiancata e tenacemente sostenuta dal marito Nicola De Benedictis che, dopo lo sgretolamento del gruppo storico della Galleria, ne divenne il suo “direttore” guidando le sorti del nuovo Centrosei ancora per un fecondo decennio, fino alla chiusura nel 1991.
Grazie al certosino lavoro di De Benedictis siamo oggi in possesso dell’archivio completo della Galleria, donato nel 2010, poco prima della sua scomparsa, a un dipartimento (oggi Lettere Lingue Arti Italianistica e Culture comparate) dell’Università degli Studi di Bari. L’archivio permette di ripercorrere la storia del Centrosei che è stato per oltre vent’anni anche un luogo di primaria importanza per la cultura artistica della città di Bari e della Puglia.
Franca Maranò a partire dal 1974, scelse, sull’onda del movimento femminista, di introdurre inedite pratiche performative proponendo lavori decisamente innovativi di numerose danzo spazio alle donne. Tra le artiste invitate dal Centrosei figurano alcune delle più schierate e impegnate protagoniste della scena italiana, sia nel campo dell’arte al femminile, sia in quello più autenticamente femminista, dalla nota saggista e studiosa Mirella Bentivoglio, attiva soprattutto nel campo della Poesia Visiva, a Tomaso Binga (pseudonimo di Bianca Menna), dedita alla pratica dell’arte come scrittura.
Sulla stessa linea della presa di coscienza della donna artista e della ricerca sull’identità femminile, si collocano, la romana Lucia Romualdi, la genovese Elisa Montessori, la napoletana Anna Maria Pugliese, l’americana di adozione italiana Adele Plotkin, la barese Ada Costa e la sarda Maria Lai, quest’ultima, con i lavori sul pane, sui telai e i bellissimi libri cuciti, vicina alle nuove indagini della Maranò.
In una delle sue numerose dichiarazioni di poetica, l’artista barese afferma con chiarezza che è stato il movimento femminista ad averla indotta a rivedere i termini delle sue ricerche. Questa problematica affermazione racconta la complessa personalità dell’artista, del suo spessore culturale e della sua continua, spesso sofferta ricerca, di evoluzione culturale.
Conoscere la storia di questa artista, ma soprattutto di questa donna e della sua dolorosa solitudine ma anche delle sue trepide speranze di costruire una cultura femminista, è quanto mai attuale.
Viene quindi facile chiedersi : l’arte è un campo innocente ?
Il problema del sessismo, nel mondo della società e della ricerca nel costruire una cultura femminista, non è certo un argomento nuovo. Che la questione sessista sia presente anche nel mondo dell’arte contemporanea è evidente.
Basti pensare ai corpi che ci sono stati proposti come modello unicum di femminilità: rappresentare tutti i tipi di corpo significa andare contro al modello unico di riferimento che abbiamo sempre avuto dai media, nel cinema, nel porno, nell’arte, nella letteratura.
Affermare che non c’è bisogno di altre rappresentazioni vuol dire che per migliorare dobbiamo avvicinarci a questo modello. Avere più rappresentazioni, quindi, vuol dire sentirsi riconosciuti, smettendo di subire una pressione sociale.
La grande svolta nella storia dell’arte inizia dagli anni Settanta. Da allora le storiche dell’arte come Franca Maranò hanno ridato visibilità non solo alle tantissime artiste del passato e del loro tempo ma anche alla non neutralità del fare arte, al suo essere un vero e proprio campo di battaglia‚ per parafrasare un famoso manifesto di Barbara Kruger sul corpo delle donne.
È dunque attuale chiedersi quale sia la condizione delle donne nel campo dell’arte, ovvero quale sia la reale inclusione delle artiste nel sistema, e, in particolare, se la visibilità offerta oggi al loro lavoro sia un elemento di effettivo cambiamento, sufficiente a rendere la disparità di genere un ricordo del secolo scorso.
Se si considera la presenza e l’esperienza delle artiste nel periodo degli anni Settanta in Italia, infatti, è necessario affiancare alla questione numerica la situazione sociale e politica provocata dai movimenti di protesta che coinvolsero in prima linea le donne in lotta per l’affermazione dei loro diritti e per la rimessa in discussione del loro ruolo e posizione all’interno della società.
Ecco l’importanza di considerare l’arte non un campo innocente ma un tema etico. Molte situazioni, infatti, iniziano a muoversi nella società quando vengono viste sugli schermi, quando iniziano ad avere una presenza nei media, vengono promulgate attraverso dei messaggi valoriali, come ha fatto splendidamente Franca Maranò.
Se non c’è questa presenza, spesso l’attivazione di certe dinamiche nella realtà incontra molte più difficoltà. Fino a quando le battaglie delle donne continueranno ad essere urlate solo attraverso la nostra voce, nessuna legge sarà mai abbastanza forte da tutelarci. Perché una legge non sarà mai abbastanza forte se non è presente una rivoluzione culturale che la accompagna.
Lo aveva capito molto bene Franca Maranò, che attraverso la sua arte ha trascorso la vita a difendere la libertà di scelta delle donne. Attraverso il suo impegno e il suo lavoro ha unito la sua voce alla nostra. Ci ha reso meno sole e più forti.
Oggi il suo impegno non deve essere dimenticato e, mentre concludevo questo testo, guardando il mio riflesso nello specchio sopra la scrivania, ho pensato alla bellezza dell’arte capace di costruire infiniti mondi possibili.
Franca Maranò, che ha scelto di vivere insieme a noi ogni fase della sua vita raccontando delle donne e parlando alle donne tutelandoci e accompagnandoci in un percorso ancora tortuoso. E’ stata per me una fonte di ispirazione, spero lo possa essere anche per voi.