“IL CONTE”
di Barbara Buttiglione
PROLOGO
Vienna, otto gennaio 1866. L’Imperatrice Elisabetta, nota a tutti come Sissi, riceve a corte una delegazione ungherese. Parlando la loro lingua, appresa fin da bambina grazie al padre e perfezionata attraverso le amicizie ungheresi di cui è riuscita a circondarsi a Vienna, è ansiosa di poterli incontrare. Fa da contraltare al suo entusiasmo il malcontento dell’Arciduchessa Sofia, suocera di Elisabetta e simbolo indiscusso del rigore austriaco alla Hofburg. L’Imperatrice indossa il suo abito ungherese e una splendida acconciatura: il suo stile così ribelle la rende la sovrana più ammirata e misteriosa d’Europa.Nei ranghi magiari, impeccabile e affascinante, è presente il Conte Gyula Andrássy: Sissi sa tutto del “beau pendu”, il ribelle scampato all’impiccagione, grazie alla sua amorevole amica e confidente ungherese Ida Ferenczy, e si tengono in contatto con assiduità.Il bel Conte desidera conquistare il cuore della Sovrana. L’Imperatrice si tratterrà, dopo pranzo, con Andrássy confidandogli quanto le stiano a cuore l’Ungheria e il popolo magiaro; egli, subendo il suo irresistibile fascino, comprende di avere un’alleata sincera ed appassionata che lo aiuterà a negoziare un compromesso tra Ungheria ed Austria. D’ora in poi si sentirà indissolubilmente legato a Sissi. L’otto giugno 1867 Francesco Giuseppe ed Elisabetta vengono incoronati sovrani d’Ungheria: è il Conte Andrássy a porre la corona sul capo di Sissi nella Cattedrale di Mátyás mentre fuori risuonano gli “Éljen, éljen Erzsébet!” (Viva, viva Elisabetta!) dei magiari e il suono delle campane a festa riempie le strade.Da questo memorabile giorno, i fili dei loro destini sono intrecciati nella stessa trama.
Che l’incanto del loro amore immaginato prenda il posto della storia ufficiale.
CAPITOLO 1
“Sono una figlia della domenica, una figlia del sole. I suoi raggi mi hanno condotta al trono, la mia corona fu intrecciata con il suo splendore e rimango nella sua luce”
Elisabetta, Aurelia, Eugenia di Wittelsbach, Duchessa in Baviera, Imperatrice d’Austria e Regina d’Ungheria
Il naso contro il finestrino della carrozza, come faceva da bambina, quando fantasticava con gli occhi vispi e ribelli; l’espressione triste e assorta, la mano destra stretta in quella di Ida, l’inseparabile amica. L’Imperatrice sta fuggendo dalla Hofburg, la corte di Vienna dove ormai vive infelice e insoddisfatta. Da tempo non vede più la figlia del sole sorriderle, quando si guarda nello specchio. Certo, gli occhi fieri non si sono spenti e mantiene, a dispetto delle circostanze, un amore per la vita e per le meraviglie della natura immutato: è questo che la sta conducendo in Ungheria, la terra che ama con passione sincera, dove può camminare per ore nei boschi, senza che nessuno glielo faccia pesare, e dove può cavalcare ogni volta che lo desidera. L’amarezza per il suo matrimonio, ingabbiato dal protocollo e dalle formalità, dagli obblighi e dai divieti non le lascia scampo: ha bisogno di stare lontana da tutti, di respirare il vento freddo, di sporcarsi le scarpe di terra, di ricominciare ad arrampicarsi sugli alberi, sì!
E pensare che quando si erano conosciuti, Franz era rimasto incantato dalla sua fierezza e dalla sua dolcezza. Sembrava adorasse il suo atteggiamento refrattario agli schemi e ai rigidi canoni austriaci, ed ella era certa che suo marito avrebbe sostenuto i suoi desideri di cambiamento di fronte alla severità dell’Arciduchessa Sofia: ma non è stato così. Per anni ha sopportato una suocera feroce e possessiva, che non riusciva ad apprezzare nulla se non la sua giovane età e la sua presunta malleabilità. Franz era troppo oppresso dal carico che la sua posizione gli imponeva: un sovrano giovane in un periodo politico e storico estremamente delicato e movimentato non aveva tempo da dedicare alla sua giovanissima moglie, se non durante gli impegni ufficiali.
Ogni volta che Sissi richiedeva le sue attenzioni, l’Imperatore veniva richiamato da qualche faccenda di Stato estremamente urgente, questo accade da troppo tempo, ormai. Quanto avrebbe potuto ancora resistere Elisabetta in quella gabbia? Non possono dire di non amarsi, ma troppe persone e troppe questioni prendono puntualmente il posto che Sissi dovrebbe occupare nel cuore di Franz; sempre che gli Asburgo ne posseggano uno.
Non sa ancora bene cosa succederà ora: gli ha solo comunicato il desiderio di passare qualche settimana in Ungheria per riposarsi, ma suo marito sa che, senza una valida motivazione, senza un drastico cambiamento, Sissi non tornerà. É una donna incantevole, affascinante con un fisico atletico ma aggraziato ed esile, ha un portamento regale e fiero, una chioma splendida e sul suo viso un velo di malinconia che la rende fatale e misteriosa. Ha tanta voglia di essere felice, di essere apprezzata e, nel suo essere più profondo, ha tanta voglia di innamorarsi e di essere desiderata. Ida è molto preoccupata per la Sovrana: spesso questi momenti di sconforto hanno provocato gravi inappetenze e stati di prostrazione. Dio non voglia che l’Imperatrice si lasci andare alla depressione.
Il viaggio verso Gödöllő, la cittadina ungherese dove si trova il Castello di Grassalkovich, dono degli Ungheresi alla famiglia imperiale, è quasi terminato. Il castello si affaccia all’orizzonte e Sissi comincia a riprendere colore: quanto ama questa terra e la sua gente! Quasi quanto gli ungheresi amano la loro regina, Erzsébet Kyràlyné. Un ungherese che ama Elisabetta, distante e silenzioso, è il Conte Gyula Andrássy: nato in una famiglia aristocratica, il Conte aveva fatto parte dei moti rivoluzionari del 1848 e, condannato all’impiccagione, era riuscito a fuggire all’estero. A Londra e Parigi la sua fama di affascinante tombeur de femmes e le sue numerose qualità personali lo resero famoso. Rientrato dal suo esilio, grazie all’amnistia imperiale, Andrássy venne eletto vicepresidente dell’assemblea nazionale convocata dall’Imperatore e in seguito avrà l’onore di incoronare Elisabetta Regina d’Ungheria. Da quel memorabile evento è passato tanto tempo, non senza incontri ufficiali e lettere spedite a nome di Ida per conto di Sua Maestà. Meglio evitare sgradevoli pettegolezzi.
Quando Sissi arriva a Gödöllő è indecisa se far sapere al Conte del suo arrivo, ma parlandone con Ida decide di attendere gli eventi: sicuramente egli avrà notizie e non tarderà a presentarsi. É lo stesso Imperatore infatti, che avverte il Conte dell’arrivo di Sissi, tramite una lettera nella quale gli chiede di assicurarsi che l’Imperatrice sia arrivata sana e salva, non prima di averlo convocato a Vienna per questioni della massima urgenza: il Conte Andrássy è, in questo momento, il Ministro degli Esteri dell’Impero ed è senza dubbio grato a Franz Joseph di avergli affidato un compito tanto gradevole. Andrà a trovare l’Imperatrice l’indomani mattina e, pensando a lei, non riesce ad evitare di ricordare l’espressione fiera dei suoi occhi scuri e la sua bellezza impareggiabile.
La notte lascia presagire un domani intrigante. Con questo auspicio, il Conte si ritira nella sua residenza di Buda-Pest, insieme al suo segretario factotum, il fedelissimo ed insostituibile Bernàt Molnar, che ha l’ordine di svegliarlo presto e di far preparare la carrozza, per l’indomani. l’Imperatrice è a Gödöllő ed è necessario recarsi a salutarla, Bernàt si inchina in cenno di comprensione e si congeda. Buonanotte mia Regina, pensa il Conte guardando il cielo fuori dalla finestra della sua stanza.
CAPITOLO 2
“Tolgo la corona dal mio capo pesante sospirando; quante belle ore mi ha rubato questo bastone di cerimonie, contemplo lungamente questi ornamenti luccicanti: per altre sarebbero grandi gioie, per me sono solo un giogo pesante.”
Elisabetta
Sotto leggeri fiocchi di neve, la carrozza del Conte percorre il viale che conduce al Palazzo Reale di Gödöllő e si ferma davanti all’imponente portone, prontamente dischiuso dal valletto: «Chi debbo annunciare a Sua Altezza Imperiale?» «Sono il Conte Andrássy. Vengo per conto dell’Imperatore.» Dal valletto, l’annuncio passa direttamente a Ida che avvisa la Sovrana. Non senza un’espressione sorpresa, Elisabetta acconsente alla visita e chiede a Ida di aiutarla a rendersi presentabile. «Va bene – dice dopo avere controllato la sua immagine nel grande specchio della sua camera – andiamo.» Nel frattempo, la servitù ha ricevuto l’ordine di far accomodare il Conte nel salone di Sissi, ma in preda ad una piacevole impazienza, egli non riesce a stare seduto. Dopo qualche minuto l’Imperatrice fa il suo ingresso nella stanza, più luminosa e bella di quanto egli la ricordasse. Il Conte resta per un attimo immobile, fissando quella visione; ripreso il suo piglio abituale, si inchina e saluta: «Vostra Altezza Reale, quale immensa gioia è per il mio cuore rivedervi qui, nella mia terra!». L’Imperatrice gli sorride e si accomoda rispondendo: «Conte Andrássy, sapete bene quanto io ami l’Ungheria e quanta stima io abbia di voi.»
«E questo, Mia Regina, mi rende più ungherese di tutti gli ungheresi. È l’Imperatore che mi ha chiesto di venire a sincerarmi della vostra salute: era preoccupato per il viaggio, ma devo dire che, in ogni caso, sarei venuto a salutarvi anche senza sue indicazioni». L’espressione della Sovrana si incupisce: stando lontana dalla Hofburg, pensava di poter allentare la tensione della vita di corte, ma le basta sentir parlare dell’Imperatore per ritornare ad essere tesa e triste. «Conte Andrássy, potete riferire all’Imperatore che godo di ottima salute e che sarà così finché rimarrò qui in Ungheria.» nello stesso momento in cui le parole escono dalla sua bocca, si rende conto di averle pronunciate in tono seccato, cambiando repentinamente espressione. Il Conte ha ascoltato e, naturalmente, notato l’atteggiamento infastidito di Elisabetta; dopo un attimo di silenzio risponde: «Vostra Altezza vi prego di non considerarmi inopportuno e sfrontato, ma non posso evitare di cogliere i colori cupi che avvolgono il vostro animo.» I loro sguardi si incatenano per un istante: quanto vorrebbe che egli capisse tutto da quello sguardo! Quanto vorrebbe non dover dire nulla. Sissi distoglie lo sguardo e assume un’espressione assente.
«Vedo bene, Vostra Maestà, che il vostro desiderio più urgente ora è sparire agli occhi del mondo. Venite a fare una passeggiata con me nel parco? È piuttosto freddo fuori, ma ho idea che la vostra tempra sia abituata ai rigori del nostro inverno». La voce calda e il tono premuroso del Conte strappano un sorriso all’Imperatrice: quanto si sente attratta da quest’uomo bello e sicuro di sé, forte e affascinante, all’altezza della sua fama! Non sa se ne è innamorata, ma sa per certo che anche lui è terribilmente attratto da lei. L’Imperatrice si alza e decide di accettare l’invito del Conte. La dolce Ida le porta il mantello e la accompagna camminandole accanto, fino all’ingresso. Il Conte segue a qualche passo e non riesce a sottrarsi ad una sorta di trance provocata dall’ondeggiare della splendida capigliatura dell’Imperatrice. Si ritrovano così soli e sorprendentemente poco imbarazzati, nel verde del parco, a piccoli passi silenziosi verso un’altra dimensione. Il Conte rompe il silenzio: «Devo confessarmi alquanto sorpreso, Vostra Altezza. Mi aspettavo di incontrare la Sovrana illuminata e decisa che ho conosciuto alla Hofburg, ma vedo invece, una donna affranta e stanca. So che la vita di corte vi sottrae ore che potreste impiegare andando a cavallo o a passeggio per i boschi, ma sento che non è tutto. Sapete di avere in me un amico fidato e leale, tuttavia capirò se non vorrete confidarmi ciò che vi angustia».
L’Imperatrice ha ascoltato le parole del Conte, camminando con lo sguardo basso e il cuore in tumulto. Ha sospirato al suo riferimento alla vita di corte e si è fermata per guardarlo in viso nell’attimo in cui ha sentito, in cuor suo, di potersi fidare. «Avete ragione, non è tutto» risponde in tono sommesso, ma guardando il Conte dritto negli occhi. «Sono disperatamente infelice e sento di non avere vie d’uscita!» Gli occhi di Elisabetta stanno per riempirsi di lacrime, ma il suo orgoglio le ricaccia prontamente indietro. Il Conte sostiene il suo sguardo, sorridendole: «Se lo volete davvero, la via d’uscita la troverete. La felicità non può sottrarsi al vostro cospetto, la meritate più di chiunque altro.» Elisabetta alza decisamente il passo, costringendo il Conte a fare altrettanto. «Vostra Altezza! Ho detto qualcosa che vi ha offesa? Vostra Altezza! State gareggiando con qualcuno? Pensavo fosse una passeggiata!» Elisabetta si ferma e sorride, senza voltarsi «Sapete che sono atletica e veloce. Pensavo foste all’altezza…» dice alzando la voce, immaginando il Conte ancora indietro. Inaspettatamente, il suono caldo delle sue parole vibra a pochi centimetri dall’orecchio imperiale: «Lo sono, Maestà…»
Elisabetta si volta e teme che in quel momento, il battito del suo cuore sia udibile anche al di fuori del suo petto. Si guardano per pochi intensi attimi. «Credo sia meglio rientrare, Conte. L’aria comincia a farsi gelida, anche per una montanara come me.» «Come volete, Altezza» risponde il Conte, anche se, in verità, vorrebbe dirle che desidera abbracciarla e non lasciarla, non ora. Ritornano verso il Castello avvolti da un silenzio irreale, mentre qualche fiocco di neve si posa sulle loro teste, sciogliendosi all’istante. Entrambi avrebbero pensieri da confidarsi, emozioni da confessarsi, ma procedono verso l’ingresso del castello, un passo dopo l’altro, uno accanto all’altra, senza parlare e senza sfiorarsi.
Arrivati alla soglia, il Conte prende la mano gelida di Elisabetta e la tiene per più di un istante a contatto con sue labbra. « Arrivederci, Vostra Altezza. Vi auguro di ritrovare la gioia di vivere che ho amato in voi. A presto.» Si inchina ancora una volta e sale in carrozza, senza voltarsi. Elisabetta si dirige a passo svelto verso la biblioteca, dove il caminetto è acceso e dove nessuno la disturberà. Affettuosamente, Ida la segue per poi richiudersi la porta dietro le spalle, lasciando Sissi sola, malvolentieri. É nervosa, inquieta e ha una gran voglia di piangere, si tormenta le mani e continua a camminare su e giù per la stanza. C’è solo una cosa che può fare: sellare il cavallo e galoppare nel bosco senza meta, unicamente così riesce ad allontanare le inquietudini e le incertezze. Il movimento ritmico del galoppo, il vento freddo sul viso, i suoni del bosco sono l’unica cura per la sua anima turbata: quando rientra a Palazzo, Ida la accoglie con il suo sorriso e un poco di pace sembra farsi strada in questa prima giornata ungherese.
CAPITOLO 3
“Una grande passione infelice è un grande mezzo di saggezza”
Jean-Jacques Rousseau
Sono passati esattamente diciotto giorni dal loro incontro al castello di Gödöllő. L’Imperatrice non ha alcuna intenzione di tornare alla Hofburg per il momento e ciò sta provocando malcontento a corte. Lì nessuno ha mai accettato davvero l’amore di Elisabetta per l’Ungheria e la sua ostinazione non fa che rafforzare le voci maligne sul conto della coppia reale. Elisabetta riceve una lettera dalla sua dama d’onore, Maria Festetics, rimasta a Vienna, la quale mette in guardia la Sovrana sull’irrequietezza dell’Imperatore e le consiglia di tornare a corte, il più presto possibile. Elisabetta è ad un bivio: se torna a Vienna le sarà impossibile sottrarsi ai suoi oneri imperiali e ripiomberà nell’infelicità dalla quale sta cercando di sottrarsi; se resta a Gödöllő ancora a lungo, provocherà uno scandalo senza precedenti nella storia della monarchia austriaca, ma forse avrà la possibilità di vivere secondo le sue scelte e i suoi desideri. Nei diciotto giorni trascorsi, Sissi e il Conte, si sono scambiati più di una lettera, grazie a Ida che si incarica di spedirle a proprio nome a Vienna, dove il Conte si è recato per questioni di governo. L’ultima sua missiva annuncia una imminente visita al castello, per una questione delicata.
In una piovosa giornata di fine febbraio, di quelle che Elisabetta ama tanto, una carrozza si ferma nel viale del Palazzo Reale. L’Imperatrice è al suo scrittoio intenta a rispondere a Maria Festetics, ma lo scalpitare degli zoccoli sulla ghiaia la fa balzare di scatto alla porta della stanza e lì, sulla soglia, cerca di riacquistare la padronanza di sé, che sembra perdere ogni qualvolta si tratta del Conte. É lui, ne riconosce il passo marziale, che risuona nel lungo corridoio. Con ritrovata calma, si dirige verso il Conte, che ha lasciato il suo mantello e marcia verso di lei, apprestandosi a baciarle le mani, appena vicini. «Conte Andrássy, bentornato! Il viaggio è stato lungo?»
«Infinitamente, Maestà, ma era importante che venissi a trovarvi per consegnarvi» – le porge un pacchetto – «questo». Gli occhi di Elisabetta si rivolgono immediatamente al contenitore e con la curiosità di una bambina, lo prende dalle mani del Conte, domandandogli: «Ma cos’è? Chi ve l’ha dato?»
«Se mi permettete di sedermi, vi racconterò tutto.»
«Oh, che imperdonabile comportamento! Scusate, seguitemi in salone…» risponde imbarazzata, e a Ida «Fateci servire il tè, mia cara».
É nervosa tanto da aver dimenticato il cerimoniale, se lo avesse fatto a corte! Giunti nella stanza, Elisabetta si siede e osserva il pacchetto.
«Ora che siete seduto, volete dirmi, per cortesia, chi vi ha chiesto il favore di questa consegna? E vi ha accennato al suo contenuto?»
Il Conte, con un’espressione falsamente sfinita sul viso risponde: «Fatemi riprendere fiato, Vostra Altezza! Un momento ancora.»
«Conte Andrássy! Non mostrate affatto di essere affannato! Abbiate la compiacenza di rispondermi!» Una risata impertinente rompe l’attimo di silenzio seguito alla frase spazientita dell’Imperatrice. «Perdonate, Altezza. Non intendevo prendermi gioco di voi. Ecco, vi racconto come è andata. Ero a Vienna e mi trovavo in uno degli uffici della Hofburg, quando mi hanno annunciato la presenza di una signora che chiedeva di me. Devo ammettere che non è inusuale che le donne vengano a cercarmi – sorride – mi sono dunque recato nel salottino, dove la signora in questione mi attendeva. Si è presentata come la vostra dama d’onore e mi ha pregato di consegnarvi questo pacchetto, una volta certa che io sarei tornato qui a Gödöllő. Naturalmente le ho assicurato la massima discrezione a riguardo, trattandosi di materiale legato alla vostra persona. Comprenderete dunque che ignoro il contenuto del pacco e vi invito ad aprirlo senza ulteriori indugi, so che morite dalla curiosità». L’impazienza di Elisabetta non le consente di redarguire il Conte a dovere: le mani strappano la carta, che rivela una scatola di cartone colorato. Sollevato il coperchio, Elisabetta tira fuori dei fogli di carta ripiegati e tenuti insieme da un nastro di velluto rosso. L’emozione le stringe la gola, sa bene cosa c’è scritto in quelle pagine: parole di sconforto e solitudine, poesie scritte in momenti di riflessione e tristezza. Cara, cara Maria.
«Conte Andrássy, della vostra lealtà non ho mai dubitato e nemmeno della vostra discrezione. Avrei qualcosa da ridire sulla vostra impertinenza, piuttosto.» dice con un sorriso esibito per mascherare l’irruzione delle lacrime.
«Perdonatemi, Vostra Altezza. Se lo sono stato, lasciatemi dire che il vostro sorriso ne è valso la pena».
La conversazione viene interrotta dai servitori con il tè e, avendo invitato Ida a trattenersi con loro, il tono del dialogo assume note più usuali, amichevoli e leggere. Al termine del piccolo pasto, l’Imperatrice invita il Conte a seguirla in biblioteca. «Conte Andrássy, mi trovo in una posizione molto difficile: Vienna reclama la sua Imperatrice, ma io non sono certa di volerci tornare. So cosa state per dire: che ho il dovere di sacrificarmi per lo Stato e che dovrei anteporre gli interessi dell’Impero a quelli personali – riprende fiato – tuttavia non sono in grado di compiere una scelta, ora.» Si alza e si dirige verso la finestra, dando le spalle al Conte che, a sua volta, la raggiunge, richiamando la sua attenzione. «Altezza, non crediate che io sottovaluti il vostro tormento. Mi piacerebbe solo capire che cosa lo ha scatenato ora.» Il suo tono di voce è indicibilmente suadente e l’Imperatrice si volta per guardarlo, ritrovandosi così a pochi respiri da lui. Non riesce a sfuggire al magnetismo di quest’uomo: la sua sicurezza, il suo fascino scatenano in lei reazioni contrastanti. Sono ad un passo l’uno dall’altra e l’orgoglio innato di Elisabetta non le permette di cedere: l’aria di sfida sul suo volto è fuoco che farà avvampare il cuore del Conte.
«Perché ora? Volete sapere perché ora? Vi dirò solo che Voi non avete alcun motivo di preoccuparvene! E ora vi prego di allontanarvi e lasciarmi passare!»
Il Conte fa un passo indietro, ma appena Elisabetta avanza, lui la blocca posando le sue labbra su quelle dell’Imperatrice, deciso e sfrontato. Il cuore di Elisabetta è in preda ad un ritmo forsennato ma le parole tentano disperatamente di fornirle un contegno regale: «Come avete osato? Vi siete dimenticato chi avete di fronte?» dice fiera e turbata.
«Nemmeno per un attimo, Maestà. E sono certo che il mio bacio non vi è dispiaciuto.»
«Ed io sono certa che sia meglio che andiate, prima che chiami le guardie.»
Il Conte arretra, si inchina sorridendo e guadagna l’uscita senza proferire parola. Elisabetta si volta verso la finestra, si appoggia con tutto il suo peso al davanzale, abbassando la testa: il sangue pulsa così forte al suo interno da renderle impossibile tenere gli occhi aperti. Quando riesce a riaprirli, scorge la carrozza del Conte che sta percorrendo velocemente il viale verso il cancello. La sensazione di quel bacio è ancora presente, forte come se le sue labbra si fossero bruciate in quel contatto. Mai nessun bacio di Franz le ha provocato un piacere e un dolore simili. Quella notte, Elisabetta stenta a prendere sonno, rivede quella scena mille volte e ogni volta le labbra pulsano ardenti. Quando finalmente riesce ad addormentarsi è l’alba e ha appena deciso che non rivedrà il Conte, mai più!
CAPITOLO 4
“Compiano i numi ogni bene che attende impaziente il tuo cuore, una dimora, un marito, nonché la felice concordia essi ti donino: bene non c’è più prezioso e più grande, della concordia d’intenti, se insieme governano casa l’uomo e la donna”
Omero Odissea Canto VI
Nonostante l’inverno ungherese, Elisabetta ama passeggiare all’aperto: il paesaggio attorno al castello è meraviglioso e le dona una serenità profonda, seppur fugace. In una giornata fredda, limpida e soleggiata, sta rientrando con Ida dopo una lunga camminata, quando vede arrivare uno degli emissari di Franz con una lettera. Seccata e nervosa si avvicina e chiede da chi proviene. «L’Imperatore in persona l’ha redatta di suo pugno, Vostra Altezza Imperiale, e mi ha chiesto di consegnarvela con la massima urgenza.» Sissi ammette a sé stessa che la aspettava e congeda il corriere con un cenno del capo. Non ha intenzione di leggerla se non dopo il bagno e chiede a Ida di lasciare la busta sul suo scrittoio, mentre sale al piano superiore, nelle sue stanze, per godere di quel piacere che così tanto scalpore destò a corte, quando le arciduchesse la trovarono immersa completamente nuda nella vasca: «É indecoroso! Che indecenza!» Un sorriso ironico si affaccia sul viso arrossato di Sissi, al ricordo delle nobildonne che scuotevano la testa scandalizzate: che streghe!
Rigenerata da quell’immersione provvidenziale, Elisabetta si lascia vestire e pettinare dalle sue cameriere personali e si sente finalmente pronta ad affrontare la lettura del messaggio di Franz. Si dirige quindi nel suo studio e si accomoda allo scrittoio: con il tagliacarte apre la busta, dispiega il foglio e legge:
“Mia Sissi adorata,
non sono le parole dell’Imperatore che ti accingi a leggere, ma quelle del tuo devoto marito che soffre della tua assenza. Quando ti ho conosciuta, ho ammirato la tua vivacità e i tuoi occhi splendenti…eri così giovane e ho creduto che, col tempo, avresti capito e sopportato le costrizioni e i doveri di una Sovrana. So quanta sofferenza ti provocano i conflitti con mia madre e so anche che vorresti che io rinunciassi al mio titolo per dedicarmi solo a te. Vorrei tanto tu comprendessi che come membro della famiglia Asburgo sono stato educato e destinato alla mia carica e la responsabilità che sento nei confronti dell’Impero è enorme. Allo stesso modo, sento quanto siamo importanti l’uno per l’altra e ti prego di credermi se ti dico che la vita qui mi è notevolmente più difficile senza te. Se ti ho lasciata partire, è perché ho ritenuto utile che tu ti allontanassi da Vienna e dalle tensioni della Hofburg: sono certo che la tua amata Ungheria ti aiuterà a riflettere su quello che hai nel cuore e a capire che il tuo posto è qui, accanto a me. Torna, Sissi. Torna da me. Tuo Franz”
Elisabetta si porta le mani alle tempie e chiude gli occhi: non sono certo queste le parole che la convinceranno a tornare a Vienna. Gli Asburgo, l’Impero, la Hofburg; in quante occasioni ha maledetto tutto ciò! É certa che le parole di Franz siano sincere, ma non è affatto certa che questo sia sufficiente a darle la felicità: cosa potrà mai cambiare, qualora tornasse a Vienna? L’Impero sta vivendo momenti difficili e ogni giorno c’è da affrontare una nuova crisi. Con la testa che le rimbomba, esce dallo studio e va in biblioteca. Qui si siede sulla poltroncina in raso blu e comincia a guardarsi intorno: in tutti quei libri è racchiusa una parte della sapienza del mondo. Quanto vorrebbe impossessarsi di un brandello di saggezza per fare la scelta giusta, senza incertezze, senza timori. Si alza di scatto ed esce dalla stanza chiamando Ida a gran voce: «Fammi preparare il cavallo, ho bisogno di una bella corsa!» «Ma Maestà, è quasi ora di pranzo e fuori fa freddo!».
Ida sa bene che nulla potrà impedire a Sissi la cavalcata a perdifiato che ha in mente e infatti, l’Imperatrice non la ascolta neanche. In pochi minuti è pronta per montare e sfrecciare veloce verso il bosco, sotto gli occhi rassegnati di Ida. Quando cavalca, il mondo le appare quasi fatato e stenta a credere che la vita possa essere tanto difficile in quella meraviglia incantata. Ad un tratto gli occhi la ingannano: le sembra di vedere, come se fossero lì per giudicarla, Franz e l’Arciduchessa Sofia con le loro espressioni severe. Le pare anche di vedere il Conte Andrássy che le sorride incitandola. Scuote la testa e cerca di riprendere il filo dei suoi pensieri, sotto qualche goccia di pioggia. Guardando il cielo, fattosi scuro all’improvviso, decide di ritornare al Castello e sprona il suo cavallo al galoppo. Il buon Jànos, l’addetto alle scuderie è fuori ad attenderla, preoccupato come tutti a Palazzo: è stata via per più di tre ore e Ida stava per mandare qualcuno dei servitori a cercarla. «Ma perché vi preoccupate? Sapete che quando esco a cavallo non mi rendo conto del tempo che passa…sto bene, sto bene!». I servitori si ritirano e Sissi rimane con Ida, alla quale chiede di salire in camera per aiutarla a cambiarsi d’abito e asciugarsi i capelli. Mentre Ida è intenta a spazzolarle la lunghissima chioma, Sissi la guarda nello specchio della toilette e richiama la sua attenzione piegando un po’ la testa sulla spalla.
«Ida cara, ho letto la lettera di Franz e non vi ho trovato le parole che avrei voluto.»
«Capisco, Maestà.»
«Tu sei sempre così paziente con me, così affettuosa. Sai tutto di me, più di chiunque altro. Cosa devo fare, Ida?» Lo sguardo di Sissi nello specchio è quello di chi cerca appigli e incoraggiamento.
«Maestà, non posso dirvi ciò che dovete fare, ma mi sento di invitarvi a scegliere pensando ai vostri desideri. Non pensate a cosa desidera l’Imperatore, l’Arciduchessa o vostra madre. Pensate a ciò che volete voi: cosa volete davvero? Le persone che vi amano resteranno al vostro fianco in ogni caso. Per gli Ungheresi sarete sempre la loro Regina e per quanto mi riguarda, resterete nel mio cuore come la persona più importante della mia vita. Sapete in cosa risiede la vostra felicità? Quando chiudete gli occhi a sera, qual è il vostro ultimo pensiero? E quando li aprite al mattino? Riflettete su questo e prendete la vostra decisione, ma non ora. Prendetevi il tempo che vi serve, tutto il tempo che vi serve.»
Sissi si alza e abbraccia Ida con vero affetto: si sentirebbe persa senza questa amica leale, sincera e intelligente.
«Cosa farei senza di te, Ida? Ti voglio bene davvero.»
«Anche io, Maestà. E ora venite a mangiare qualcosa o vi sentirete male.»
«Si, vorrei qualcosa di caldo.»
«Vado subito ad avvertire Petra, Maestà.»
Sissi è sola, si siede ancora alla toilette e resta a fissare la sua immagine riflessa per qualche minuto «Cosa vuoi Sissi? Cosa vuoi davvero?».
Senza che alcuna risposta affiori nella sua testa, si rialza e si dirige verso la cucina, dove sicuramente la cuoca Petra si sentirà terribilmente imbarazzata nel vederla entrare. L’ultima volta, si sentì dire: «Vostra Altezza non dovrebbe venire a pranzare qui. È un luogo così umile.» E Sissi rispose: «La cucina è uno dei luoghi del castello più utili in assoluto e io amo pranzare qui. Rimani anche tu.» Scuotendo ripetutamente la testa, Petra farfugliò: «No, no, no…io? No, Vostra Altezza, no, no, no…» sgusciando via verso la stanza dei domestici, tra le risate di Ida e Sissi.
Dopo il leggero pasto, Sissi guarda fuori dalla finestra, il sole sta tramontando e il cielo si è tinto di rosso. È il momento di dedicarsi alle sue letture. La biblioteca la accoglie con il calore del fuoco acceso e si appresta a scegliere il volume avvicinandosi ad una delle mensole più basse, dove ricorda averlo riposto. Eccolo, l’Odissea. Nella lettura di Ulisse in balia della tempesta causata dall’ira di Poseidone, Sissi si sente quasi come il suo eroe, in preda alle onde di un mare ostile e scuro. Come lui sente di avere coraggio e acume. Cosa lo spinge a non arrendersi? Cosa gli dona la forza per continuare il suo viaggio? Ulisse desidera tornare a casa, a Itaca, da Penelope.
CAPITOLO 5
”Nel bacio io credo, il bacio che m’hai dato;
la parola è soltanto un vano fiato”
Heinrich Heine
Richiude il libro di poesie di Heine, perso nelle immagini suscitate da quei versi. Lo tiene sulle gambe, poggiandoci una mano sopra: è in treno, di ritorno da Trieste. L’Imperatore lo attende a Vienna per essere informato sull’esito dell’incontro con il Ministro degli Esteri italiano. In quel momento però tutto ciò su cui riesce a focalizzare l’attenzione è Sissi, i suoi occhi, le sue labbra. Ha taciuto per troppo tempo e relegato in un angolo remoto del suo animo i reali sentimenti per lei. É deciso a dichiararle finalmente il suo amore ed è disposto ad affrontare porte chiuse e gendarmi armati. Considerando l’impegno con il Sovrano, calcola di poter essere a Gödöllő in tre giorni. Il suo sguardo si adombra pensando che incontrerà l’Imperatore con il cuore invaso dalla presenza continua di Sissi, tuttavia non potrebbe essere più determinato a liberare l’Imperatrice dal giogo che la opprime e sé stesso dai limiti della sua posizione. «Un dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando riflette».
Si rivolge al suo segretario Bernát predisponendo i movimenti dei giorni a venire, in base alla agenda degli impegni che egli conosce in modo meticoloso. Subito dopo l’arrivo a Vienna, la carrozza reale lo conduce alla Hofburg: il Conte aggiorna Franz Joseph sulla situazione triestina e sui malumori del Regno d’Italia; è distratto, laconico, distante. L’Imperatore lo nota ma attribuisce il tutto alla stanchezza e alla tensione dovuta agli innumerevoli incontri che Andrássy sta tenendo con i vari protagonisti della politica europea. Al termine dell’incontro, l’Imperatore confida al suo Ministro la preoccupazione per l’assenza protratta dell’Imperatrice e lo prega di andare a parlarle per assicurarsi che rientri al più presto. «Temo che l’Imperatrice non sia così disposta ad ascoltarmi, Vostra Altezza. Tuttavia, vi prometto che mi impegnerò a farle capire la delicatezza della situazione» ed è davvero ciò che intende fare.
Congedandosi dal Sovrano, prova un senso di colpevole orgoglio nello stringergli la mano, sebbene sia convinto che l’Imperatrice non lo ami più e che solo lui saprà renderla felice. Pressato dall’urgenza del cuore, il Conte si fa condurre al suo hotel, non prima di essersi assicurato che Bernát abbia i biglietti del treno per Buda-Pest in partenza nel primo mattino del giorno dopo: è certo che, quando le avrà dichiarato i suoi sentimenti, anche Sissi lascerà che le acque dell’amore la travolgano, così come hanno travolto lui, facendo rottami della sua fama di libertino e dongiovanni. A Gödöllő, l’Imperatrice vive giornate travagliate, a causa dei continui richiami dalla Hofburg che giungono sotto varie forme (visite di dignitari di corte, lettere) ma sempre inviati dallo stesso mittente.
«Franz non si arrenderà mai.» dice a sé stessa «non mi sorprenderebbe vederlo arrivare qui per riportarmi a Vienna.» E per di più, non passa giorno senza che riviva quel momento con il Conte Andrássy, arrossendo ogni volta e immaginando il suo ritorno. La stazione di Buda-Pest è affollata, il treno è giunto in ritardo e la sua mente è già a Gödöllő. Sospinto da una forza invisibile, il Conte procede svelto verso l’uscita, seguito a fatica da un Bernát trafelato e con l’affanno. La carrozza è lì ad attenderli e il cocchiere ha avuto ordini precisi: deve dirigersi al Castello di Grassalkovich veloce come il vento e, come se non bastasse, è il Conte stesso che lo esorta: «Al Castello, di volata!»
Durante il viaggio, il libro delle poesie di Heine è nelle sue mani: legge e rilegge quei versi dai quali trarrà l’ispirazione per parlarle del suo amore e immagina quanto potrebbero essere felici insieme. Si scuote da quelle fantasie quando la carrozza è già nel viale del Castello. Si sistema il colletto della camicia, i capelli in ostinato disordine, controlla che le scarpe siano lucide e si schiarisce la voce. Giunto all’ingresso, viene accolto dalla servitù alla quale dice: «Annunciate a Sua Altezza Imperiale il mio arrivo e ditele che desidero parlarle»
Viene fatto accomodare nel salone di Sissi e lì posa il libro sullo scrittoio. Il maggiordomo entra comunicandogli che l’Imperatrice non può riceverlo.
«Ma davvero?» – si alza e tra le gesta concitate della servitù, comincia a marciare lungo il corridoio e su per le scale, attorniato da cameriere agitatissime e valletti in preda al panico
«Vi prego, Conte Andrássy, non potete…»
Anche Ida cerca di frapporsi tra il Conte e la stanza di Sua Altezza, ma non c’è nulla che possa fermarlo. Arrivato dinanzi la porta della camera dell’Imperatrice, inizia a bussare insistentemente dicendo: «Maestà, aprite subito! Non sono venuto fin qui per parlare attraverso una porta! E se mi conoscete abbastanza, sapete che non me ne andrò fino a che non vi avrò vista!» L’Imperatrice è agitata e passeggia nervosamente per la stanza, quando ascolta quelle parole. Si avvicina alla porta e dice con voce ferma: «Ho detto che non voglio vedervi e vi prego si smettere di urlare! Andate via! Non è così che si comporta un gentiluomo!»
«Non è l’etichetta che mi sta a cuore! Aprite subito o butto giù la porta!»
Immaginando che sia davvero capace di farlo, Elisabetta si ricompone, cerca di respirare piano, costringendo il cuore ad un battito più umano e, afferrando la maniglia della porta, la apre restando sull’uscio, di fronte all’ostinazione del Conte. Con tono di voce serio e inflessibile, Elisabetta dice: «Ditemi ciò che dovete e andate via. Non apprezzo affatto i vostri modi»
«E io non apprezzo affatto che scegliate di nascondervi!» Con un passo, si insinua tra la porta ed Elisabetta, riuscendo ad entrare nella stanza, davanti alla servitù allibita. «Ora potete chiudere la porta» dice accomodandosi sulla poltroncina, come se avesse appena finito di sorseggiare il tè.
«Smettetela di dirmi ciò che devo o non devo fare! Cosa volete? Perché siete tornato?»
«Dovevo tornare, Maestà, dovevo parlarvi. Vi prego, sedetevi accanto a me. Non tenetemi il broncio.»
«Dite presto ciò che dovete» dice Sissi, sedendosi sulla poltroncina di fronte a lui.
«Perché vi rifiutate di vedere con il cuore ciò che agli occhi è così evidente? Di cosa avete paura? Voi ed io siamo legati da un sentimento vero! Non ve ne accorgete?» dice, sporgendosi in avanti.
«La vostra arroganza è pari solo alla vostra impertinenza! Cosa ne sapete voi? Pensate di conoscermi e venite qui, con modi a dir poco brutali a parlare di paure e di cuore, ma come osate?»
«Oso perché non posso sopportare di vedere una donna splendida e forte come voi che si nega all’amore perché lo teme. Avete paura di essere amata e fuggite, trincerandovi nel vostro orgoglio! Se pensate che ciò vi renda inattaccabile, beh…non è così – abbassa d’un tratto il tono di voce, finora concitato – ed io ve l’ho dimostrato.» L’allusione a quel bacio la manda su tutte le furie: «Presuntuoso e sfacciato! – si alza e gli si avvicina minacciosa. Anche il Conte è in piedi e i due si fronteggiano come due guerrieri: l’Imperatrice sembra alzare il braccio per schiaffeggiarlo, ma il Conte le afferra il polso.
«Io vi sto offrendo il mio cuore e tutto me stesso e voi non potrete soffocare a lungo ciò che provate» pronuncia queste parole ad un soffio dalla sua bocca. Elisabetta stringe il pugno e cerca di liberarsi, sussurrando con rabbia.
«Lasciatemi subito. Ve lo ordino».
Il Conte lascia la presa. «Vedo bene che il muro che vi siete costruita intorno non è facile da scalfire. Vi lascio al vostro orgoglio e alla vostra solitudine. Non mi rivedrete mai più, a meno che non verrete a cercarmi. Sono addolorato e me ne vado con la morte nel cuore…addio, Maestà».
Si dirige verso la porta che spalanca con veemenza, inoltrandosi nel corridoio, verso le scale con passo deciso. In quell’istante, Elisabetta sente qualcosa nella sua testa imprimere direttamente alle gambe un movimento veloce e, sulla soglia della stanza, grida: «Conte! Aspettate!»
Egli si ferma sul primo gradino e si volta per rispondere: «Un uomo innamorato può accettare di essere respinto, ma non può sopportare di essere umiliato.» Riprende le scale e, dopo avere preso il mantello, varca il portone e sale in carrozza. Sissi scende anche lei quei gradini interminabili e si precipita fuori, bussa al vetro della carrozza e dice: «Tornate a trovarmi, domani…» Il Conte guarda la sua Regina senza rispondere e poi urla al cocchiere: «Andiamo!»
La carrozza riparte e Sissi resta nel viale a fissare quella sagoma allontanarsi, fino a quando la dolce Ida giunge a portarle il mantello, poggiandolo sulle spalle e stringendola a sé: «Venite dentro, Maestà…vi prenderete un malanno».
Elisabetta la guarda come se si fosse appena svegliata da un incubo: «Cosa è successo, Ida? Che cosa ho fatto?»
«Avete commesso un errore, Maestà, ma sono certa che riparerete. Ora avete bisogno di riposare. Domani il vostro cuore vi suggerirà cosa fare».
CAPITOLO 6
“La tua virtù mi rassicura: non è mai notte quando vedo il tuo volto; perciò ora a me non sembra che sia notte, né che il bosco sia spopolato e solitario, perché tu per me sei il mondo intero; chi potrà dunque dire che io sono sola se il mondo è qui a guardarmi?”
William Shakespeare (“Sogno d’una notte di mezza estate”)
Il Palazzo è silenzioso, è notte fonda e Sissi teme che l’incantesimo di Oberon abbia colpito anche lei: si è innamorata di Andrássy appena si è svegliata dal sonno in cui era sprofondato il suo cuore! E se fosse solo un’infatuazione sciocca e passeggera? Pur stanca e terribilmente assonnata, Morfeo rifiuta di accoglierla nelle sue braccia: si alza e si avvia silenziosamente fuori dalla sua stanza, lungo il corridoio, giù per la scalinata ampia e fredda, fino al suo studio. Entra richiudendosi la porta con cautela e si avvicina allo scrittoio dove ricordava di aver lasciato la sua copia di “Sogno d’una notte di mezza estate”, una delle sue opere preferite. Nota con sorpresa, invece, che una raccolta di poesie di Heine è lì come se aspettasse di essere presa e aperta. Sissi nota il segnalibro e apre il volume alla pagina che riporta dei versi romantici, a lei già noti:
Oh non giurare e dammi
sol dei baci;
non credo al giuro di una donna: taci!
Dolce è la tua parola, ma più assai
il bacio che dal labbro ti strappai!
Nel bacio io credo, il bacio che m’hai dato;
la parola è soltanto un vano fiato.
Oh giura, mia diletta, quanto vuoi;
io credo in tutto ai giuramenti tuoi!
E se la testa affonda nel tuo seno,
credo allora che son felice appieno;
credo allora, diletta mia, che tu
m’ami in eterno, e forse anche di più.
Un sorriso ed una lacrima si affacciano contemporaneamente sul volto di Elisabetta, si abbandona sulla poltrona, in preda alla confusione e all’incertezza. É giusto rinunciare all’amore di un uomo che crede essere sincero? Perché non dovrebbe lasciarsi andare e provare ad essere felice? Desidera un uomo appassionato e forte che le dia i brividi ogni volta che la sfiori e non ha dubbi sul Conte, in questo senso. E le sue responsabilità di Sovrana? E la ragion di stato? E Franz?
La notte passa lenta e insonne anche per il Conte: si rimprovera di essere stato troppo tenero e accondiscendente e non si perdona di essere andato via da Palazzo in quel modo, senza averla portata via con sé. Naturalmente le lascerà qualche giorno di tempo per pensare a tutto ciò che è successo e poi tornerà al Castello. In un senso o nell’altro verrà presa una decisione, senza ulteriori rinvii. Quando il sole sorge, il Conte è già vestito: ordina che gli sia servita la colazione nel suo studio, dove è costretto a passare buona parte del suo tempo a casa, oberato com’è di richieste, proposte politiche, rapporti inviati da ogni angolo d’Europa. Dopo un paio d’ore di lavoro, Bernát bussa alla porta dello studio, reca in mano un biglietto che dice essergli stato recapitato da un messo di Palazzo. Il Conte dà istruzioni sugli impegni previsti per quella giornata al suo tuttofare e gli chiede di lasciare la lettera sul tavolino. Uscito Bernát, il Conte si alza dalla sua scrivania e va a prendere il biglietto. Lo avvicina al volto, percependone un profumo distinto: quello dei capelli di Sissi. Lo apre con calma e legge:
“Vi prego di tornare a Palazzo appena potrete. Non posso dare spettacolo venendovi a cercare, mi sono esposta già più del consentito. Vi aspetterò, non deludetemi. Elisabetta”
Sebbene muoia dalla voglia di vederla, decide di far passare ancora un giorno e dunque si reca con Bernát al Ministero per un’altra interminabilmente noiosa giornata di lavoro. In alcuni momenti, il segretario deve richiamare la sua attenzione, vedendolo perso dietro pensieri che stenta a immaginare. In ogni caso, la giornata trascorre quasi serena, a parte una discussione piuttosto accesa con un esponente politico turco. La serata del Conte deve necessariamente concludersi con la cena di lavoro presso l’Hotel Màtyàs a Terezvaros, centro di Buda-Pest. Non si è davvero mai annoiato così tanto e non è mai stato così distratto: è come se, d’improvviso, le sorti dell’Impero e dell’Ungheria non avessero più un posto nel suo elenco di priorità. Anzi, a dirla tutta, è come se non ci fosse più alcun elenco, ma una sola ed unica priorità. Si alza spazientito dalla tavola, a notte fonda, lasciando i commensali interdetti dal suo atteggiamento e il povero Bernát costretto a porgere le sue scuse frettolosamente per seguire il Conte, dove? Viene fatta avvicinare la carrozza e alla domanda del cocchiere «Dove vi porto, Eccellenza?» il Conte risponde: «Al Castello!» Bernát è disorientato. Ma come, recarsi a Palazzo a quest’ora? Non solo è sconveniente, ma del tutto azzardato e inopportuno. Naturalmente, tiene per sé queste valutazioni, sa bene che niente e nessuno può far cambiare idea a Sua Eccellenza. Bernát viene fatto scendere davanti alla residenza del Conte e la carrozza prosegue nella notte per Gödöllő.
All’arrivo, si nota una luce accendersi al piano terra e un servitore affacciarsi all’ingresso in veste da camera. Per nulla imbarazzato, il Conte chiede di vedere l’Imperatrice, nel trambusto generale e in mezzo alla servitù assonnata e indignata. É Ida a cercare di riportare la situazione ad uno stato più decoroso, chiedendo al Conte di accomodarsi nel salottino e attendere il tempo necessario a svegliare la Sovrana e avvisarla del suo arrivo. Se l’Arciduchessa Sofia fosse stata presente o se solo avesse saputo! Con questo pensiero, Ida bussa alla porta dell’Imperatrice: «Sono sveglia, Ida. Vieni pure. Ma che succede? Cos’è tutto questo vociare?»
«Il Conte Andrássy è qui e chiede di vedervi, Maestà.»
«Come…a quest’ora? Ma…» – la sorpresa e l’esitazione lasciano il posto all’emozione più inaspettata – «Presto, Ida! Dammi il vestito bianco e cerca di sistemarmi i capelli. Presto, presto!»
Ida sorride: era da molto tempo che non vedeva Erzsébet così vivace e colorita in volto: «Maestà, riacquistate la calma. Siete certa di volerlo ricevere? Sarebbe sconveniente e oltremodo inopportuno.» Le due donne si guardano per un istante e poi scoppiano in una risata complice. Appena scapigliata, ma perlomeno vestita e presentabile, l’Imperatrice si reca, scortata da Ida, in biblioteca, dove viene poi accompagnato il Conte. Per lui è questo il momento decisivo, niente più esitazioni, niente più scuse. Anche Elisabetta sa che non è il caso di tergiversare: deve dirgli sinceramente ed inequivocabilmente ciò che ha deciso.
CAPITOLO 7
“Signor, la donna ognora tempo ha di dir di sì.”
Susanna ne “Le Nozze di Figaro”
Nessuno dei servitori di palazzo se la sente di tornare a dormire: sono tutti riuniti in cucina e attendono il momento in cui il Conte ritornerà sulla sua carrozza, che è fuori con il povero cocchiere infreddolito. Una servetta viene mandata in cortile per invitarlo a scaldarsi davanti al camino, visto che nessuno sa quanto la disdicevole circostanza durerà. Naturalmente, c’è chi immagina che se fosse stata presente l’arciduchessa Sofia, il Conte sarebbe stato rimandato indietro e senza tante parole! Che scandalo! La situazione, invece, è ben diversa e ognuno di loro si impegna in elaborate trame con diversi finali, ma tutti nutrono la speranza che l’Imperatrice ritrovi il suo sorriso e ritorni ad essere felice.Eccoli: sono uno di fronte all’altra, tesi, emozionati, insonni da più di una notte. Soli. Il Conte sta per prendere la parola, quando Elisabetta, con un cenno della mano, lo invita ad accomodarsi e comincia dicendo in tono serio: «Conte Andrássy, vi ho accolto a quest’ora del tutto inappropriata a ricevere visite, perché vi avevo chiesto di tornare e di non deludermi…e voi lo avete fatto. So che, nonostante il mio orgoglio voglia impedirmelo, debbo porgervi le mie scuse per il modo in cui ho reagito l’ultima volta che ci siamo visti.» – dice, abbassando lo sguardo e la voce – «e so che avevate ragione quando mi avete rimproverato di fuggire davanti alle scelte».
Il Conte ascolta il suono delle parole di Elisabetta, ma è quasi ipnotizzato dai suoi occhi magnetici. In un momento di razionalità, teme che gli dirà che ha deciso di tornare a Vienna e di non vederlo mai più; pensa a cosa potrebbe dire o fare per convincerla a venire via con lui. «Ed è proprio per questo che ho accettato di vedervi ora…per comunicarvi la mia decisione»
«Altezza, non posso stare seduto ad aspettare il mio destino pronunciato dalle vostre labbra. Sappiate che io sono qui perché non ho mai vissuto un tale sconvolgimento nella mia vita e non mi sono mai sentito tanto legato ad una donna come lo sono a voi. So che non siamo persone comuni e qualsiasi decisione avrà implicazioni complesse, ma vi prego, lasciate che io provi ad amarvi! E lasciate che sia il vostro cuore a guidarvi…»
Gli occhi hanno un linguaggio proprio e, scambiandosi uno sguardo lungo e intenso, i loro si sono già detti tutto.
«Ho scritto a Vienna proprio stamane, chiedendo all’Imperatore perdono per la mia assenza prolungata e ingiustificata, ai suoi occhi.»
Il Conte serra le palpebre, come se in questo modo potesse non sentire la sua condanna. «Ho anche rimesso nelle sue mani il mio titolo imperiale annunciando la mia volontà di separarmi da lui». Queste ultime parole risentono dell’emozione crescente di Elisabetta e vengono fuori dalle sue labbra, esitanti e sommesse. Il Conte ha riaperto gli occhi e già sta pensando alle sue dimissioni. «Ringrazio Dio per avervi illuminata e vi prometto che sarò sempre al vostro fianco!» lo slancio del Conte lo porta ad afferrare le mani di Sissi e a mettersi in ginocchio davanti a lei: «Vi amo, Erzsébet!» – le bacia le mani con impeto – «Vi amo quanto non ho mai nemmeno immaginato fosse possibile!»
«Conte Andrássy, vi prego di alzarvi e di riprendere il controllo. Io non ho…» non riesce a terminare la frase perché il Conte si è rialzato e la ha presa fra le sue braccia, baciandola appassionatamente. É meraviglioso potersi lasciar andare così, pensa Sissi e abbandona la testa, per un attimo; cercando di allentare la presa, riacquista un briciolo di padronanza di sé e riesce a dire con affanno: «Non vi ho ancora dato il permesso di baciarmi».
«Chiedo perdono…Maestà» sussurra il Conte, continuando a baciarle le gote arrossate e il collo morbido. Sissi non ha proprio nessuna voglia che lui la smetta, è da tanto tempo che non riceve baci così caldi e travolgenti, aveva dimenticato quel formicolio lungo la schiena e quella morsa nel ventre.
«Conte Andrássy, vi prego, fatemi respirare…»
«Gyula…» sussurra il Conte «Scusami se ti ho tolto il respiro…»
Gyula ha sciolto l’abbraccio ma prende le mani di Sissi e resta in attesa delle sue parole. «Tu non sai in che guaio ti stai cacciando…sarà tutto complicato, io sono complicata!»
«So benissimo in che guaio mi sto cacciando e ne sono fiero! Non ho bisogno di portare la mia spada per sembrare un guerriero, io lo sono!»
Sissi non riesce a mascherare un sorriso: quest’uomo è il dono più bello che la vita potesse farle in questo momento, ma i timori e le incertezze, nonostante il suo spirito battagliero, la fanno procedere guardinga. «Non so ancora se vi amo, Conte, ma so che avete vinto una battaglia difficile, atterrando le mie difese. La guerra che seguirà metterà a dura prova le mie e le vostre forze. Siete pronto ad affrontarla?»
«Non c’è nemico che desidero sconfiggere più di quello che distinguo ora e che minaccia la nostra felicità. Non temere, mia Erzsébet. Ci sono ombre più scure dove la luce è più forte…per dirla con Goethe».
«Nonostante tutto, non voglio rinunciare a te, ora» dice Sissi guardando Gyula dritto negli occhi. L’abbraccio che li intreccia è il sigillo alle loro intenzioni, la firma al loro patto d’amore, e il bacio che li unisce è lo stendardo sotto il quale entreranno in battaglia.
CAPITOLO 8
“Il petto gli si sollevò, come se il cuore, stanco di quel tirannico dominio, si fosse gonfiato, a dispetto della volontà, e avesse fatto un balzo per conquistarsi la libertà.”
Charlotte Bronte Jane Eyre
La carrozza del Conte ha lasciato il Castello poco prima dell’alba: nella grande cucina, il fuoco è ormai spento e i servitori rimasti sonnecchiano con le teste appoggiate al tavolo. Elisabetta giace addormentata nel suo letto, presa in un sonno profondo, Ida si è arresa sul divano del salottino accanto alla camera di Sissi. Gyula è tornato alla sua residenza con il cuore in giubilo e la mente invasa da mille pensieri: appena arrivato ha svegliato Bernát, chiedendogli di recarsi con lui nello studio per scrivere una lettera all’Imperatore. Neanche il tempo di fargli infilare una veste da camera e gli occhiali, il Conte cambia idea e gli accorda un’altra ora di sonno. Che ne sa Bernát, poverino, di cosa ha nel cuore e nella testa? Data l’ora, però, non gli è possibile fare nulla se non pensare e ripensare a quei baci e a quelle parole. Sa che Sissi ha ragione: sarà tutto complicato, ma non vede altra possibilità se non perseguire la loro felicità. L’orologio nella sala batte sei rintocchi, un’altra notte insonne è appena passata, ma questa giornata sarà vissuta con lo spirito orgoglioso e combattivo dei magiari. Repentinamente, si alza da quella poltrona che sembra incandescente e corre verso la sua camera, dove il buon Bernát ha già scelto e adagiato sul letto l’abito e la camicia. Un bagno veloce, una spuntatina alla barba, la colazione affrettata, il tutto con la presenza costante e trafelata del suo fido segretario, il quale continua a domandarsi quale possa essere la cagione di tanta fretta. La carrozza lo attende fuori: il cocchiere assonnato ha capito che è meglio rassegnarsi a giornate particolarmente movimentate. Tenui raggi di sole illuminano questa giornata fredda e la brina sulle foglie crea riflessi brillanti: nulla può andare storto in una giornata come questa. Il Conte è bello come il sole e quasi altrettanto radioso: ha in mente centinaia di idee, un vero turbinio di pensieri, ma il primo obiettivo da realizzare non può aspettare.
Ha deciso di farsi portare al Ministero, presso il suo ufficio perché è il suo quartier generale e di là potrà dirigere le operazioni. Appena varcata la soglia di ingresso del grande palazzo, il Conte viene circondato da un numero imprecisato di postulanti ed impiegati vari, tutti puntualmente mandati al diavolo da lui, ma prontamente apostrofati dal suo segretario con diverse frasi di scuse e inchini cortesi. In ufficio, impartisce ordini precisi al segretario: contattare il Direttore della Scuola di Musica di Buda-Pest e convocarlo immediatamente in ufficio. Fa convocare anche il fioraio e il pasticcere migliore della città. In un lampo di razionalità ricorda a sé stesso che il suo ruolo, in quel Palazzo, prevede il suo impegno costante nel perseguire l’equilibrio dell’Impero in tutte le sue Province e Territori. Per un attimo la sua mente ritorna ai tempi in cui, esule, pensava alla sua terra, promettendo di farci ritorno per guidarla verso l’indipendenza. L’Europa è un continente in tumulto, molti cambiamenti si profilano all’orizzonte e il Conte è pronto a fare la sua parte per consentire all’Ungheria di divenire un paese libero e moderno: anche l’Imperatore dovrà fare posto al nuovo che avanza e comprendere che ogni Stato ha l’esigenza di essere autonomo e sovrano. Divagazioni! Bernát è già indaffarato ad eseguire i compiti assegnatigli: sa bene che il Conte non ama le perdite di tempo e i ritardi, per cui ha già mandato uno dei galoppini del Ministero a cercare il Maestro Merse.Il fioraio, allarmato, si è precipitato nell’ufficio del Conte, avvantaggiato dalla vicinanza al Ministero della sua bottega. «Fiordalisi e mughetti in questa stagione?»
L’occhiataccia del Conte non è passibile di malintesi, il fioraio si inchina e corre alla bottega in preda all’ansia. É il turno del titolare della pasticceria più amata da Sissi, la Ruszwurm Cukraszda, al quale viene commissionata una Sacher Torte “indefettibile”, secondo l’indicazione del Conte. Oltre la porta dell’ufficio del Ministro Andrássy, regna la confusione più indegna per un Palazzo Governativo: tutti i convocati e gli astanti chiedono lumi a Bernát, ma senza alcun risultato, dato che anche lui è assalito da una assoluta inconsapevolezza dei fatti. Inutile precisare che l’unico per cui il quadro d’unione è perfettamente chiaro è il Conte, il quale a sua volta ignora che, in solo mezz’ora, ha gettato quasi tutto il Ministero in uno scompiglio senza precedenti. Dopo aver sistemato le frivolezze, è tempo di pensare sul serio alle prossime mosse: è necessario attendere la risposta dell’Imperatore alla richiesta di separazione di Sissi e occorre stabilire quale linea di comportamento seguire. Sarebbe consigliabile non inasprire ulteriormente l’animo di Franz Joseph presentandogli anche le sue dimissioni. Meglio continuare a lavorare per l’Ungheria, prendendo tempo. Guarda l’orologio: vorrebbe sapere se Sissi si è svegliata, se ha riposato bene, se è già vestita e pettinata. Sospira, niente, non riesce a pensare agli affari di stato.
Scrive un biglietto da far recapitare a Ida Ferenczy; sa bene quanto sia importante il sostegno di Ida per Sissi e le parole in quel biglietto sono state scritte con la più spontanea sincerità. «Bernát! Ma dove sei?» apre la porta del suo ufficio e, pur ritrovandosi accerchiato da decine di gentiluomini inviperiti, si dirige dritto verso il suo fidato amico e, tirandolo per la giacca pur di sottrarlo ad un altro gruppetto di “visitatori”, gli affida il biglietto, con il perentorio ordine di consegnarlo nelle mani di Ida e nessun altro, «Sono stato chiaro, Bernát?» Il povero segretario accoglie quell’incarico con serietà ma soprattutto con sollievo, e si allontana continuando a scusarsi con tutti i presenti, fermandosi per un attimo nel cortile delle carrozze, respirando l’aria pungente di quel mattino movimentato. Sale in carrozza, diretto al Castello di Grassalkovich, dove Ida sta aiutando l’Imperatrice a vestirsi, dopo il bagno e i suoi esercizi ginnici. Sembrano due adolescenti dopo il ballo, non fanno che parlare e sorridersi, anche se non possono ignorare entrambe la sensazione che giorni difficili si avvicinano. Quando la carrozza con a bordo Bernát arriva a Palazzo, Sissi e Ida si precipitano alla finestra ma, deluse ne vedono discendere “solo” il segretario del Conte, visibilmente agitato e impaziente. La servitù lo invita a entrare ed egli chiede di vedere la signorina Ferenczy con urgenza. Quando Ida scende, il segretario si dirige verso di lei, pronunciando parole quasi incomprensibili, tendendo la mano che stringe il biglietto, inchinato in modo improbabile e grottesco. Soffocando una risata, Ida lo ringrazia e lo congeda cortesemente; ora è proprio costretto a rientrare al Ministero per affrontare chissà quale altro cimento in questa giornata insolita e travagliata.
CAPITOLO 9
“Solo gli imbecilli non sono ghiotti… si è ghiotti come poeti, si è ghiotti come artisti…”
Guy De Maupassant
«È del Conte?» chiede a mezza voce Sissi quando Ida ritorna nella stanza dell’Imperatrice con una busta nelle mani. «Si, Maestà…ed è indirizzata a me. Dite che debbo aprirla?»
«Ma certo che devi, mia cara! Cosa aspetti?» Ida strappa la busta e dispiega il foglio, legge ad alta voce:
“So che vi stupirete, mia cara Ida, ma ho sentito nel cuore il bisogno di condividere anche con voi la gioia che vi alberga in questo momento. So quanto siete legata all’Imperatrice e so che detestate vederla soffrire: è per questo che desidero rassicurarvi sulla natura dei miei sentimenti nei confronti di Sua Maestà. Sono l’uomo più felice del mondo, ora che so che il mio amore intenso e sincero è altrettanto sinceramente ricambiato. Non potrei desiderare null’altro se non la felicità di Sissi e sono pienamente consapevole delle enormi difficoltà cui andiamo incontro. Sono quanto mai sicuro, tuttavia, che riusciremo insieme ad uscire dalla tempesta che si prospetta all’orizzonte più forti che mai, grazie anche all’incoraggiamento e al sostegno che non farete mancare alla vostra Regina. Sto preparando una sorpresa per Sissi e spero di poter contare sulla vostra complicità. Avrete maggiori ragguagli presto. Con rispetto e ammirazione Gyula Andrássy”
Ida ripiega il foglio con un sorriso sincero, Sissi è quasi in lacrime: per prima cosa, avverte Ida di non voler sapere nulla riguardo alla sorpresa, poi stringe le mani dell’amica e con gli occhi umidi, dice: «Me la merito un po’ di felicità, non è vero, Ida?»
«Più di chiunque altro io conosca, Maestà». Le due donne si abbracciano, si guardano a lungo sorridendosi, poi scendono insieme per la passeggiata quotidiana. La giornata del Conte procede senza sosta e sono quasi le dieci quando finalmente gli annunciano la presenza del Maestro Merse: il Direttore del Conservatorio riceve un incarico senza precedenti per originalità e difficoltà, naturalmente. Il Conte non ammette obiezioni, lamentele o contestazioni e il Maestro lascia l’ufficio cercando di capire se ciò che gli è stato chiesto porterà più gloria o grattacapi, in ogni caso, l’evento è una vera sfida e merita il massimo della sua dedizione e attenzione.
Ecco il fioraio giungere affannato: è riuscito, non sa bene come neanche lui, a trovare i fiori preferiti dell’Imperatrice e assicura il Conte che saranno consegnati a Palazzo nel primo pomeriggio. Il Conte non nasconde la propria soddisfazione e chiede a Bernát notizie della torta: vorrebbe che fosse consegnata contemporaneamente ai fiori. Viene dunque mandato un galoppino alla pasticceria con l’ordine perentorio di far giungere la Sacher anch’essa nel primo pomeriggio a Gödöllő. Tutto sembra procedere secondo i piani, ma il Conte è inquieto, agitato: se c’è una cosa che gli costa è aspettare. Vorrebbe essere già al cospetto dell’Imperatore, vorrebbe essere già a casa con Sissi! Quanto vorrebbe poterla stringere tra le sue braccia ora, sempre, in qualsiasi momento. Qualcuno bussa alla porta del suo ufficio. Bernát entra e chiede se, finalmente, sia il caso di procedere con l’ordine del giorno. A malincuore, il Ministro riprende possesso di sé stesso e del suo dovere, con grande sollievo del suo segretario esausto.
E sono solo le undici e quindici.
A Gödöllő, il Palazzo Imperiale brulica di servitù e facchini: l’Imperatrice ha espresso il desiderio di allestire una vera e propria palestra con attrezzi e accessori e i lavori procedono a ritmo sostenuto con Elisabetta a seguirli personalmente. Quando giunge l’ora di pranzo, l’Imperatrice congeda tutti e viene stabilito che il mattino successivo i lavori riprenderanno alle otto in punto. Sissi e Ida pranzano insieme e, al termine del pasto, l’Imperatrice si avvia verso la biblioteca, dove ama distendersi sul canapè alla luce del debole sole invernale, attorniata dai suoi libri e da alcuni dei suoi quadri preferiti. Leggero come un velo, il sonno le annebbia la vista e la coscienza, regalandole un momento di distacco dal mondo e da tutte le preoccupazioni. Quando riapre gli occhi il sole è appena un debole bagliore e Sissi stenta a credere di aver dormito tanto. Il tocco lieve della mano di Ida sulla porta la invita a tornare alla realtà: sull’uscio vede la sua amorevole amica con un sorriso raggiante e ascolta la sua voce emozionata dire: «Maestà! Venite a vedere cosa hanno portato per Voi! Venite, presto!».
Sissi è curiosa e impaziente ma, nonostante tutto, marcia con passo elegante, seguendo Ida che, ogni due passi, si volta a guardarla entusiasta. Sulla soglia del salone, che porta il suo nome, Sissi si ferma e non può fare a meno di socchiudere la bocca per lo stupore: una meravigliosa e trionfalmente grande Sacher Torte fa bella mostra di sé sul tavolino allestito per l’occasione e uno splendido cesto alto e stretto mostra allegri fiordalisi e mughetti profumati. Come rimanere insensibili a tutto ciò? «È opera del Conte, vero Ida?»
«Potete dubitarne, Maestà? Ecco qui il biglietto…» Sissi legge rimanendo immobile: «Mia adorata, invano ho cercato qualcosa che eguagliasse la tua dolcezza e beltà, ma temo di non esservi riuscito. In ogni caso, tieni da parte una fetta di torta per me. Tuo Gyula».
La carrozza del Conte percorre la strada per il Palazzo Imperiale ed è quasi il tramonto: è un orario più che consono per un incontro galante e goloso. Al suo arrivo, il Conte viene fatto accomodare nel salone di Sissi, in attesa della Sovrana che non tarda a mostrarsi in tutto il suo fascino. Ha indosso un abito in seta viola ed i capelli raccolti in una acconciatura elaborata. È splendida e l’uomo che la attende è letteralmente soggiogato e irrimediabilmente attratto dal carisma e dalla bellezza di questa creatura fiera ed elegante. Sissi va incontro a Gyula, tendendogli la mano e il Conte si avvicina e le stringe entrambe le mani.
«Nessuno potrà raggiungere l’isola che io preparerò per te… io solo potrò turbare i tuoi sogni e i tuoi giorni. Sei mia, Sissi». Il bacio più travolgente e appassionato, l’abbraccio più possente e rassicurante, il silenzio più assoluto e denso di parole è tutto ciò che si presenta ai loro sensi in quell’istante. Non esiste il castello, la stanza, la servitù, il tappeto, le scale, il cielo, l’erba, il freddo, l’inverno. Quell’isola è così vicina che già possono distinguerne i contorni, i suoni e gli aromi.Nessuno dei due vuole sciogliere l’abbraccio, ma Sissi posa le mani sul petto di Gyula e respira forte. Poi sorride e sussurra: «Sapete bene come togliere il fiato ad una donna, Conte…non dimenticate comunque che io sono un’atleta e recupero in fretta».
«Bene, Maestà» sussurra divertito a sua volta Gyula «sarà più stimolante provare a togliervelo, sempre più a lungo…e ora, spero per te che la mia fetta di torta sia stata messa da parte perché ho una fame spaventosa!». Entrambi sorridono e Sissi prende per mano Gyula dicendo: «Venite con me, Conte famelico.» Si dirigono verso la cucina, tenendosi per mano, camminando piano. Davanti all’indefettibile Sacher nessuno dei due riesce più a parlare.
CAPITOLO 10
“Cerchiamo dunque un bene non apparente ma vero, che sia costante e bello nella sua intima essenza: è questo che dobbiamo sprigionare e portare alla luce. Non è lontano, lo troveremo, ci basta solo sapere dove tendere la mano.”
Seneca – La Felicità
«Ma per tutte le note del pentagramma! Mia cara fanciulla, no! Così non va! Herr Mozart volterebbe le spalle e andrebbe via infuriato, benedetta bambina!». Il pingue direttore del Conservatorio di Buda-Pest, il Maestro Merse pensa che non arriverà all’età della pensione se le prove di queste “Nozze di Figaro” non prenderanno la piega da lui desiderata: un passo dalla perfezione! D’altro canto il destinatario di questa recita è meritevole della migliore esecuzione possibile. «Allora, ricominciamo, mia cara – per asciugare il sudore dalla fronte, prende dalla tasca interna della giacca un fazzoletto bianco ricamato – riprendiamo dall’entrata in scena di Cherubino – batte le mani per richiamare l’attenzione dei cantanti e dell’orchestra – Suvvia, Signori! Sapete bene che questo nostro spettacolo avrà una spettatrice eccezionale! Dio non voglia che io abbia da vergognarmi di fronte a… insomma, volete prendere i vostri posti, voi lì sul palco?» La pazienza proverbiale del Maestro Merse sta per esaurirsi, vorrebbe solo che questa difficile sfida resti un terribile ricordo. Si siede su una delle poltrone in quinta fila e assiste al proseguimento delle prove.
La compagnia messa insieme dal Maestro Merse è impegnata nel quarto atto, quando la porta del piccolo teatro del conservatorio si spalanca per lasciare entrare Bernát, il quale da settimane ormai, esegue ordini inusuali senza nemmeno porsi domande. Il segretario del Conte si avvicina al Maestro per consegnargli un messaggio urgente. Merse apre il foglio e legge ansiosamente il contenuto del biglietto e, successivamente, si accascia sulla poltrona in preda ad un attacco di nervi.
«Ma come? Così presto? Aveva detto tre settimane!» – gli occhi sbarrati e il viso paonazzo, il Maestro pensa che l’intero universo stia cospirando contro di lui – «Bontà divina! Non si sta allestendo uno sciocco divertissement, badate bene, bensì una delle opere più complesse del grande Mozart!» Anche Bernát vorrebbe lasciarsi andare e rispondere alzando la voce. «Non prendetevela con me!» ma deve mantenere il suo solito aplomb e infatti risponde: «Cosa devo riferire a Sua Eccellenza?» Il Maestro Merse sa che non gli sarà permesso prendere altro tempo e, molto malvolentieri, acconsente alla rappresentazione nel giorno richiesto dal Conte. Bernát saluta con un inchino e riprende la carrozza, dopo aver percorso il corridoio centrale del teatrino, di spalle alle proteste della troupe e alle esclamazioni disperate del Maestro. Il Ministro Andrássy, chiuso nel suo ufficio, sta scrivendo a Ida spiegandole in cosa consista la sorpresa per Sissi e aggiungendo ogni dettaglio utile: è necessaria la sua collaborazione e il Conte non ha dubbi sulla riuscita del suo piano. Di ritorno dal Conservatorio, Bernát entra nell’ufficio, già preparato ad un’altra estrosa richiesta. Dal sorriso stampato sulla faccia del Conte non si può certo dubitare che il divertimento in questa faccenda sia tutto suo! Provando imbarazzo per quel pensiero così sfrontato, Bernát si avvicina a Sua Eccellenza e gli chiede se ci sono ulteriori commissioni da sbrigare. Immancabilmente, l’ennesimo biglietto per la signorina Ferenczy viene affidato alle leali mani del tuttofare, il quale esce con un inchino, assicurando di consegnare il messaggio esclusivamente nelle mani della destinataria. La carrozza in pochi istanti è già diretta fuori dalla città, verso Gödöllő. Con un pensiero di meno nella testa, il Conte procede ad incontrare il neo Ministro degli Esteri britannico Salisbury. L’ordine del giorno è di una certa rilevanza, dato che tra le diplomazie europee fervono le trattative per stipulare accordi preventivi, in vista del Congresso di Berlino, programmato per il mese di luglio. L’Austria ha ritenuto necessario convocare una conferenza nella quale gli stati europei, preoccupati per la crisi economica e per il temuto inasprimento dei moti rivoluzionari, potessero accordarsi per prevenire ulteriori possibili conflitti. In quest’ottica, il Ministro Salisbury intende prospettare al Ministro Andrássy la neutralità della Gran Bretagna in caso di un conflitto tra Austria e Russia. Dopo quasi un’ora di colloquio, il Ministro Salisbury si congeda dal suo collega ungherese con una stretta di mano e con l’impegno di rivedersi in caso di eventuali accordi tra le altre nazioni. Rimasto solo, il Conte si sofferma a pensare a quanto sia cruciale questo momento storico: è certo che i suoi occhi saranno testimoni di radicali cambiamenti nell’assetto politico dell’Europa e vede sempre più chiara all’orizzonte la prospettiva della libertà dell’Ungheria e il suo riconoscimento come stato autonomo. Rapito da queste visioni del futuro, il Conte perde per qualche istante il senso del tempo, si riprende quando sente qualcuno bussare alla porta.
«Avanti!» ma nessuno manifesta la propria presenza. Il Conte, dopo aver pronunciato il suo invito ad entrare ancora una volta, si dirige verso l’uscio chiuso. Aprendolo e non vedendo nessuno, si guarda intorno ma il movimento in quel corridoio non sembra diverso dal solito. Dubbioso e inquieto, fa per rientrare nella stanza quando si accorge che un foglietto ripiegato è stato infilato sotto la porta: si china per raccoglierlo e richiude la porta alle sue spalle. Apre il biglietto e legge: «L’Imperatore si sta recando a Gödöllő in gran segreto per riportare a Vienna l’Imperatrice. Un’amica».
Al Castello, Elisabetta sta scegliendo i nuovi abiti per l’imminente primavera e le stanze dell’Imperatrice ospitano un via vai frenetico e frusciante. Ida si precipita nella camera dell’Imperatrice e lascia intuire dall’espressione del suo viso l’identità del visitatore.
«Ida, chi è arrivato? Cos’è quel turbamento che leggo sul tuo volto? Non sarà… Franz! Franz è qui?»
«Si, Maestà…» Anche Elisabetta ora è visibilmente turbata, sa che Franz è venuto fin qui per riportarla a Vienna. Chiede a Ida di far attendere l’Imperatore in biblioteca e deve necessariamente prendere qualche minuto per pensare a ciò che dirà a suo marito. Passeggia nervosamente per la stanza, torturandosi le mani, tuttavia, dopo qualche minuto, si ferma, si ravvia i capelli, tira un poderoso respiro e si avvia giù per le scale.
CAPITOLO 11
“Una montagna non può spaventare chi vi è nato”
Friedrich von Schiller
«Eccomi, Franz…»
Si richiude la porta alle spalle e resta immobile sulla soglia, aspettando che suo marito si volti a guardarla. Lui è in piedi davanti al camino e quando la sente arrivare, abbandona per un attimo la testa in avanti e infine si gira su sé stesso. Ora i loro sguardi cercano di resistersi, ma Franz per primo abbassa gli occhi e saluta Elisabetta con un freddo inchino. La sua espressione è grave e severa, non avrebbe mai creduto di dover arrivare a questo punto. Sissi si è imposta di apparire calma e guarda l’Imperatore tenendo la testa alta e lo sguardo fermo. Nessuno dei due si siede.
«Sono lieto di trovarti in salute. La tua amata Ungheria non ha tradito le tue aspettative. Vienna è stata particolarmente fredda.»
«Franz, so perché sei venuto, non mi aspetto che tu mi parli del clima. Ci sono delle parole che io desidero sentir pronunciare da te e se non le ascolterò oggi, allora sai che il tuo viaggio fin qui è stato inutile.»
«Sissi, ti prego di considerare quanto mi è costato decidere di raggiungerti qui, lasciando la Hofburg e i miei doveri. Maman era assolutamente contraria, ma come vedi sono qui. Ascoltami, è necessario che tu rifletta sulle tue scelte e sul peso che esse hanno non solo sulla tua vita, ma su quella di tutto l’Impero! Sei una Sovrana, per Dio! Non puoi permetterti di seguire i tuoi desideri e i tuoi capricci! Devi restare al tuo posto, sempre, nonostante tutto!» nel corso dell’ultima frase il tono di voce dell’Imperatore si è fatto sempre più agitato e la muscolatura del viso contratta gli conferisce un’espressione nervosa e irritata. «Ti ho lasciato praticare i tuoi esercizi ginnici, nonostante Maman fosse contraria e ti ho anche permesso di circondarti di questi…ungheresi, ma non posso tollerare oltre».
Elisabetta ha ascoltato rimanendo ferma e quando Franz ha taciuto, si è diretta verso la poltrona e si è seduta, invitando suo marito a fare altrettanto, il tutto pacatamente e con un sorriso appena abbozzato.
«Mio caro Franz» esordisce dolcemente Elisabetta «so bene quanto sia stato arduo per te decidere di venire qui, credimi. Ho ascoltato bene le tue parole, ma nessuna di esse mirava al mio cuore! Comprendo le tue ragionevoli obiezioni al mio comportamento, sebbene tu non comprenda il mio tormento: mi parli dell’Impero, degli obblighi, ma non ti ho sentito dire quanto mi ami e quanto vuoi che io ritorni da te! Ricordi quando ti dissi che mi sentivo più un animale selvatico che una regina? Ebbene, ti ho permesso di addomesticarmi perché ero certa che con il tuo amore e il tuo sostegno non sarebbe stato troppo difficile, e che infondo fosse giusto, visto il ruolo che mi attendeva. Invece sono rimasta sola perché tu eri sempre altrove, con il corpo o con la mente. Quanto tempo pensi che io possa resistere ancora in un recinto? Pensi che potrei continuare a vivere in catene e senza amore? Morirei, Franz e tu sai che è così».
L’Imperatore ha il capo chino e un’espressione amareggiata e pone a Sissi l’unica domanda che si affaccia alla sua mente in quel momento: «C’è un altro uomo? Dimmelo, Sissi!»
«Sai bene che non sono andata via da Vienna per un altro uomo…»
Affranto e sconfitto, Franz si alza e con atteggiamento marziale pronuncia il suo congedo: «Capisco. Se la tua decisione è presa, non mi resta che andare via. Riceverai istruzioni appena avrò parlato con il mio Gabinetto e con Maman, naturalmente».
«Naturalmente! Voglio solo dirti che io ti ho amato davvero e che se fossi stato un uomo comune, non ti avrei mai lasciato.» Un lungo silenzio vibra nella stanza.
«Addio, Franz.»
«Addio, Sissi.»
L’Imperatore esce dal campo di battaglia più amaro e costoso: una disfatta così bruciante e dolorosa non era mai stata contemplata per un Asburgo. Elisabetta rimane sola e stavolta lascia alle lacrime libero sfogo, troppo a lungo represse, diventano due ripide cascate dal potere liberatorio e catartico. É come se finalmente quella diga fatale fosse venuta giù sgretolandosi all’istante, travolgendo ogni cosa.La servitù guarda andar via l’Imperatore chiedendosi cosa sia successo e Ida si precipita alla porta della biblioteca. «Posso entrare, Maestà?» Elisabetta cerca di far uscire un filo di voce per rispondere «Si, Ida…vieni pure».
Ida non impiega che qualche istante a capire ciò che è appena accaduto e si avvicina a Sissi. «Fate bene, Maestà. Piangete e cancellate tutto il dolore. Io sono qui con voi».
Elisabetta si alza di slancio e abbraccia la sua affezionata amica, continuando a singhiozzare. In quel preciso istante, Bernát è arrivato a Palazzo, incrociando la carrozza con a bordo l’Imperatore. Incredulo e sbigottito si fa mille domande, ma infine pensa di essere eccessivamente sfrontato e scende dalla carrozza impettito e serio, recando il messaggio del Conte per la signorina Ferenczy. Ai valletti che lo invitano a consegnare a loro la missiva, Bernát risponde che ha il preciso obbligo di riporla nelle mani della signorina, personalmente. Viene dunque mandata a chiamare Ida, la quale ha appena accompagnato Elisabetta nelle sue camere per consentirle di calmarsi e riposare.
«Un altro messaggio del Conte Andrássy?»
«Si, Signorina Ferenczy. Il Conte mi ha ordinato di affidarlo alle vostre mani e a i vostri occhi in maniera esclusiva»
«Vi ringrazio e porgete i miei saluti al Conte»
«Sarà fatto, Signorina. Arrivederci.» Ida legge il biglietto d’un fiato e non può fare a meno di sorridere, sarà meraviglioso – pensa – e Sua Maestà ne sarà felicissima.
Il Conte è alla sua scrivania in preda a pensieri e dubbi che lo tormentano. Chi ha scritto e portato quel biglietto? Con che intenzioni l’Imperatore va ad incontrare Sissi? Non appena sarà rientrato Bernát, si recherà a Palazzo per avvisarla dell’imminente arrivo dell’Imperatore.
Eccolo. Bernát entra nell’ufficio accolto da uno sguardo interrogativo del Conte che però non fa in tempo a proferire parola: «Eccellenza, per quanto potrà sembrarvi strano, vi posso assicurare che l’Imperatore era a Gödöllő pochi minuti fa! L’ho visto io con i miei occhi andar via dal Castello mentre io arrivavo».
Il Conte si alza dalla sua poltrona e senza una sola parola, prende il mantello e, lasciando solo e inebetito il suo segretario, percorre il corridoio velocemente verso il cortile delle carrozze e in tono perentorio ordina al cocchiere di dirigersi al Castello. Fortunatamente, il povero Iszàk è riuscito almeno ad abbeverare i cavalli, quasi indovinando un’ulteriore corsa a Palazzo. Durante il tragitto, il Conte è impaziente e ansioso, immagina scenari diversi, progetta soluzioni improbabili. Alla fine la forza del sentimento che lo spinge sgomina tutte le ipotesi e le illazioni.
Arrivato a Palazzo si scopre terribilmente ansioso di abbracciare Sissi e spera che non sia troppo sconvolta dall’accaduto, tanto da non desiderare incontrarlo. Accomodatosi nel salone, Sua Eccellenza attende di vedere il guizzo di quegli occhi che lo hanno stregato e ricorda una frase di Schiller: «Chi non osa nulla, non speri in nulla».
Il Conte sente di poter sperare, oltre ogni limite!
CAPITOLO 12
“Porgi, amor qualche ristoro. Al mio duolo, a’ miei sospir. O mi rendi il mio tesoro. O mi lascia almen morir.”
Le Nozze di Figaro, Atto Secondo
W.A. Mozart
Il Maestro Merse e tutta la compagnia sono alle prese con gli ultimi dettagli. L’indomani, finalmente, tutto questo trambusto sarà finito ed ognuno potrà ritornare ai soliti impegni. Le prove generali rivelano tensione e grande emozione e Merse, tra una crisi di nervi e l’altra, scongiura eventuali incidenti ed imprevisti con formule e rituali di cui nessuno della compagnia sembra essere al corrente.
Il Conte è terribilmente desideroso di veder apparire Sissi: la sta attendendo da qualche minuto nella biblioteca del Castello e sta cercando di immaginare cosa può averle detto l’Imperatore. Continua a camminare su e giù per la stanza, con le mani dietro la schiena, in atteggiamento pensoso e serio. Finalmente la porta si apre. É Ida che chiede al Conte di recarsi nella stanza dell’Imperatrice, troppo sconvolta per lasciare i suoi appartamenti. Gyula si precipita su per le scale, non prima di aver ricevuto da Ida rassicurazioni sul messaggio da lui inviato. Bussando alla porta della camera di Sissi, prova il desiderio di tenerla a lungo nelle sue braccia ed è proprio ciò che fa, appena gli viene concesso di entrare. Sissi è seduta alla sua poltrona, con il viso arrossato e gli occhi ancora umidi, i capelli leggermente spettinati.
Gyula si inginocchia e la stringe a sé, per un tempo che a entrambi sembra infinito. Nessuno dei due parla, ma quando l’abbraccio si scioglie, il Conte guarda Sissi dritto negli occhi: «Sii felice con me, Erzsèbet. Basta lacrime.» Il volto di Sissi si illumina, i suoi occhi riacquistano il guizzo che Gyula ama tanto, la voce torna ad essere chiara e ferma: «Sì, basta lacrime. Portami sulla tua isola, Conte Andrássy…»
Gyula le sorride, accarezzandole il viso e i capelli: «Lo farei in questo momento stesso, mia Regina, ma temo che dovrete attendere domani. Avete un invito all’opera»
«All’opera? Ma no, no…non ne so nulla. Quale invito? E da chi?»
«Saprai tutto domani. Pronta alle 19 precise, non posso dirti niente di più.» Il sorriso di Sissi è semplicemente radioso, come probabilmente non lo era da tempo: quest’uomo le sta restituendo la gioia di vivere e la speranza di una felicità vera e palpabile. «Franz è stato qui…»
«Lo so, amore mio. Lo ha incrociato Bernát: ecco perché mi sono precipitato qui. Se tu hai deciso di darmi la possibilità di renderti felice, non devi temere nulla. Mi occuperò io di tutto»
Sissi sorride, sa che è così. Ha deciso di dargli questa possibilità ed in cuor suo sente che quella felicità è ad un passo, deve solo allungare la mano ed afferrarla. Restano abbracciati ancora per un po’. Gyula è costretto a tornare al Ministero per un incontro con alcuni esponenti politici ungheresi e, anche se vorrebbe non lasciarla più, deve necessariamente rientrare a Buda-Pest. «Stasera, quando sarai nel tuo letto, chiudi gli occhi e immagina di avermi al tuo fianco, sentirai le mie mani sfiorarti i capelli e percorrerti delicatamente la schiena. Sentirai le mie labbra poggiarsi leggere sul tuo collo, ripetutamente…»
Sissi ascolta le parole sussurrate da Gyula al suo orecchio con gli occhi chiusi, le gote in fiamme, trattenendo il respiro. «A presto, amor mio…»
Un bacio appassionato sulle labbra e Gyula esce dalla stanza, lasciando il suo aroma tutto intorno a Sissi. Lei resta per qualche istante così, immobile, rapita dall’incanto suggestivo di quelle immagini evocate, avvertendo ancora la leggerezza delle mani di Gyula sulla sua pelle. Deve scuotere la testa per riprendere il controllo di sé e fare appello alle sue forze impigrite dall’indugiare delle fantasie. Ida bussa alla sua porta e Sissi la invita ad entrare, con un tono di voce che è sufficiente all’affettuosa amica per realizzare lo stato di grazia in cui si trova la Sovrana. Che sollievo! Cominciano a parlare senza sosta, hanno tante cose da dirsi e Sissi desidera che Ida la aiuti a scegliere un abito per il misterioso appuntamento all’opera. Ida sorride, essendo già al corrente, grazie al messaggio del Conte, della meravigliosa sorpresa per Sissi e non esita a consigliarle l’abito color avorio con perle e pizzo francese. Al termine delle confidenze e dei preparativi, Ida si congeda dalla Sovrana, comunicandole che la cena sarebbe stata servita di lì a breve. Con un sospiro ed un sorriso luminoso, Sissi ringrazia la sua amica, che esce richiudendosi la porta alle sue spalle.
Dopo cena, comodamente distesa nel grande letto e avvolta da morbide coltri, Sissi chiude gli occhi e, come Gyula le aveva detto, può sentire le sue mani tra i capelli, le sue labbra sulla pelle e ancora il suo aroma, di cui tutto il suo mondo sembra essere ormai imbevuto. Il Conte è alle prese con un’assemblea mortalmente noiosa, specie se considera dove e con chi avrebbe potuto essere in quel momento. Il pensiero è proiettato al giorno dopo e non riesce ad evitare di sorridere, immaginando l’espressione di Sissi quando scoprirà la sorpresa che ha architettato per lei. Per fortuna i partecipanti all’incontro decidono di rimandare le conclusioni ad altra data, vista l’ora, e il Conte, con soddisfazione malcelata, congeda tutti elegantemente.
Rientrando a casa, Gyula si sofferma per qualche istante, una volta sceso dalla carrozza, ad osservare il cielo. É una notte stellata e luminosa, l’aria si sta facendo meno fredda, il profumo della primavera comincia ad aleggiare.
Più tardi, buttandosi stanco sul suo letto, non può fare a meno di pensare alla sua Sissi e, chiudendo gli occhi, la immagina fra le sue braccia, respira il suo profumo, sfiora i suoi capelli, assapora le sue labbra…
CAPITOLO 13
“Ora cosa è mai per loro il mondo con tutte le sue vicende di stagioni e di tempo? Ogni creatura, il cielo, la terra, sono nulla alla mente e agli occhi loro. Uno respira l’alito dell’altro.”
Lord Byron Parisina
Un piacere da molto tempo dimenticato: svegliarsi ritemprata dopo un sonno ininterrotto e sereno, desiderosa di vivere la giornata che la attende con impaziente gioia e immaginando la sorpresa che è stata preparata per lei. Qualche nuvolone nero fa capolino all’orizzonte, ma oggi Sissi non è disposta a far adombrare il cielo ridente che l’ha accolta al risveglio. La colazione, seguita dall’immancabile passeggiata di primo mattino, è un rituale rassicurante e necessario al suo equilibrio, ma sorride e arrossisce al pensiero di risvegliarsi con Gyula al suo fianco e alla piega che prenderebbe in quel caso il suo mattino. Ida cammina di fianco a Sissi e non le sfugge quel sorriso imbarazzato: quanto ha sperato di rivedere finalmente sul viso di quella donna unica che le è così cara, la traccia inequivocabile dell’Amore. Anche Sissi pregusta la primavera: il bosco è particolarmente desto stamane e l’aria frizzante comincia a profumare di croco e anemone, di biancospino e sambuco. Assieme al bosco, anche l’entusiasmo di Sissi sta rifiorendo e la felicità sembra vibrare tutto intorno. Il Conte si è presentato personalmente dal Maestro Merse per assicurarsi che tutto sia pronto per la sorpresa e il Direttore si è profuso in inchini e rassicurazioni, chiedendo il conforto di tutta la compagnia a sostegno della sua agitata arringa. I costumi sono già stati trasportati in teatro, i musicisti sanno perfettamente a che ora devono trovarsi sul posto per le prove, i cantanti saranno scortati da Merse in persona, a scanso di imprevisti e incidenti. Un sospiro di sollievo sottolinea la fine dell’arringa e consente al Conte di raccomandare, ancora una volta, la necessità della massima riservatezza sulla questione, pena il disonore o l’esilio! Congedandosi dalla compagnia, il Conte si reca presso il Ministero dove Bernát lo attende, pressato dalle urgenze burocratiche che il Conte sembra aver del tutto dimenticato. Ma non lo vede camminare a qualche centimetro dal suolo, con la testa spettinata persa nelle innumerevoli evoluzioni della sua mente innamorata? Le ore di questa originale giornata continuano la loro marcia inesorabile, anche se Sissi vorrebbe corressero veloci verso l’intrigante appuntamento delle diciannove. Ida condivide l’impazienza della Sovrana ed è forse più di lei emozionata, immaginando già la gioia che inonderà gli occhi di Sissi non appena capirà cosa è riuscito a mettere su il Conte.
Ida si è occupata di tutto: ha ricevuto i costumi, facendoli sistemare dietro le quinte del teatro del Castello; ha accolto i musicisti con un piccolo rinfresco e ha atteso l’arrivo dei cantanti con trepidazione, il tutto senza che Sissi si accorgesse di nulla. Ed ecco che, finalmente, giunge il momento di prepararsi: la toilette prevista è impegnativa ma sicuramente sortirà l’effetto dirompente desiderato. Tutte le cameriere dell’Imperatrice vengono chiamate a raccolta per eseguire ognuna un compito importante, è assolutamente necessario curare ogni dettaglio, dall’acconciatura curata da Fanny ai gioielli scelti in base all’abito, il quale è già stato stirato ed è pronto per essere indossato. Le scarpe, eleganti e lucenti, sono state spedite dall’Italia a corredo dell’abito, che invece è di fattura francese. Fanny si occuperà anche del trucco che Sissi predilige leggero e naturale. Ecco, lo splendore di Sissi provoca lo stupore e la soddisfazione di tutte le presenti: le più giovani sorridono, le più anziane piangono di gioia.
Sono le diciotto e cinquantacinque e la carrozza del Conte arriva a Palazzo. L’uomo che ne discende è più alto del solito, più sorridente e decisamente più emozionato che mai. Gli viene aperto immediatamente il portone e, in piedi con gli occhi fissi alla grande scala che porta al piano superiore, non tarda ad avere la visione che anelava: la più meravigliosa delle creature, avvolta da seta color avorio tempestata di piccole perle, con il viso radioso e incorniciato dalla splendida chioma che le ricade sulle spalle, intrecciata in giochi complessi e anch’essa arricchita da perline. Il suo passo lento e regale sulle scale non tradisce affatto l’immensa emozione che le sta spingendo il cuore in gola e il silenzio che regna nel Castello sottolinea l’atmosfera da sogno che un po’ tutti stanno vivendo in quell’istante. Gyula si avvicina a Sissi, anche lui con il cuore che sembra voler schizzare fuori dal petto, e le sussurra all’orecchio: «Ora sono certo che i sogni si avverano, il mio è davanti a me in questo momento…»
Sissi non può fare altro che sorridere dolcemente: è certa che le parole che riuscirebbe a mettere insieme non sarebbero comprensibili. Si dirigono verso il teatro del Castello, percorrendo il lungo corridoio interno: Gyula ha elegantemente offerto il braccio a Sissi, la quale, essendo riuscita a recuperare un po’ di calma, domanda ironica: «Cosa avete tramato alle mie spalle, Conte Andràssy?»
«Lo vedrete presto, mia Regina. Ancora qualche minuto di pazienza…» e sorride sornione. Al loro ingresso nella platea vuota, gli orchestrali stanno facendo vibrare le corde dei violini e il vociare dei cantanti dietro le quinte tradisce la loro emozione. Sissi si guarda intorno in cerca di indizi: il sipario è ancora chiuso e non c’è alcun manifesto che le suggerisca quello che tra poco si manifesterà ai suoi occhi. Ad un cenno del Conte, il direttore Merse dà il via all’orchestra con tre colpi di bacchetta ed ecco che le note dell’ouverture de “Le Nozze di Figaro” riempiono tutto. Sissi è incredula, guarda Gyula dritto negli occhi, volendo esprimere tutta la gratitudine, l’emozione e la gioia che come lampi di luce brillano nei suoi occhi e nel suo cuore. Guyla le prende una mano e la porta alle labbra, tenendola così per qualche minuto: la musica parla per loro, le note sottolineano i moti delle loro anime, le mani restano l’una nell’altra, come se, sciogliendo quell’intreccio, si potesse interrompere il flusso di elettricità emotiva che sta attraversando i loro corpi. L’opera segue il suo corso per i suoi unici due singolari spettatori: Sissi la conosce benissimo, è la sua opera preferita e per la gioia quasi vorrebbe cantare quell’aria di Cherubino che tanto le piace. Gyula non può avere dubbi sul gradimento della sorpresa e gode dell’immensa gioia che Sissi esprime a volte guardandolo e sorridendogli, oppure stringendogli forte la mano. Quando l’opera è terminata, nel migliore dei modi per la tranquillità del Maestro Merse, Sissi desidera essere presentata a tutti i cantanti e complimentarsi personalmente con gli orchestrali: nessuno può fare a meno di notare l’entusiasmo della Sovrana e la sua immensa soddisfazione. Ritornati nel salone del Castello, seguiti dallo scrosciare degli applausi di saluto della compagnia al completo, Gyula e Sissi incontrano Ida, alla quale il Conte esprime tutta la sua stima e gratitudine, non prima di essere stata soffocata dall’abbraccio liberatorio ed affettuoso di Erzsébet. La cena li attende nella sala da pranzo e naturalmente Sissi invita Ida a sedersi a tavola con loro. Al termine della cena lieta e spensierata, Gyula e Sissi si dirigono in biblioteca, dove possono stare un po’ soli prima di separarsi. «Credo di poter affermare che non siete mai stata più felice, Maestà, mi sbaglio forse?»
«Affatto, Conte, ma so che potreste rendermi ancora più felice…»
«Non dubitarne mai, mia adorata! Sarà lo scopo della mia esistenza, d’ora in avanti. E ora…» – si avvicina a lei, cingendole la vita con un braccio e facendo scorrere l’altra mano sulla sua schiena – «desidero il bacio che ho immaginato per tutta la giornata…me lo sono meritato.» queste parole vengono pronunciate in un sussurro, con le labbra di Gyula audaci e raminghe sul viso e sul collo di Sissi. Un bacio passionale, intenso, intriso della veemenza del Conte e del timorato slancio della Regina chiude la serata e fa da preludio ad una notte popolata di sogni impertinenti e arditi.
CAPITOLO 14
“Nel primo dolce sonno della notte mi risveglio dai sogni in cui tu appari, quando sospira lievemente il vento e splendono le stelle luminose: mi risveglio dai sogni in cui tu appari, e uno spirito allora mi ha condotto, chissà come, vicino alla finestra della tua camera, o dolcezza mia!”
Percy B. Shelley Serenata indiana
Le brezze mattutine di aprile hanno cominciato ad accompagnare Sissi nelle sue lunghe passeggiate per il bosco: non ci si crede, ma la primavera ha il potere di riconciliare i sentimenti con il mondo e le sue follie. Da qualche settimana ormai, Gyula cerca di passare tutte le serate, in cui è a Buda-Pest, con Sissi a Palazzo. Il loro comune amore per la poesia, per la musica e per l’arte offre numerosi spunti alle loro conversazioni, ma l’attrazione, come l’acqua, trova la sua strada per manifestarsi e spesso costituisce una maliziosa e gradevole distrazione. Una sera, al crepuscolo, Gyula fa il suo ingresso a Palazzo, atteso e accolto da Sissi in biblioteca, l’ambiente che a entrambi sembra il più consono ai loro incontri, per il momento. Il Conte reca con sé un piccolo dono per la sua amata: una raccolta di versi di grandi poeti inglesi.
«Che bel pensiero, mio caro!» e un bacio leggero sfiora la guancia di Gyula.
Sissi si accomoda sul divanetto, sfogliando il volume e Gyula le siede accanto: ha lasciato il sottile nastrino in raso blu che fa da segnalibro, ad indicare una poesia di Browning, particolarmente significativa, a suo giudizio. «Posso avere l’onore di leggerti la mia preferita?»
«Come negarvelo, Conte?»
Gyula prende il libro dalle mani di Sissi e, restandole accanto, si posiziona con la bocca sufficientemente vicina al suo orecchio, così che possa declamare i versi a voce bassa.
«Bacio di Robert Browning» – si schiarisce la voce-
«Siamo fusi insieme. In questo momento che mi dona finalmente a te, per una volta attorno a me, sotto di me, sopra di te. Io sono certo, in questo fugace momento, che a dispetto del tempo futuro e del tempo passato, tu mi ami. Quanto può durare questa sensazione? Ah, dolcissima – eterno momento – questo e niente più. – qui la sua voce diventa un sussurro. Quando l’estasi è al culmine ci aggrappiamo alla sua essenza, mentre le guance bruciano, le braccia si aprono, gli occhi si chiudono e le labbra si incontrano».
Sissi, rossa in viso, si volta a guardare Gyula e inevitabilmente le loro labbra si ritrovano sovrapposte. Il volume, nelle mani di Gyula, con un tonfo sordo si adagia sul tappeto ai loro piedi. I due corpi vibrano di passione, le mani di Gyula si fanno audaci e cercano, nonostante il broccato e il lino, di sentire le curve di Sissi. I loro respiri accelerano al ritmo forsennato dei sensi eccitati.
«Amore mio» – sussurra Gyula tra un bacio e l’altro – «quanto ti desidero…»
Sissi cerca di riprendere fiato in quella cascata travolgente di baci voluttuosi e riesce a dire: «Ne sto avendo l’idea, ma ti prego, fermati…»
Facendo appello a quel poco di razionalità rimasta in agguato, Gyula costringe, a fatica e temporaneamente, il suo istinto virile in un cantuccio.
«Cos’hai, amore mio? Ti vedo sconvolta…»
«E lo sono, perdonami. I miei sensi mi parlano in un linguaggio che stento a comprendere, dovrai avere un po’ di pazienza, non sono abituata a lasciarmi andare così…e poi non mi sento a mio agio qui, sapendo che qualcuno può venire a bussare da un momento all’altro. Mi comprendi, vero?»
Con un sospiro, Gyula sorride e mette decisamente gli istinti a riposo. «Si, cara, comprendo benissimo, solo che non è facile per me: sei il mio pensiero fisso, costante…non passa un solo minuto senza che io ti immagini fra le mie braccia. Ho bisogno di sentire il profumo della tua pelle, di toccarti, di amarti…- si ferma a riflettere per qualche istante – andiamo via! Vieni via con me! Ti porterò sulla nostra isola, te l’ho promesso, ricordi?»
Sissi sorride, se lo ricorda, certo.
«Ma così, all’improvviso? E dove? Io non…»
«Se lo vuoi davvero, penserò a tutto io. Dimmi che lo vuoi anche tu, amor mio…dimmelo.» L’inflessione della voce è irresistibilmente attraente, le gote di Sissi sono in fiamme, lo abbraccia forte e risponde:
«Si… – esita un attimo – si, amore mio! Verrò con te sulla nostra isola!» Gyula ricambia l’abbraccio stringendo Sissi a sé e sussurrandole: «Ti amo, Sissi…e ti dimostrerò cosa significa questo per me.»
Vibranti di desiderio, i due innamorati devono salutarsi prima che Gyula ritorni alla sua residenza: l’indomani è atteso al Ministero per un incontro decisivo in vista del Congresso di Berlino.
«Buonanotte, amor mio…sognami…» Sissi lo segue con lo sguardo e ne ammira il passo deciso ed elegante. Gli manda un bacio con un gesto della mano e poi si volta, diretta verso l’ingresso del Castello, quando la carrozza è sparita infondo al viale.
Sulla via del ritorno, i pensieri di Gyula hanno ingaggiato una terribile lotta contro i sensi: irrequieto e impaziente, sbuffa e freme, ma cerca di concentrarsi sulla fuga d’amore e sulla sua realizzazione. Ritiene indispensabile portare via Sissi dall’Ungheria, almeno per qualche settimana. Non può prevedere le mosse di Franz ed è meglio che la sua amata sia pronta ad affrontare le prossime vicende, forte e sicura di sé, chi può prepararla meglio di lui? È con queste prospettive che Gyula chiude gli occhi, sprofondando nel suo letto e sognando di un viaggio in mare aperto…
CAPITOLO 15
“Le mete dei viaggi sono interessanti
soltanto perché c’è il viaggio di mezzo”
Sissi
«Ida cara, i bauli sono pronti? E le cappelliere…hai sistemato i cappelli che ho scelto?» – il tono di voce di Sissi tradisce la sua ansia per il viaggio imminente, così come l’entusiasmo e l’impazienza. Ma cosa le ha fatto quell’uomo? Un sorriso malizioso viene sbirciato da Ida che la tranquillizza dicendo:
«Maestà, non vi preoccupate di nulla, è tutto pronto per il vostro viaggio…o dovrei dire forse, luna di miele?» Sissi la guarda stupita e poi la redarguisce allegramente dicendole: «Signorina Ferenczy! Come osate?» Entrambe non possono trattenere una risata sonora e un abbraccio caloroso, prima di ritornare ai preparativi. Il Conte ha dato disposizioni molto precise per la partenza e si è occupato personalmente di organizzare tutto nei dettagli: ha pregato Ida di non diffondere la notizia e la meta del viaggio alla servitù, preoccupato com’è della sicurezza di Sissi. L’indomani mattina tutti i bagagli verranno ritirati e caricati alla volta di Trieste, da dove poi saranno imbarcati per la Grecia. Sissi e Gyula partiranno il giorno successivo dalla stazione di Buda-Pest diretti in treno verso la città italiana dove attenderanno di salpare sull’Achilleion per l’isola che il Conte ha scelto come nido d’amore, e che rimane un solenne mistero. Il viaggio, non c’è nulla al mondo che la appassioni tanto quanto viaggiare e forse questa sarà la prima volta che le piacerà aldilà della meta e dell’obiettivo. Gyula freme dall’impazienza ed è fortemente intenzionato a rendere i prossimi giorni materia memorabile per la mente di Sissi. In quanto al suo cuore egli sa bene che il sole della loro isola, il mare e più ancora, il sentimento e la passione che lo stanno divorando, saranno forze invincibili e renderanno naturale e inevitabile il godimento del loro soggiorno, con effetti sorprendentemente salutari sulla loro storia d’amore. L’ultima notte al Castello, prima del viaggio, trascorre agitata, per Sissi: l’accenno alla “luna di miele” di Ida, qualche ora prima, la ha divertita e imbarazzata ma le ha anche provocato un senso di apprensione e di insicurezza che non le permette di dormire serena. D’altro canto è consapevole che scegliendo di acconsentire alla partenza, ha accettato implicitamente le conseguenze che essenzialmente riguardano il desiderio di Gyula, un desiderio possente e impossibile da tenere a freno ancora a lungo.
Ecco, è il giorno che la vedrà salutare per qualche settimana l’Ungheria, la sua cara Ida, i suoi boschi e i suoi cavalli. Un ultimo sguardo dalla finestra prima di dedicarsi alla toilette da viaggio: il vestito è di color avorio, in morbida seta e l’acconciatura che stamane Sissi ha scelto sarà piuttosto impegnativa per Fanny: è importante raccogliere i capelli completamente per permettere alla Sovrana di stare fresca e comoda. Scarpe, borsetta e guanti blu corredano la mise scelta col gusto indiscutibile di Sissi; un piccolo cappello azzurro viene posto a guardia della preziosa chioma regale. Gyula è nella sua residenza e con Bernát discute degli impegni in programma: il suo unico compito sarà temporeggiare. E’ ciò di cui il Conte ha bisogno e non può fare a meno di pensare che il suo allontanamento da Buda-Pest sia quanto mai tempestivo e opportuno: se avesse aspettato ancora, gli sarebbe stato impossibile partire, con il Congresso di Berlino alle porte. Il suo appassionato desiderio ha aguzzato la sua mente brillante, riuscendo a convincere Sissi a non porre altro tempo in mezzo.
E adesso, tutto è pronto: il Conte è radiosamente elegante nel suo completo chiaro, perennemente spettinato, come si conviene ad un uomo di cotanto fascino, e baldanzosamente diretto alla carrozza che lo attende in cortile. É certo che anche Sissi è felice come lui, in quel preciso istante, e sale sul mezzo urlando al cocchiere:
«Al Castello! Come il vento!»
Immagini incantevoli e audaci si avvicendano nella sua testa, il posto è degno di una favola e, a pensarci, stanno per vivere una magnifica luna di miele, evitando le noie di una cerimonia nuziale, cosa si può desiderare di meglio?Giunto al Castello, Gyula viene fatto accomodare nel salottino e Ida corre a chiamare Sissi, che è ancora alle prese con la complessa acconciatura. All’annuncio dell’arrivo del Conte, Fanny si affretta a portare gli ultimi ritocchi alla chioma che risulta intrecciata e raccolta sulla nuca della Sovrana in giochi originali, degni di uno scultore. Al cenno di Fanny, la Sovrana si alza e dà un’occhiata minuziosa alla figura che vede riflessa nello specchio: è regale ed elegante come sempre, raggiante ed emozionata come mai prima d’ora. Tutte le cameriere si dileguano e solo Ida accompagna Sissi giù per le scale, giungendo insieme nel salottino dove Gyula passeggia impaziente. La vista di Sissi gli toglie il fiato, ancora, sempre. Le va incontro, prendendole le mani e baciandogliele a lungo, poi guardandola negli occhi le dice: «La nostra isola ci attende, mia adorata, sei felice?».
Sissi prima abbassa leggermente lo sguardo, poi in un moto d’orgoglio rialza il capo e, posando un bacio leggero sulle labbra di Gyula, risponde: «Se questo è essere felici, allora io non lo sono mai stata! Il mondo mi sorride e il sole mi illumina e tu sei il motivo di tutto questo.»
«Lo sarai in molti modi diversi e scoprirai che il mio amore può tutto…tutto, amore mio.» Un bacio più appassionato introduce un momento di imbarazzato silenzio, meglio avviarsi verso la carrozza, dopo il saluto di Sissi alla servitù e le ultime raccomandazioni allo stalliere sulla cura dei suoi amati cavalli. János sorride tranquillizzando Sua Altezza e augurandole buon viaggio. Davanti alla carrozza c’è Ida che guarda la sua amica e Sovrana con tutto l’affetto e la gioia possibili: le due donne si abbracciano per un lungo istante e, quando si separano, Sissi non può che dire: «Ti voglio bene, Ida, abbi cura di te»
«Lo farò, Maestà e Voi pensate solo a star bene e a essere felice…niente altro»
La carrozza parte, in mezzo all’agile scalpitare dei cavalli e Sissi si sporge per salutare ancora Ida e tutta la servitù che si è radunata in giardino per augurare buon viaggio alla Regina: in un composto agitare di mani, il viaggio di Sissi e Gyula sta per cominciare.
CAPITOLO 16
“Sebbene la tua anima navighi per leghe e ancora leghe, pure, oltre quelle leghe, c’è ancora il mare.”
Dante Gabriel Rossetti
È l’alba: la navigazione procede da tre giorni e la meta è sempre più vicina. Sissi è già sveglia, non dorme molto quando è in viaggio e stavolta è anche peggio. L’ansia per l’incertezza del futuro le rende il sonno leggero e breve. Le manca la presenza costante e rassicurante di Ida e, lontana dall’Ungheria, si ferma spesso a valutare la sua situazione: non ha notizie da Franz e questo la inquieta. Gyula sostiene che stia studiando, con i suoi consiglieri e soprattutto con l’Arciduchessa Sofia, tutti i dettagli della separazione. È un caso senza precedenti e gli Asburgo non vogliono certo dare adito a scandali e polemiche. Il pensiero va a quell’uomo straordinario, così sicuro e forte, protettivo e premuroso, affascinante e sensuale ed ecco che il solito rossore appare sulle guance, mentre Sissi è davanti allo specchio della toilette nella sua cabina. Certo, dormono in due cabine separate, Gyula aveva predisposto questa sistemazione, pensando che Sissi non avrebbe voluto creare scalpore, anche se gli è pesato davvero molto, glielo fa capire tutte le sere, quando, dopo essere stati a cena insieme e passeggiato quando possibile sul ponte dell’Achilleion, Gyula ha bisogno di una buona mezz’ora per augurarle la buonanotte: gli piace stuzzicarla con carezze ardite e baci dispettosi. Naturalmente, Sissi adora tutto questo e il massimo del divertimento è respingere quei gesti per poi chiederne ancora con gli occhi. Una sera si è permessa anche il lusso di prendersi gioco di lui, invitandolo nella sua cabina per poi chiudergli la porta delicatamente sul naso. Gyula non potrebbe essere più carico di così: il desiderio ribolle come il magma di un vulcano e fatica ad essere tenuto a bada: ogni notte, dopo aver salutato Sissi, si ritrova in cabina come un leone affamato. A grandi falcate percorre la piccola suite in lungo e in largo, sbuffando e passandosi le mani tra i capelli, arruffati proprio come una criniera. Alla fine si arrende e si butta sul letto rassegnato, dapprima attento ad ogni rumore proveniente dalla cabina di Sissi, che è accanto alla sua, e in seguito tranquillizzato dal silenzio, crolla nel limbo del sonno, pregando che sia presto domani. La cameriera che aiuta Sissi a prepararsi bussa alla porta della cabina all’orario prestabilito e, pur controvoglia, la Sovrana si lascia vestire e pettinare da questa sconosciuta, una ragazza italiana molto garbata e paziente, ma non è Ida o Fanny. Appena è pronta, Sissi si reca sul ponte più vicino: non riesce a rinunciare alla passeggiata quotidiana e così si incammina verso prua, godendo di quel tiepido sole e della brezza marina, densa e sapida. Dopo alcuni minuti, sente alle sue spalle un passo che non potrebbe mai confondere: Gyula la sta raggiungendo, portandole il fiore del mattino e tutta la sua ammaliante persona.
«Buongiorno, mia Regina! Dormito bene?» dice posandole un bacio sulle labbra.
«Poco e male in verità…e tu?»
Come potrebbe rispondere sinceramente?
«Ieri sera ero, diciamo, un po’ agitato, ma poi sono crollato» – sorride sornione – «Andiamo a fare colazione? Stamane ci attende il Capitano…è da quando ci siamo imbarcati che chiede l’onore di averti al suo tavolo».
Sissi prende Guyla a braccetto e dice: «Ti dispiace se restiamo ancora un po’ qui fuori? Sai quanto io ami l’aria fresca del mattino…»
«Ma certo, amore mio, il Capitano attenderà…»
A passi lenti e leggeri, arrivano alla prua dell’Achilleion: che incanto! Uno spettacolo così è per Sissi il modo migliore di non pensare a nulla, si abbracciano e si baciano, scossi dal vento e riscaldati dal sole per poi ripercorrere il ponte e dirigersi verso la sala da pranzo luminosa ed elegante nei suoi colori chiari, dove il Capitano, seduto in attesa della sua ospite, si alza di scatto non appena scorge la splendida figura di Sissi entrare e sorridergli avvicinandosi al tavolo.
«Vostra Altezza Imperiale! Quale immenso e atteso onore!» -si inchina- «ho sperato sin dal primo giorno di viaggio di avervi qui al mio tavolo! Ma prego, prego, accomodatevi pure!»
Gyula si avvicina per stringere la mano al Capitano che lo ringrazia e lo invita a sedere accanto alla Sovrana. Essendo ancora presto, la sala non è ancora affollata e i pochi ospiti presenti ignorano di avere a bordo come passeggera niente di meno che l’Imperatrice. Gyula si è raccomandato, anche con il Capitano, affinché lo aiutasse a preservare la riservatezza di Sissi. La conversazione si mantiene leggera e brillante e, al termine del pasto, Sissi si congeda: «Grazie, Capitano, sono stata davvero lieta e onorata. Siete un uomo saggio e io vi ammiro molto»
«Ma no, Maestà…sono io che vi ringrazio dal profondo del mio cuore per la fiducia e l’onore concessomi. Vi auguro di passare serenamente il resto del viaggio» –chinandosi per baciarle la mano – «e ogni bene d’ora in avanti. Grazie ancora, Maestà»
Gyula e Sissi escono dalla sala sorridendo e, appena fuori, si guardano e tirano un respiro di sollievo «Tra quanto arriveremo a destinazione?» domanda Sissi sospirando.
«Amor mio, preferiresti continuare il viaggio piuttosto che sbarcare con me sulla nostra isola?» allarmato, Gyula attende una risposta. Sissi non riesce a trattenere una risata sincera e guardandolo negli occhi, gli risponde: «Per quanto possa sembrare strano, sono terribilmente impaziente di vedere l’isola che hai scelto e non vedo l’ora di stare da sola con te…»
Sorpresa quasi più del Conte di aver davvero pronunciato una frase tanto audace, Sissi arrossisce e sorride, in cuor suo si domanda come può essere tanto cambiata. Abbassa lo sguardo per un momento e quando lo rialza Gyula è lì di fronte a lei che la guarda estasiato. Ecco l’evento imprevedibile che, con la chioma spettinata e il sorriso da impunito, l’ha travolta come una cascata fragorosa di sensazioni irresistibili.
«Non puoi immaginare quanto fremo, amore mio e quanto sono felice di sentirti parlare così. La nostra isola è ormai vicina ed io sono certo di aver portato con me le chiavi del paradiso…»
CAPITOLO 17
Non esiste salvaguardia contro il senso naturale dell’attrazione.”
A.C. Swinburne
Ed eccoli giunti infine a destinazione: Santorini, la più remota isola delle Cicladi è la loro isola e una casetta bianca con le persiane azzurre a pochi metri dal mare li attende: certo non è una reggia, ma una casetta di pescatori, allestita con semplicità e devozione. Entrando, Gyula prende Sissi per mano e la conduce nella stanzetta che è stata preparata come loro alcova.
«Quanto ho aspettato questo momento, amore mio…» Gyula stringe Sissi nelle sue braccia forti, baciandola ovunque la sua pelle sia scoperta.
Sissi avvampa in quel fuoco e si lascia assalire dalle fiamme alimentate da quelle labbra audaci e calde. Non c’è nessuno: Theo e i suoi amici sono andati via, dopo aver sistemato i bagagli e i bauli e Sophia, la moglie di Theo, li ha lasciati soli richiudendosi la porta alle spalle sorridendo, pensando che la frugale cena a base di formaggio e frutta lasciata agli “sposi” sarebbe rimasta intatta fino al giorno dopo, e su questo aveva scommesso con il marito. Sophia è una giovane donna dai capelli neri e gli occhi azzurri, eredità del suo papà inglese. La pelle ambrata e il seno prosperoso avevano conquistato Theo che l’aveva sposata il giorno prima che ella compisse 16 anni. Gyula li aveva conosciuti durante il suo primo viaggio in Grecia, quasi dieci anni prima, ed era rimasto entusiasta dei luoghi e dell’ospitalità, stringendo un’amicizia semplice e sincera con Theo. Un’amicizia che ignorava i protocolli e i ruoli ufficiali a favore della pesca e delle bevute di retsina nelle calde notti sull’isola oppure di ouzo prima dei gustosi pranzi di Sophia. Un’amicizia che non aveva bisogno di lettere o telegrammi, di presenti o omaggi per rimanere viva. La scelta di Santorini dunque è stata per Gyula immediata e facile: nessun altro posto lo avrebbe fatto sentire altrettanto sereno e lontano dal mondo come quell’isola incantata. In più, era certo che anche Sissi non avrebbe potuto fare a meno di adorare quei luoghi e quelle persone a lui così cari. Sophia ha preparato il letto “nuziale” con lenzuola fresche di bucato, morbidi cuscini candidi, e mille petali di rose bianche e rosse. Sissi è riuscita a fermare, temporaneamente, la foga di Gyula, dicendo di aver bisogno di cambiarsi per la notte e si è precipitata nel piccolo bagno della casetta, rinfrescandosi il viso con un tovagliolo in lino bagnato. Fissando la sua immagine nello specchio, Sissi respira forte e comincia a spogliarsi. «Sempre che io ci riesca, da sola…»
Sissi freme dal desiderio di sentirsi più libera nei movimenti e teme che Gyula si spazientisca. Riesce a sfilare l’abito in poche mosse, la camicia da notte che ha scelto con Ida per la loro “prima notte” è di un rosa delicato e al tatto quasi impalpabile. Un’ultima occhiata nello specchio, mostra una Sissi dalle gote accese e dal sorriso malizioso ed è con questi dettagli che parte alla conquista del Conte, se mai ce ne fosse bisogno. A Gyula basta il suo irresistibile sguardo da cerbiatta e senza poter resistere, la afferra dai fianchi, come un’aquila al volo sulla sua preda, ghermendola tra i suoi artigli. Nell’attesa di Sissi, Gyula si è liberato da giacca, stivali ed altri orpelli, restando in camicia bianca sbottonata sul petto e pantaloni scuri. Guardandosi, entrambi, pensano di non desiderare niente altro al mondo se non quell’essere meraviglioso che è lì di fronte. I loro corpi rispondono perfettamente alla legge dell’attrazione e sembrano incastrarsi per magia, l’uno nelle pieghe dell’altra. Le parole restano sospese a mezz’aria, nessuno dei due vuole turbare quell’apparente silenzio che in realtà grida tutto il loro desiderio e la loro passione. Ora Gyula ha molta più superficie libera da baciare e cerca di non lasciare nemmeno un centimetro fuori dal suo raggio di azione, le sue mani avide stanno invadendo un territorio bramato e immaginato tante volte, ma con sorpresa, si rende conto che la sua immaginazione non è stata all’altezza del compito. Rapiti e soggiogati da Eros, i due amanti si affrontano nell’alcova candida e per quanto Sissi voglia dimostrarsi esperta, Gyula ha tanto da insegnarle ed è straordinariamente eccitato al pensiero di poter fare di lei un’amante meravigliosa, l’amante perfetta.
Sissi entra in contatto con parti del proprio corpo e della propria anima di cui non aveva mai avuto coscienza prima d’ora: ogni recettore sulla pelle è desto e attivo; ogni sensazione fisica possibile si manifesta prepotentemente coinvolgendo sensi e ragione in un vortice irresistibile. Al culmine della passione si ritrovano, incomprensibilmente per Sissi, sul tappeto ai piedi del letto, dove i petali di rosa bianchi e rossi, spazzati via da Gyula nella foga del desiderio, mostrano l’impronta dei piaceri appena goduti, giacendo esausti. Gyula è il primo a riaversi e si alza, non prima di aver ricoperto il viso e il collo di Sissi di piccoli baci, lenti e morbidi, ricambiati dall’espressione sognante delle labbra rosse sotto gli occhi chiusi. Riaprendo gli occhi, Sissi torna lentamente in contatto con la realtà e ci mette qualche istante a ricordare dove si trova e soprattutto cosa è accaduto. Sorridendo si alza e in punta di piedi va in cucina, dove la fame poderosa che prova le ha suggerito di dirigersi. Davanti al piatto preparato da Sophia, dimentica protocolli e cerimoniali e, usando le mani, spera di riuscire a placare lo stomaco. All’arrivo di Gyula, l’Imperatrice è completamente nuda in cucina, ha la bocca piena e le mani nel piatto.
«Vostra Maestà! I miei complimenti! Avete infranto più regole in un giorno che in anni di onorata regnanza!» Leggermente imbarazzata, Sissi realizza che Gyula ha perfettamente ragione ed entrambi scoppiano in una risata sincera prima di abbracciarsi per godere delle loro nudità. Due menti e due corpi liberi sull’isola che resterà sempre la loro isola felice. Al loro risveglio il sole sta già filtrando dalle persiane azzurre e Sissi si alza per prepararsi: non vede l’ora di andare a mettere i piedi in quel mare che ha solo potuto pregustare fresco e trasparente. La vitalità e l’assoluta serenità con le quali si è destata le conferiscono un aspetto rubicondo, alleggerendo l’umore e dissolvendo l’ansia. Gyula sonnecchia ancora, ma socchiudendo gli occhi, intravede la sua splendida amante che lo fissa sorridendo. «Buongiorno, amore mio…come stai?» Sissi si avvicina al letto, solleticandogli le piante dei piedi
«Benissimo, caro Conte, ma potrei stare ancora meglio se tu ti alzassi e mi portassi al mare…».
Non dimostrando alcuna reazione al solletico, Gyula si mette a sedere mostrando un torace virile e rassicurante «Non farò nulla del genere, se prima non mi darai il bacio del buongiorno…avanti, Maestà!» Sissi sorride e va a sedersi accanto a quell’uomo irresistibilmente attraente e poggia dolcemente le sue labbra su quelle che tanto piacere le hanno dato nella notte appena trascorsa.
«Ora esaudirò ogni tuo desiderio…se.» – Sissi lo fissa con aria interrogativa- «…se chiedi a Sophia di prepararmi un po’ di caffè! Ne ho davvero bisogno!»
«Va bene, mentre io vado da Sophia, tu preparati ho tanta voglia di toccare l’acqua di questo mare splendido… fai presto!» Gyula si alza dal letto, completamente nudo e, con un inchino perfetto, dice a Sissi: «Ai vostri ordini, Maestà!»
Sissi non può trattenere una risata sincera e nemmeno una scrollatina a quella chioma indomabile, poi esce e bussa alla porta di Theo e Sophia. Quando la porta viene aperta, Sophia china leggermente il capo in segno di saluto. «Potreste preparare del caffè e qualcosa da mangiare? La cena che ci avete fatto trovare ieri sera era ottima…»
Sophia, un po’ delusa per aver perso la scommessa, sorride e invita Sua Maestà ad entrare. Theo si inchina anch’egli sorridendo a Sissi: «La mia modesta casa è vostra, anche se è ben poca cosa».
«Oh, non dite questo… non penso di essere stata più felice in nessun altro posto!» e Sissi non mente: è convinta che non esiste un altro luogo su tutto il pianeta degno di essere definito paradiso. In quel momento, Gyula fa il suo ingresso e Sissi pensa che il paradiso è perfetto con il sole.
CAPITOLO 18
“L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente.”
Leonardo da Vinci
Guardando un’ultima volta l’isola che scompare pian piano nel mare all’orizzonte, Sissi chiude gli occhi. Scorrono le giornate, le notti, le camminate, i baci, gli aromi, i colori. Nulla andrà perso, tutto rivivrà sempre nel suo cuore e la mano di Gyula che stringe la sua è lì a confermarlo. Sospirando a testa bassa, Sissi e Gyula passeggiano sul ponte della nave che li sta riportando a casa, la lunga assenza del Conte avrà certamente provocato un vociare eccitato nei corridoi del Ministero, zittito al passaggio di Bernát, che con la sua solita espressione seria e affidabile, ammonisce il coro dicendo «Sua Eccellenza tornerà presto».
Sissi invece ha scritto solo una lettera a Ida, senza dilungarsi troppo, certa che avrebbe percepito tutta la sua travolgente felicità. E ora? Ne hanno parlato tra loro: Gyula non vorrebbe aspettare ancora per comunicare all’Imperatore i suoi sentimenti per Sissi, ma lei non è d’accordo, pensa che sia meglio attendere una sua mossa. Al rientro, Gyula dovrà rispettare un’agenda di impegni fitta e complessa: il prossimo Congresso di Berlino da organizzare comporta una serie di incontri e trattative estenuanti nonché, colazioni, pranzi e cene di lavoro. Ce n’è abbastanza per decidere di non ritornare più. Già da Trieste, la pioggia si è presentata ad accogliere la Sovrana e non l’ha lasciata che in Austria. Vienna, la Hofburg…quanto le sembra lontana quella vita! Per un attimo, un rivolo freddo le attraversa tutto il corpo.
Ma ecco che il suolo ungherese la abbraccia e le restituisce il sorriso e il colorito: viaggiano in carrozza, verso il castello di Gödöllő. Gyula vuole assicurarsi che Sissi sia al sicuro, prima di rientrare a Buda-Pest. L’accoglienza è naturalmente compito di Ida, che li attende davanti all’ingresso raggiante e impaziente. La prima a scendere è Sissi e, mentre Gyula si avvia verso l’interno per parlare con la servitù e informarsi sugli avvenimenti dei giorni trascorsi, Sissi e Ida non riescono a sciogliere l’abbraccio commosso che le lega. Occhi lucidi e battiti accelerati, le due donne si decidono ad entrare a Palazzo quando Gyula sta dando direttive alla servitù: «Fate attenzione. Non lasciate che sconosciuti si avvicinino a Sua Maestà Imperiale. Non condividete con nessuno informazioni riguardanti la sua persona. In generale, tenete sempre gli occhi bene aperti!»
Sissi guarda Gyula con aria interrogativa e appena restano soli in biblioteca, gli domanda: «Cos’è che ti preoccupa?»
«Nulla in particolare, amor mio, è solo che nei prossimi giorni io sarò molto impegnato e voglio saperti al sicuro.» La sua voce è ferma e il tono rassicurante. Sissi lo abbraccia e lo bacia sulle labbra: «Sono al sicuro perché sono tua! Nulla di male può accadermi»
«È vero, ma sii prudente. Non allontanarti a cavallo e non ricevere nessuno, se non è strettamente necessario. Manderò Bernát tutti i giorni per assicurarmi che tutto sia tranquillo»
«Povero Bernát! Provo una smisurata tenerezza nei suoi confronti! Lavorare fianco a fianco con te non deve essere affatto semplice!»
«Ah sì? Stare fianco a fianco con me non ti è forse piaciuto?». «Oh sì, impertinente!» – le loro labbra voracemente si sovrappongono per alcuni lunghi istanti – «Quant’è difficile lasciarti…»
«Ma, Conte! È solo fino a domani!»
«Conterò le ore e i minuti! Ora devo andare, amore mio. Abbi cura di te.» Un altro bacio zittisce le voci e fa risuonare i sensi. La realtà bussa alla porta con un tocco rapido e leggero: è Ida che avvisa il Conte dell’arrivo di Bernát, venuto a prenderlo con la carrozza del Ministero. Gyula va via sorridendo per non turbare Sissi, ma in cuor suo è inquieto. Sebbene stanca, Sissi è ansiosa di mettere al corrente Ida di ogni emozione provata nell’isola felice e le due donne restano così a parlare per più di un’ora. Con gli occhi arrossati e le gambe pesanti Sissi si alza e chiede a Ida di aiutarla a prepararsi per la notte. Rimasta sola, Sissi guarda fuori dalla finestra nel buio: «Buonanotte a te, amore mio…»
CAPITOLO 19
“A che cosa serve la previdenza? Il pericolo non si lascia mai vedere per intero.”
Johann Wolfgang Goethe – “I dolori del giovane Werther”
«Ida cara…hai visto anche tu quella luce in cortile stanotte?» chiede mentre docile si fa pettinare. «Una luce , Maestà? Non saprei…quando è stato?»
«Ieri sera, dopo che sei uscita dalla mia stanza; forse mi sono sbagliata, ma ho creduto di vedere una lanterna per qualche istante…»
«Non so rispondervi, Maestà, ma andrò a chiedere a Petra e a Jànos, se volete»
«No, non è il caso. Lo diremo al Conte, saprà lui come comportarsi. Ora, ti prego, Ida andiamo in giardino. Ho bisogno di una delle mie lunghe camminate!»
«Bene, Maestà… andiamo pure»
Le due donne si avviano lungo la scalinata: Sissi scende con passo svelto, guardando fuori dalle finestre, Ida la segue, indietro di pochi gradini. Se Sissi si voltasse ora, vedrebbe le sue sopracciglia corrugate e le dita delle mani intrecciate e irrequiete: deve parlare con Kitti. Al Ministero, il Conte è indaffaratissimo: c’è la posta arrivata durante la sua assenza da leggere, i numerosi postulanti da ricevere o mandare al diavolo, i segretari degli esponenti politici di spicco di tutta Europa intimoriti e nervosi. Pur faticando a mantenere la concentrazione, il Conte siede alla sua scrivania da ore, cercando di focalizzare l’assetto politico europeo invece degli occhi di Sissi, e a volte ci riesce. L’incolumità della sua amata è l’unico pensiero davvero pressante, tanto che, nel bel mezzo dell’incontro con l’ambasciatore tedesco, il Conte si alza dalla sua poltrona, senza alcun preavviso, e chiama Bernát a gran voce nel corridoio. Il povero tuttofare si precipita alla porta dello studio con l’affanno.
«Vostra Eccellenza comanda?»
«Va’ subito al Castello e assicurati che sia tutto in ordine, che non si sia presentato nessuno e che Sua Maestà Imperiale stia bene. E torna subito a riferirmi tutto ciò che hai visto e sentito! Ora!»
Bernát non perde tempo a rispondere e sfreccia goffo verso l’esterno del Ministero; deve richiamare a gran voce il vetturino che si è allontanato per corteggiare una bella mora. ‘Di volata’ non è propriamente un’espressione che gli si addica ma è il concetto espresso chiaramente da Sua Eccellenza e dunque grida «Al Castello, di volata!» Il vetturino sorride data l’incongruenza tra la voce tremolante del segretario e l’ordine perentorio, ma incita comunque i cavalli con la frusta, conducendoli lungo la strada per Gödöllő.
Sissi e Ida passeggiano tenendosi a braccetto e stanno per inoltrarsi nel bosco, quando Ida consiglia alla Sovrana di tornare indietro verso il Castello: «Avete ascoltato le raccomandazioni del Conte, Maestà? Non sarò certo io a disattenderle. Ve ne prego, Maestà, torniamo indietro»
«Hai ragione Ida, è meglio rientrare… ma è una giornata così bella e mi piacerebbe continuare a godere di quest’aria rigenerante»
«Non posso darvi torto, Maestà, ma siamo fuori già da un’ora ed è proprio il caso di tornare. Vi farò preparare il tè e lo faremo accompagnare da biscotti al cioccolato! Petra li ha preparati stamattina»
«Posso dire di no ai biscotti di Petra ?» Entrambe ridono di cuore e si dirigono con passo svelto al Castello e, una volta arrivate in vista dell’ingresso principale, la carrozza con a bordo il segretario tuttofare del Conte fa il suo ingresso nel viale. Sissi attende sulle scale esterne che il trafelato Bernát scenda e le si avvicini per salutarla nel suo modo impacciato. Essendosi subito rassicurato sullo stato di salute dell’Imperatrice il segretario procede con l’ispezione della servitù, dalla quale non si evince nulla di allarmante. Nel momento in cui Bernát sta per congedarsi, Sissi gli si avvicina e lo prende a braccetto, provocando un violento rossore sulle guance del pover’uomo, imbarazzato e goffo come non mai. Gli confida di aver visto una luce nel cortile di fronte alla sua stanza la sera precedente, pur non mostrando alcuna ansia. Bernát risale in carrozza, rassicurando l’Imperatrice che il Conte sarebbe stato messo a conoscenza dell’episodio. Bernát è ormai lontano e Sissi si dirige nelle sue stanze per rinfrescarsi dopo la lunga camminata e cambiarsi abito e scarpe. Ida si è diretta in cucina e ha immediatamente detto alla cuoca Petra di mandare a chiamare Kitti. Il tono di voce di Ida è piuttosto allarmato e Petra domanda: «È successo qualcosa?»
«Non lo so ancora, ma è meglio che Kitti la smetta di incontrare quel giovane di nascosto. Non è prudente e non sta bene! Falla venire qui subito.» La ragazza entra in cucina con il viso arrossato e la testa bassa, fermandosi dietro il tavolo e attendendo le parole di Ida: «Kitti, ascoltami. Quel ragazzo che di tanto in tanto viene a trovarti… lo conosci bene? Chi è? Come si chiama?»
Sempre più rossa Kitti risponde parlando in un sussurro: «Si chiama Màtè, è il garzone del fornaio.» Petra interviene dicendo: «Suvvia, son cose normali alla loro età e poi non fanno nulla di male! Lo saprei bene io!»
Lo sguardo di Ida gela Petra che abbassa il capo anche lei, zittendosi. «Kitti, so che sei una brava ragazza… ma sei anche molto graziosa e devi essere prudente quando gli uomini ti dimostrano il loro interesse. Di cosa hai parlato con Màtè? Ti ha fatto delle domande?»
«Si… – sempre più agitata Kitti risponde – mi dice sempre che sono la ragazza più bella che ha mai visto. – le guance di Kitti sono in fiamme – e poi parliamo dell’Imperatrice. Lui mi chiede cosa fa, dove va. Sapete, la ammira molto…»
Le preoccupazioni di Ida sono dunque fondate e, con un tono severo e duro, si rivolge a Kitti: «Ascoltami molto attentamente! Tu non devi parlare mai più con quel ragazzo né con nessun altro, soprattutto dell’Imperatrice! Sono stata chiara?»
«Sì, signora.» Kitti sta quasi per piangere.
«Ora torna alle tue faccende. Petra mi avviserà di tutti i tuoi movimenti, se non vuoi essere cacciata, fai ciò che ti ho detto.» Petra guarda Kitti in lacrime correre via dalla cucina. Ida rincara la dose: «Le informazioni sull’Imperatrice devono rimanere un segreto per chiunque al di fuori di questo Palazzo, ne va della sua incolumità! Sta attenta a Kitti e alle altre, Petra. – ammorbidendo un po’ il tono – e ora prepara il tè per Sua Altezza Imperiale e servilo in biblioteca con i biscotti»
Lasciando la cucina, Ida ripensa a quanto detto e teme di essere stata troppo dura con l’ingenua Kitti.
Incontrando Sissi nel corridoio antistante la biblioteca, Ida si rivolge a lei dicendo: «Maestà, state tranquilla. Quel bagliore che avete visto ieri sera, ebbene, era il garzone del fornaio che viene a corteggiare la nostra Kitti. Le ho detto che ciò non deve più accadere e, se il ragazzo dovesse ripresentarsi, sarò io a parlargli. Meglio evitare che estranei ficchino il naso da queste parti. Il Conte è stato molto chiaro…»
«Mi dispiace per Kitti! Ti conosco, sarai stata tremenda! Domani le parlerò io stessa… più dolcemente di quanto hai fatto tu!»
«Va bene, Maestà, ora però accomodatevi e gustate il vostro tè e questi deliziosi biscotti!»
Il Conte ha atteso impaziente il ritorno di Bernát e, al suo ingresso in ufficio ha diplomaticamente mandato via tutti, con la motivazione che il suo segretario recava notizie riservate dalla Hofburg. Rimasti soli, Bernát riferisce a Sua Eccellenza dello stato di salute ottimo dell’Imperatrice e della situazione sotto controllo. L’episodio relativo alla luce in cortile viene riportato dal segretario con precisione e freddezza. Il Conte ascolta con gli occhi stretti e i pugni chiusi. Dopo aver camminato nervosamente per la stanza, il Conte comunica a Bernát la sua decisione: «Devo scegliere due guardie personali per l’Imperatrice. Stasera non posso allontanarmi dal Ministero, mi hanno annunciato l’arrivo del Conte Taaffe da Vienna, mandato espressamente dall’Imperatore…. – un lungo attimo di pausa – Bernát, scegli due uomini fidati e mandali al Castello al più presto!» Si siede alla scrivania e prende rapidamente carta e penna; scrive nervosamente e affida la busta sigillata con il suo messaggio al fido factotum.
«Agli uomini che sceglierai, affida questo biglietto da consegnare nelle mani di Sua Altezza Imperiale e dì loro che la vita dell’Imperatrice può essere in pericolo, che stiano in guardia! Vai, Bernát e mettimi subito a conoscenza di qualsiasi cosa accada. Mi fido solo di te.» Bernát china il capo con rispetto dicendo: «Servo Vostro, Eccellenza. Non preoccupatevi: nessuno toccherà l’Imperatrice! Datemi il tempo di raccogliere gli uomini e non dovrete temere alcunché, vado!»
Il Conte rimane nel suo ufficio, in attesa del consigliere di Franz Joseph: non è affatto tranquillo, i sensi sono stranamente acuti e in allarme. «Non può, non deve accadere nulla»
CAPITOLO 20
“L’incertezza è il peggiore dei mali, fino al momento in cui la realtà ce la fa rimpiangere.”
Alphonse Karr
Due uomini in divisa, alti e robusti, con barba e baffi scuri cavalcano sulla strada polverosa, incitando i destrieri lanciati al galoppo: uno di loro ha nella tasca interna della giacca il biglietto del Conte per l’Imperatrice. Hanno appena ricevuto l’incarico e l’onore di proteggere la Sovrana con la loro vita e, una volta arrivati al Castello, saranno la sua ombra. Sono uomini fidati e leali, soldati esperti e coraggiosi, forti e veloci. È una serata fredda ma l’aria è limpida e il cielo stranamente sereno, si vede anche uno spicchio di luna.
Quando non mancano che poche leghe all’ingresso, i due uomini sentono le ruote di un carro affrettarsi rumorosamente sul sentiero verso la montagna, oltre il bosco. Si guardano per un istante, dubbiosi: non possono fermarsi: è di vitale importanza che arrivino a Palazzo al più presto, incitano i cavalli gridando e li spingono al galoppo. La pausa a base di tè e biscotti ha messo Sissi di ottimo umore: non ha ancora voglia di andare a dormire anzi desidera immergersi in una di quelle storie avventurose che la appassionano tanto. Scorrendo i volumi, conservati in biblioteca, cerca un libro in particolare, sa che si trova lì: ne ha sfogliato solo qualche pagina, ripromettendosi di riprenderne la lettura appena ne avesse avuto l’occasione e quella sera le sembra proprio il momento perfetto.
«Ma dov’è? L’avevo messo qui…» Ogni volume, in realtà, è un richiamo per il suo cuore, ma stavolta è determinata e sa bene ciò che vuole. «Eccolo!» – le sue mani sfiorano la rilegatura in percallina verde e le lettere che compongono il titolo in oro sul dorso – Historia calamitatum mearum ovvero La storia delle mie disgrazie di Pietro Abelardo. La storia di Abelardo ed Eloisa, il loro amore passionale e ardente e il suo tragico destino, le loro struggenti e accorate lettere d’amore. Aveva discusso molto tempo addietro di questi scritti con uno dei suoi precettori di Latino, il quale disprezzava la scelta di Abelardo di abbandonarsi alla libidinosa e irresistibile attrazione per Eloisa, suscitando le ire di Sissi che invece adorava la passione e l’ardore di quell’uomo e la dedizione e l’assenza di rimpianto di quella donna, così giovane e così moderna.
Messasi comoda in poltrona, Sissi apre il volume e legge ad alta voce:
“Si parlerà di noi, de’ nostri ardori, / Sinché l’amore regnerà ne’ cori.”
Un sorriso compiaciuto dona al viso della Sovrana una serenità raggiante: immagina lei e il suo Gyula insieme, vicini, liberi di vivere il loro amore, la loro passione senza riserve e senza impedimenti. Scuotendo la testa, cacciando pensieri diventati fin troppo audaci, Sissi si impegna nella lettura delle prime pagine e mantiene la concentrazione sull’appassionante storia fino a che il suo corpo le manda chiari segnali di stanchezza. Decide quindi di andare nelle sue stanze e prepararsi per la notte, portando con sé il libro. Aprendo la porta della biblioteca, scorge Ida che si sta recando a passo svelto verso la cucina e la chiama: «Ida, cara, verresti ad aiutarmi? Voglio ritirarmi nelle mie stanze…»
«Ma certo, Maestà. Sono subito da Voi.» È già seduta alla toilette quando Ida bussa per entrare: Sissi è serena, i suoi gesti sono morbidi e leggeri, i suoi occhi guardano altrove. Ida le sorride mentre la aiuta a spogliarsi e a pettinarsi, prima di salutarla e augurarle la buonanotte. Sissi, accolta dalla nuvola bianca di cotone ricamato che profuma di pulito, si stende su un lato e immagina di avere Gyula lì accanto a lei. Chiude gli occhi respirando forte quello che è il ricordo del suo aroma virile, trattiene il fiato e cerca di godere di quelle sensazioni quanto più possibile fino a che, sospirando, ritorna alla realtà: cerca di trovare una posizione comoda per leggere e riprende le lettere di Eloisa e Abelardo.La possente energia dei destrieri colpisce il terreno con forza assordante, le due guardie sono finalmente nel viale che conduce all’ingresso principale: il fragore richiama l’attenzione della servitù, le lampade vengono accese e Jànos si precipita a prendere in custodia i cavalli. Uno dei due “angeli” di Sua Maestà, dopo aver spiegato di essere stati mandati dal Conte Andrássy a proteggerla, tira fuori il biglietto dalla giacca e chiede a Ida di poter vedere immediatamente l’Imperatrice. «É nelle sue stanze, era stanca e si sarà addormentata. Vedrò di svegliarla per avvisarla del vostro arrivo, con permesso» .
I due soldati restano sull’attenti mentre Ida sale i gradini verso la camera di Sissi: un formicolio nello stomaco e il battito accelerato del cuore la spingono veloce su per le scale. L’ufficio del Conte al Ministero è ancora illuminato: il consigliere dell’Imperatore, che sembra voglia farsi attendere, ha costretto Gyula a restare lì, sebbene avesse voluto correre a piedi verso il Castello per frantumare quel muro di ansia, incertezza e timore intrecciato al desiderio fortissimo di fuggire via con lei. Del Conte Taaffe in realtà non gliene importa nulla, al contrario, l’attesa di ricevere notizie tranquillizzanti da Gödöllő lo sta snervando. Sembra che anche l’orologio nello studio stia rallentando il movimento delle lancette: un momento surreale, sospeso tra paura e speranza, in un silenzio odioso e pesante. Ad un tratto, l’arrivo di una carrozza lo fa correre alla finestra. Sbuffando, Gyula chiude gli occhi per qualche istante, facendo appello alle ultime rimanenze di formalità e ufficialità necessarie per accogliere il tronfio personaggio come si conviene. In quel preciso istante, Bernát spalanca la porta dell’ufficio per comunicare a Sua Eccellenza che gli uomini scelti sono già in viaggio verso il Castello e che appena saranno con l’Imperatrice, verrà mandato un messaggero a cavallo per confermare che tutto procede pacificamente. Gyula ha appena il tempo di ringraziarlo, prima di scorgere infondo al corridoio il Conte Taaffe che si dirige con flemmatica sicumera verso il Ministro. La stretta di mano d’occasione, il sorriso di circostanza, il tono falsamente cortese e lo sguardo affilato. Così i due uomini di Stato affrontano quest’incontro, fortemente voluto da Franz Joseph, sebbene Gyula si sia domandato la vera motivazione, visto che il consigliere rimane sul vago, non ci sono importanti aggiornamenti e tutto ciò per cui urgeva il parere dell’Imperatore è stato già ampiamente discusso nell’ultima riunione di Consiglio. Perché il Conte ha la sensazione che questo incontro sia un pretesto? Perché, mentre la voce di Taaffe continua il noioso soliloquio, si sforza di immaginare il vero motivo per cui è stato obbligato a rimanere chiuso in ufficio, a serata inoltrata? E perché ancora nessuno viene a comunicargli che Sissi è al sicuro, vegliata dalle due guardie?
CAPITOLO 21
“Nella pace nulla di meglio per diventare un uomo che la tranquillità e l’umiltà, ma se tu senti il soffio della guerra allora imita la tigre, indurisci i tuoi muscoli, eccita il tuo sangue, nascondi la tua lealtà sotto la fredda rabbia e infine dà al tuo sguardo l’orribile splendore”
William Shakespeare – Enrico V,
Basta. Ha deciso che andrà subito al Castello per assicurarsi che Sissi sia vegliata dagli uomini scelti: non se ne parla proprio di andare a dormire senza prima averla vista e rassicurata. Il Conte Taaffe è andato via, lasciando una scia di olezzante nervosismo tutto intorno a Guyla, il quale abbandona il suo ufficio per cercare Bernát e la carrozza. Il factotum è fuori in cortile che parla con il cocchiere. Lo sguardo e il passo del Conte non sono difficili da interpretare: lo sportello della carrozza viene aperto per far salire Sua Eccellenza, che con un’ansia percettibile nella voce, chiede di essere condotto a Gödöllő immediatamente. Il tragitto è carico di pensieri e preoccupazioni per Gyula: sembra che il Castello sia dall’altra parte del mondo, coprire quella distanza appare un’impresa eterna. Ida è davanti alla camera di Sissi: nota la luce che filtra da sotto la porta e pensa quindi che la Sovrana sia ancora sveglia. Bussa piano, pronunciando la parola «Maestà» in tono sommesso e delicato: nessuna risposta. Bussa ancora, alzando un po’ il tono della voce e il silenzio risponde dall’altra parte. Agitata, Ida afferra la maniglia e spalanca la porta: il letto di Sissi è vuoto, le lenzuola e le coperte riverse sul pavimento, impronte di scarpe maschili e terra dappertutto e nessuna traccia dell’Imperatrice. Con le lacrime agli occhi, Ida corre giù per le scale gridando: «L’Imperatrice è stata rapita!»
A quel suono allarmato e disperato, fa seguito l’agitazione della servitù e soprattutto, la veloce arrampicata delle due guardie su per i gradini che conducono alla stanza di Sissi ma non possono fare altro che constatare l’assenza della Sovrana. Uno dei due si lascia scappare un grido di rabbia e sdegno, ma non è il momento di lasciarsi accecare dalla collera. In quell’istante le ruote della carrozza del Conte e il fragore degli zoccoli dei cavalli richiamano tutti all’ingresso principale del Castello: Gyula entra e comprende subito che qualcosa di terribile è avvenuto: Ida è in lacrime, tutta la servitù è allarmata e disorientata, le guardie, dopo il saluto marziale, espongono mortificati l’accaduto.
Gyula si precipita a grandi falcate nella camera di Sissi e con la gola stretta nella morsa del panico si ferma sulla soglia, seguendo il rincorrersi assordante delle varie ipotesi che provocano un ronzio terribile. Un urlo furioso muore infondo al cuore, mentre il Conte scende i gradini e si avvicina alle due guardie: «Nessuno ha sentito nulla? Visto nulla? Non possono essersi dileguati così! Da dove sono entrati? E da dove sono fuggiti?» Il tono di Gyula tradisce il senso di disperata angoscia che prova in questo momento. «Venite con me! Cerchiamo di capire da dove sono usciti: hanno lasciato parecchie impronte!»
Gyula e i due uomini si dirigono ancora verso la scalinata e la camera di Sissi, osservando le macchie di terra sul pavimento e le seguono ritrovandosi nel corridoio secondario e buio cui si accede da una porta interna alla camera, subito dopo la stanza da bagno. Il corridoio conduce alle scale di servizio, utilizzate dalla servitù per trasportare la biancheria e gli attrezzi per le pulizie. Al termine della scala, la porta si apre direttamente sul cortile interno, dove i garzoni del fornaio o del verduraio scaricano i loro prodotti. In quel momento della giornata, le finestre che si affacciano sul cortile e gli scuri sono chiusi, la servitù si raccoglie nell’altra ala del castello, dove si trovano i loro alloggi. I mattoni del cortile recano delle strisce scure. «Non era una carrozza, ma un carro di quelli che usano i contadini dei dintorni…» Gyula si guarda intorno alla ricerca di qualcosa: una traccia, un suggerimento. Le due guardie parlano tra loro e si avvicinano al Conte per raccontargli di ciò che hanno sentito mentre cavalcavano verso Gödöllő. «Montate a cavallo e aspettatemi all’ingresso principale, chiedo a Jànos di sellarmi un cavallo e vi raggiungo: ci metteremo sulle tracce del carro!»
Ida, superato il momento di smarrimento, è in cucina con tutta la servitù: sta chiedendo a ognuno di ripercorrere mentalmente la giornata ricordando se qualcosa di strano o inusuale fosse accaduto. Tutti sono spaventati e vorrebbero essere d’aiuto, ma nessuno ricorda nulla di particolare. Ida cerca con lo sguardo Kitti e chiede a Petra dove sia. «Si è addormentata un paio d’ore fa, non riuscirei a svegliarla ha il sonno così pesante!» «La interrogherò domani, allora»
Una notte così lunga e angosciosa non era mai trascorsa nelle mura del Castello. Ida è alla finestra che guarda il viale di ingresso, sperando di vedere l’Imperatrice tornare sana e salva e pensa al Conte che è uscito a cavallo quasi da due ore con le guardie e ancora non rientra. Quale disgrazia si è abbattuta su di loro?
Nello stesso momento, Gyula continua a cavalcare nei boschi intorno a Gödöllő. Ha distanziato i suoi uomini di parecchio, spinto da una fretta incontrollabile: «Dove sei, amore mio? Pensami, pensami forte e io ti troverò, dovessi morire per farlo, giuro che ti troverò!»
É ormai l’alba e la pioggia che viene giù da qualche minuto rende più angosciosa la ricerca. Gyula ferma il cavallo e si guarda intorno: oltre il bosco, i Monti Matra mostrano le loro cime lontane, è lì che deve dirigere le sue ricerche, quella zona è ricca di grotte e vecchi edifici abbandonati. Non è difficile nascondere qualcuno lì.
Torna indietro, spronando il cavallo al galoppo e, dopo qualche minuto, incontra i due soldati che rallentano l’andatura.
«Torniamo al Castello e prepariamoci ad una spedizione: siamo diretti verso la montagna»
I due uomini non battono ciglio si rimettono tutti al galoppo per poter rientrare al più presto a Palazzo e organizzare viveri e cavalli per l’impresa. I criminali che hanno preso Sissi hanno un discreto vantaggio, ma Gyula sa in cuor suo che tutte le forze dell’universo si uniranno per indicargli il cammino.
CAPITOLO 22
“Nel destino di ogni uomo può esserci una fine del mondo fatta solo per lui. Si chiama disperazione.”
Victor Hugo
Perfettamente in sintonia con il Conte, Bernát si è precipitato al Castello poco dopo l’alba, avendo intuito che un grave evento aveva tenuto Sua Eccellenza fuori durante la notte. Gyula è sollevato nel vederlo giungere e affranto gli racconta l’accaduto. Terribilmente addolorato, Bernát si mette a totale disposizione per assolvere qualsiasi incarico necessario: «Disponete di me, Eccellenza! Mi occuperò io di giustificare la vostra assenza al Ministero. Voi avete un compito ben più gravoso, che Dio protegga l’Imperatrice…» aggiunge poi sottovoce, abbassando la testa.
«So che posso sempre contare su di te, Bernát, mi metterò in viaggio verso i Monti Matra appena sarà tutto pronto. – Gyula pronuncia queste parole, poggiando un braccio sulla spalla di Bernát e allontanandosi dal trambusto – porterò con me i due uomini che avevi scelto. – un attimo di silenzio – Che nessuno sappia dove sono diretto, bada bene! Rimanderò le due guardie indietro nel momento in cui avrò la certezza di aver trovato il luogo in cui tengono nascosta l’Imperatrice e la riporterò a Gödöllő sana e salva!»
Ida è in cucina e sta aspettando Kitti: il suo istinto le dice che l’ingenuità della ragazzina l’ha fatta agire con superficialità e ha giurato a sé stessa di scoprire tutto ciò che potrà aiutare il Conte a ritrovare Sua Maestà. Kitti si presenta con la testa china e salutando con un filo di voce. Ida la fa sedere e rimane sola con lei, avendo precedentemente chiesto a Petra di tenere tutta la servitù lontana. «Kitti, voglio che tu mi racconti tutto… ogni cosa che hai detto o fatto con Màtè e bada di non dire bugie! Non nascondermi nulla se vuoi che l’Imperatrice torni a casa!» Il tono di Ida è severo e gli occhi della ragazzina si riempiono di lacrime che scivolano sulle guance arrossate dall’agitazione.
«Io…io non sapevo…non avevo capito…era così gentile…» tra i singhiozzi e le esortazioni di Ida, Kitti inizia a raccontare: «Màtè ha cominciato a venire qui a portare il pane un giorno sì e un giorno no, ma solo da poco: da quando Sua Maestà è rientrata dal viaggio. Ha cominciato a corteggiarmi e farmi piccoli regali…»
«Kitti! Cosa gli hai detto dell’Imperatrice? Cosa ti ha chiesto?»
Ancora in lacrime, Kitti risponde: «Ogni volta che ci vedevamo mi domandava dove fosse e che programmi avesse. L’altro giorno mi ha chiesto di vedere la stanza dell’Imperatrice – il volto della ragazza è un fuoco – e io l’ho condotto attraverso il corridoio che usiamo per portare la biancheria.» Kitti scoppia in un pianto disperato e abbandona la testa sulle braccia poggiate sul tavolo. Ida non perde che un attimo a consolarla, anche se in cuor suo vorrebbe impartirle una punizione esemplare, e corre dal Conte che si trova in cortile per assicurarsi che la spedizione possa partire al più presto. «Conte Andràssy, devo parlarvi in privato…» Si allontanano verso l’atrio delle scuderie. «Cosa c’è Ida?»
«Ho parlato con Kitti, la ragazzina che aiuta Petra in cucina. Avevo sospettato qualcosa, ma ora ne ho avuto la conferma: il garzone del fornaio l’ha circuita corteggiandola e si è fatto mostrare la stanza dell’Imperatrice. Naturalmente Kitti lo ha portato su dal corridoio di servizio…» – Ida china il capo affranta – «Sono mortificata, e addolorata, andate a prenderla e riportatela qui, ve ne prego!» Il viso tirato, gli occhi gonfi, le mani intrecciate che si tormentano, Ida guarda il Conte dritto negli occhi: «Non temere, Ida. Sissi tornerà presto, l’ho giurato a me stesso e ora lo giuro anche qui dinanzi a te!» Gyula stringe le mani di Ida rassicurandola con il suo piglio deciso. Raggiunge Bernát e, dopo avergli parlato quasi all’orecchio, ottenendo il suo immediato assenso, si dirige a passo spedito verso i cavalli e i due soldati che sono pronti per la spedizione. Montando a cavallo, il Conte rivolge uno sguardo a Ida e poi a Bernát. Un viaggio angoscioso, una ricerca disperata, un percorso rischioso. Gli zoccoli dei cavalli già battono il terreno e il Castello si allontana: il tempo sembra voler fare la sua parte e un sole pallido rischiara questa giornata, nemmeno troppo fredda. Nel bosco i profumi della primavera cercano di sovrastare l’umidità che si sprigiona dalla terra, bagnata per la pioggia della notte precedente.
Sissi riesce a stento a raggiungere con la testa l’unico finestrino in alto sulla parete bianca della stanza dove è rinchiusa: vede solo un muro di cinta e la cima di un monte. È stata portata lì dopo essere stata addormentata con del cloroformio, ne conserva ancora il pungente odore nelle narici. Indossa ancora la camicia da notte ed ha freddo. Nella testa un battito continuo: amore mio, vieni a prendermi! So che sei già sulle mie tracce, lo sento, ti prego fai presto!
Nella stanza solo un misero letto, un tavolino ed una sedia di legno. Sissi cammina avanti e indietro ansiosa e disperata. Chi ha voluto farle questo?
D’un tratto la porta della stanza si apre, con un gran rumore di chiavistelli e catenacci: entra un uomo anziano, con una ciotola e un pezzo di pane, si rivolge a lei in tedesco «Il vostro pasto…» appoggiando il tutto sul tavolino.
«Chi siete? Che cosa volete da me? Rispondete!» grida Sissi in tedesco all’uomo che si dimostra imperturbabile e va via, richiudendosi la porta alle spalle, con chiavi e lucchetti. Sissi si abbandona sul letto, in preda allo sconforto e qualche lacrima le riga il viso, ma vuole farsi forza e pensa al suo grande amore, convinta che non c’è ostacolo che potrà impedire a Gyula di ritrovarla. Concentra tutte le sue energie immaginando il suo viso, le sue mani e lo chiama: «Gyula, amore mio ti aspetto, sarò forte! Te lo prometto, ma tu corri da me, corri!!»
CAPITOLO 23
“La paura non può essere senza speranza né la speranza senza paura”
Spinoza – Etica
Stanno cavalcando da più di un’ora. Gyula guida i suoi uomini, spronando il cavallo al galoppo senza temere di stancarlo. Non vuole sprecare minuti preziosi, ha urgenza di giungere ai piedi dei Monti Matra. Alle pendici, si trova una cittadina, Gyöngyös dove risiede il fratello di Bernát. Lui conosce benissimo gli abitanti e la zona e saprà dirgli se ha notato qualche movimento sospetto nelle ultime ore. L’aria fredda sul viso, la corsa senza sosta nei boschi, il pensiero costante di Sissi in pericolo, la necessità di avere la certezza sull’orditore del piano, tutto ciò imprime al suo corpo una forza indomabile. I due uomini che lo seguono a breve distanza sanno di essere lì per scortare il Conte durante il percorso verso i monti, ma non conoscono la destinazione finale né le motivazioni che lo hanno posto su quella strada. Giunto quasi mezzogiorno il Conte decide di sostare qualche minuto, per dare il tempo ai cavalli di ristorarsi. Mentre i due soldati si occupano dei destrieri, Gyula si siede per un attimo su un grosso masso che sporge alla sua destra ai piedi di un abete rosso, circondato da felci e piccoli rovi di more. Si guarda intorno e inspira profondamente, vorrebbe poter avvertire il profumo di lei, dei suoi capelli. Vorrebbe poter ascoltare il suono della sua voce, canzonarlo allegramente per essere più lento di lei. Vorrebbe poter cogliere quei piccoli frutti succosi e scuri e poggiarli vogliosamente sulle sue labbra. Riapre gli occhi per fissarli sulla sagoma della cittadina che ormai si vede chiaramente oltre il bosco: tra poche ore, forse due, saranno lì. A Gödöllő Ida sta scrivendo a Maria Festetics, secondo le istruzioni del Conte, avvertendola del rapimento di Sua Maestà e pregandola di raggiungerla urgentemente, qualora fosse in possesso di informazioni delicate. Anche Ida, come Gyula, sa che gli Asburgo sono gli ideatori di questa deprecabile azione ma non ne possono avere alcuna certezza, non al momento. Bernát, obbedendo agli ordini di Sua Eccellenza, si è recato con uomini armati dal fornaio presso il quale lavora il garzone disonesto, con l’intento di arrestarlo. Arrivati alla grande bottega, suscitando scalpore nei passanti e timore nei lavoratori, Bernát e le guardie chiedono di parlare con il padrone che immediatamente si affretta a comparire davanti alla piccola spedizione. Bernát lo interroga sul garzone Matè ma, con disappunto, viene a sapere che il ragazzo si è dileguato la notte precedente, durante il suo turno di lavoro, senza una parola. Nessuno dei presenti sa molto di lui: è arrivato circa un mese addietro, chiedendo di poter lavorare ed è stato incaricato, dietro sua insistenza, di effettuare le consegne. Tutto sembra rafforzare i sospetti espressi dal Conte prima di intraprendere la corsa verso i monti: chi ha portato via l’Imperatrice lo ha fatto seguendo un piano preciso, ideato dall’alto. Sparita Sissi, rinchiusa in una fortezza o Dio sa dove, gli Asburgo salvano la faccia e il regno: senza Sissi, tutto può continuare come prima, senza scandali o compromessi.
Sono giunti ormai al limitare del bosco, la strada si allunga dinanzi a loro, una striscia bianca tra due file di pioppi; infondo, Gyöngyös sembra attendere il loro arrivo nel sole tiepido di aprile. Gyula incita ancora il cavallo al galoppo e spera che il suo istinto lo abbia messo sulla strada giusta. Entrano in città sollevando un polverone e tanta curiosità: Gyula si dirige verso la fattoria del fratello di Bernát, secondo le sue indicazioni. Endre è un brav’uomo, sempre al lavoro nei campi o con gli animali, abita lì da sempre e conosce proprio tutti. Non esiterà a mettersi a disposizione del Conte, quando saprà cos’è accaduto. All’arrivo di Gyula, Endre, gli si avvicina dapprima dubbioso, poi con gli ossequi d’occasione, accoglie il Conte nella sua modesta magione e lo invita in casa con i suoi uomini per rifocillarsi. Gyula inizia subito a raccontare a Endre i fatti e questi, dopo un primo momento di sconcerto, assicura a Sua Eccellenza la sua totale disponibilità a collaborare. «Endre, avete notato nulla di strano negli ultimi giorni? Nelle ultime ore? Siamo certi che l’Imperatrice è stata portata via con un carro di quelli che usate per trasportare il fieno ed io sono certo che è stata nascosta qui! Esiste qualche edificio di difficile accesso nei paraggi?» Endre ha lo sguardo acuto ed assorto: sta probabilmente ripensando a qualcosa che ha visto o sentito e che, pur avendo catturato la sua attenzione nell’istante preciso del suo svolgimento, è stato poi dimenticato. «Ve ne prego, Endre, cercate di ricordare. Qualsiasi dettaglio può esserci utile, ma presto! Dio solo sa cosa hanno in mente quei criminali! Dobbiamo trovare l’Imperatrice…subito!»
Endre si alza dalla sedia, prende il mantello e, dirigendosi verso l’uscio, dice al Conte: «Prendo il cavallo e venite con me, forse so chi può darci le informazioni che cercate.»
Gyula e i suoi uomini si scambiano occhiate interrogative e sorprese, ma non possono permettersi di tralasciare neppure la più remota possibilità: «Andiamo! Voglia Dio che abbiate ragione, Endre…»
I quattro a cavallo partono al galoppo: in ognuno di loro la speranza ha rinvigorito le fibre.
CAPITOLO 24
“I viaggi finiscono laddove s’incontrano gli amanti.”
William Shakespeare – La dodicesima notte
Endre guida Gyula e i suoi due soldati nella frenetica cavalcata: ognuno avrebbe una domanda da porre a quell’uomo, ma l’impazienza e la premura li forzano a seguirlo, ovunque egli ritenga necessario andare. Dopo mezz’ora ad andatura sostenuta Endre fa rallentare il suo cavallo, voltandosi alle sue spalle per far cenno agli altri che è quella la loro tappa, per il momento. Davanti ai loro occhi, immersa nella verde valle, si erge una piccola casa in legno, dal tetto malandato e con porte e finestre scardinate. Gyula si avvicina circospetto a Endre e gli domanda: «Chi abita qui? Sei certo che parlerà?»
«Sì, Eccellenza. Ho tutte le intenzioni di farlo cantare come un uccellino…» Mentre stanno avvicinandosi alla casa, Gyula fa cenno ai due soldati di dirigersi verso i due lati per assicurarsi di non avere brutte sorprese. Uno dei due nota, quasi alle spalle della costruzione, un carro del tutto simile a quello che hanno immaginato possa aver trasportato l’Imperatrice la notte precedente.
Un uomo anziano e malvestito esce dalla casa sbraitando e bestemmiando in tedesco. Quando si accorge di non essere solo, si ferma per un attimo e, riconoscendo Endre, gli urla: «Che diavolo vuoi? Vattene e porta via questa gente con te!» In un attimo, gli sono addosso in quattro. L’uomo lascia cadere il fagotto che aveva in mano e spaventato si rivolge a loro in ungherese: «Chi siete? Che cosa volete? Lasciatemi andare!» «Non andrai proprio da nessuna parte, Jakob! Ora entriamo tutti in casa a parlare un po’…»
Una volta dentro, non essendoci sedie a sufficienza per tutti, la “conversazione” con Jakob avviene in piedi, o meglio: Jakob è tenuto con forza da uno dei due soldati con la schiena sull’unico tavolo precario presente nella stanza, mentre l’altro tiene sotto controllo l’esterno da una delle due finestre. Gyula ed Endre gli sono abbastanza vicini da fargli sentire il proprio fiato in faccia. «Dove stavi andando, Jakob? Dimmelo subito o ti giuro, quant’è vero che Dio esiste, ti stacco le orecchie a morsi! Parla, sciagurato!»
«Sono solo fatti miei dove vado!» risponde il vecchio impaurito, ma con tono indispettito – la prima sberla da parte di Endre schiocca sonora sulla faccia di Jakob – «Parla con rispetto, animale!»
«Stavo andando al vecchio convento…»
«Al vecchio convento? Non è posto per un diavolo come te! Andiamo, vuota il sacco! Lo sai, non mi costa nulla toglierti dal mondo e in tanti mi ringrazieranno. Quindi scegli tu: o mi dici tutto o le tue malefatte finiranno qui, ora… e per sempre!»
Il vecchio conosce bene Endre e sa che è capace di fare esattamente ciò che ha detto. Dopo qualche imprecazione in tedesco, Jakob dice in ungherese: «C’è una donna rinchiusa nel vecchio convento, le stavo portando da mangiare. Mi hanno pagato bene per occuparmi di lei»
«Non sai chi è? Non la conosci?» – interviene Gyula in preda ad una foga incontrollabile. «No, mi hanno detto che è nobile e che devo trattarla bene, ma io non sono il suo dannato servo e…» – non gli viene concessa la possibilità di terminare la frase, dato l’altro ceffone brutale di Endre: «Tu finirai all’inferno. Ora ci porterai dalla prigioniera al vecchio convento, senza fiatare. Andiamo!»
Gyula e i suoi uomini sono sempre più increduli e stupefatti: il Conte è il primo a montare in sella, a Jakob viene affidato il cavallo di una delle due guardie che resterà lì in attesa del loro ritorno. Il vecchio convento non è distante, ha detto Endre e dunque, se tutte le loro supposizioni sono esatte, tra poco potranno verificare l’attendibilità di Jakob. In fondo alla valle, tra campi e filari di viti, si innalza un robusto muro di cinta, evidentemente in rovina. Al suo interno, si trova un piccolo edificio, un antico convento che fu abbandonato dalle monache e utilizzato dai viandanti per qualche tempo. Da anni ormai, nessuno ci mette piede. É Endre che fornisce al Conte questi dettagli, gridando mentre cavalca. Manca poco ormai, la valle è deserta e solo le falcate dei destrieri rompono il silenzio irreale di quel luogo. In prossimità del muro, l’andatura rallenta e gli uomini saltano giù dai cavalli stanchi. Jakob si fa strada tra le erbacce, davanti al pesante portone in legno chiuso da un catenaccio. Gyula freme dall’impazienza, sta un passo dietro il vecchio Jakob che ora li sta conducendo attraverso il chiostro verso un’altra porta in legno, anch’essa chiusa a chiave. Una scomoda rampa di scale e un’ennesima porta sono forse gli ultimi ostacoli. Jakob viene spinto malamente su per le scale da Endre, che riceve un grugnito in risposta. Giunto davanti all’uscio, Jakob tira fuori la chiave ed armeggia con il chiavistello. Gyula sta sudando freddo e, appena la porta si apre, si precipita nella stanza: Sissi giace addormentata su quel così poco regale giaciglio. Le si avvicina, mettendosi in ginocchio e sussurrandole all’orecchio.
«Sono qui, amore mio, svegliati! Il brutto sogno è finito…» Un bacio delicato sulla guancia e poi sulla fronte, Sissi apre gli occhi, da cui subito sgorgano delle lacrime di sollievo e di gioia. Con le braccia intorno al collo di Gyula, Sissi riesce a dire: «Amore, amore mio, sei qui!»
Il Conte solleva l’Imperatrice dopo averla avvolta nella coperta e, tenendola nelle sue forti braccia la conduce giù per le scale. «Non devi temere nulla al mondo, mia adorata! Insieme siamo invincibili e ora baciami o impazzirò!» Senza farselo ripetere due volte, Sissi posa le sue labbra fredde e tremanti su quelle di Gyula, calde e morbide. «Ti porto a casa con me, per sempre!»
CAPITOLO 25
“Scrutiamo tanto volentieri nel futuro, perché tanto volentieri volgeremmo a nostro favore, con taciti desideri, ciò che in esso oscilla, l’incerto”
Johann Wolfgang Goethe – Le affinità elettive
Il Castello è in festa: Sissi è stata riportata sana e salva dal Conte appena prima che facesse buio, dopo lunghe ore di ansia e incertezza. Ida è stata la prima ad abbracciare, piangendo, la Sovrana, che, a sua volta, non ha potuto resistere e si è prodotta in un pianto liberatorio. Tutta la servitù si è precipitata all’ingresso principale e ha accolto Sua Maestà con affetto e devozione. Dopo aver salutato Sissi, tutti si rivolgono al Conte per manifestare ammirazione e gratitudine con inchini e frasi di autentico entusiasmo. La Sovrana, oltre al sollievo immenso, prova anche un leggero imbarazzo per essere ancora vestita con la sola camicia da notte e la coperta con cui Gyula l’ha avvolta prima di lasciare la sua “prigione”.
Ida comprende al volo e dà ordini a Petra di preparare la cena per le guardie che hanno accompagnato il Conte nell’impresa, prendendo poi a braccetto Sissi dicendole: «Andiamo a rendervi presentabile, Maestà»
Gyula si avvicina a Sissi sfiorandole le labbra con un bacio: «Che vedano tutti quanto ti amo…»
Sissi gli sorride, arrossendo lievemente, e tutti i presenti, dopo una sommessa esclamazione di sorpresa, corrono ai propri posti. Gyula segue János nelle scuderie, Sissi si dirige con Ida verso le sue stanze, Petra nelle cucine non prima di aver ordinato di accendere le stufe nelle camere di sopra e nella biblioteca. Ai due soldati vengono assegnati gli alloggi nei locali annessi alle scuderie e vengono fatti accomodare in cucina per essere rifocillati. All’arrivo di Bernát gli viene indicato di recarsi nelle scuderie: «Vostra Eccellenza, sono lieto di constatare che tutto si sia concluso nel migliore dei modi. L’Imperatrice sta bene?» Il Conte sorride mentre, con una stretta di mano vigorosa, comunica al suo factotum il ruolo fondamentale che ha avuto il fratello Endre: «Sì, Bernát! Tuo fratello è un uomo eccezionale! Senza di lui, non avremmo potuto ritrovare Sua Maestà così presto! Io l’ho ringraziato ma non quanto avrebbe meritato! Gli ho detto che sarei stato ben felice di riceverlo presso il Ministero per conferirgli un’onorificenza, ma ha detto che la sua ricompensa era che l’Imperatrice fosse stata ritrovata…» «Eccellenza, mio fratello è un uomo semplice, sono certo che non vorrebbe altro che la vostra felicità e quella di Sua Maestà. Da parte mia posso confessare di essere orgoglioso di lui».
Dopo questo scambio, Bernát si avvicina a Gyula, abbassando il tono di voce e conferendo di questioni più spinose. Al termine, con un’altra poderosa stretta di mano, i due uomini si congedano: «Portate i miei più devoti omaggi all’Imperatrice, Eccellenza. A domani».
Nella camera di Sissi intanto, Ida esclama in tono affettuoso: «Quanto sono stata in pena per Voi, Maestà! Quanta paura ho avuto. Se non ci fosse stato il Conte, non so davvero cosa sarebbe successo… ringrazio Dio di aver vegliato su di Voi e guidato i suoi passi!»
Sissi è stordita, si guarda intorno per un attimo, portandosi una mano alla tempia e sviene. Ida in un attimo ha preso i sali e glieli ha fatti annusare, facendola riavere dopo qualche istante. «Ma, che succede? Ho perso i sensi?»
«Maestà, non è nulla. State tranquilla! Tutta l’angoscia che avete provato, ora è andata via. Su, sorridete. Sedete vicino al camino e riscaldatevi, io vi preparo il bagno caldo e gli abiti puliti. Quando sarete pronta, la cena di Petra vi farà riprendere completamente!»
«Sì, hai ragione Ida. Facciamo presto non voglio far aspettare il Conte, sarà stanco e affamato…» – un attimo di pausa, e aggiunge sussurrando – «quanto lo amo, Ida…»
«Anche il Conte via ama moltissimo ed io non potrei essere più felice!»
Alla Hofburg, a Vienna, l’Imperatore è seduto in consiglio con il suo gabinetto, incompleto per l’assenza del Ministro Andràssy: la pace di Santo Stefano, conclusa dalla Russia da qualche settimana, ha provocato un innalzamento della tensione internazionale. L’Austria si sente ingannata per la mancata annessione della Bosnia all’Impero e Franz Joseph ritiene necessario convincere lo Zar Alessandro II ad accettare una conferenza per rettificare gli esiti del trattato, al fine di evitare una nuova guerra. Tutte le diplomazie europee stanno per mettersi in moto, cercando di studiare strategie e alleanze vantaggiose. Nel pieno della discussione, l’Arciduchessa Sofia si fa annunciare al consiglio: sulla soglia dell’enorme stanza, dirige uno sguardo allarmato al figlio, il quale, senza una parola, si alza e di dirige verso di lei, richiudendosi la porta alle spalle. «Cosa è successo?»
«É stato tutto inutile, il tuo Ministro l’ha già ritrovata e riportata a Gödöllő. Cosa intendi fare ora?» Franz è sorpreso, ma in cuor suo è sollevato al pensiero che Sissi è tornata al Castello. «Sapete bene, Madre, che non ero d’accordo sul vostro piano! Ora, ho faccende di estrema gravità per l’Impero a cui dedicare la mia totale attenzione. Discuteremo in seguito come comportarci con l’Imperatrice.»
«L’Imperatrice? Non lo merita più quel titolo! Devi reagire duramente! Cosa penseranno di te in tutta Europa?»
«Madre! Vi ho già detto che ci sono questioni più drammatiche di cui debbo occuparmi. Col vostro permesso, torno al consiglio» – si inchina e rientra nella sala, lasciando l’Arciduchessa nervosa e seccata.
Al Castello, la cena per Sua Maestà e per il Conte sarà servita in una delle sale del primo piano: la tavola è stata apparecchiata come piace a Sissi, con fiori, tovaglia bianca e le porcellane di Herend. Gyula sta attendendo Sissi in biblioteca: ha un’aria seria e preoccupata, ma non appena sente il passo di Sissi nel corridoio, sfodera il suo più accattivante sorriso e le va incontro per baciarle le mani. Ida sorride felice e richiude la porta, lasciando la coppia sola in biblioteca. «Amore mio, sei di una bellezza sovrannaturale…come ti senti?»
«Abbastanza bene, un po’ stordita… ma tanto felice!»
«Io vivo per questo, amor mio: perché tu sia felice!» Si stringono in un abbraccio appassionato e in un bacio caldo. Un velo di tristezza scende sul volto di Sissi: «Come hai fatto a trovarmi? Chi ha potuto volermi tanto male?»
Anche il volto di Gyula si fa cupo: «Vedi, angelo mio, ancora non ne ho la certezza, ma non reputo improbabile che i responsabili siano alla Hofburg»
«Franz? No! Non posso crederci.»
«Più che all’Imperatore, pensavo all’Arciduchessa, sai quanto può essere impietosa quella donna…».
Sissi tace: Gyula potrebbe avere ragione.
«Ma ora cosa facciamo?»
«Ora? Andiamo a cena, tesoro mio!» Gyula prende a braccetto Sissi e le sussurra all’orecchio: «Non crucciarti… è compito mio risolvere tutta la questione, una volta per tutte»
Giunti davanti alla splendida tavola apparecchiata, Gyula scosta la sedia per farla accomodare e, sedendosi a sua volta, esclama: «Non ho mai avuto così tanta fame!». Le pietanze preparate da Petra sono davvero superbe, ma Sissi ha appena assaggiato le patate.
«Amore mio, non hai mangiato quasi nulla, non stai bene?». «Non preoccuparti, mio caro… sono solo frastornata e stanca. Penso che un bel sonno mi rimetterà in sesto.» – sorride – «Quanto vorrei che tu restassi, stanotte!» poggia la sua mano su quella di Gyula, il quale se la porta alle labbra, sfiorandola con un bacio.
«Posso disobbedire alla mia Regina?»
Sissi arrossisce appena: «Dirò a Ida di far preparare una stanza per te, ma non è ciò che voglio davvero…»
«Lo so bene, amore mio…»
CAPITOLO 26
“Quel che un uomo pensa di sé stesso: ecco ciò che determina, o meglio indica, il suo destino”
Henry David Thoreau
La notte è trascorsa serena, Sissi e il suo cavaliere dall’armatura scintillante hanno dormito insieme, in barba all’etichetta, al protocollo, ai cerimoniali e tutte le normali consuetudini imperiali. Sissi dorme ancora quando Gyula si sveglia e, baciandole delicatamente la guancia, si alza per andare incontro ad una giornata cruciale. Il silenzio regna nel castello e il Conte riesce a lasciare la camera della Sovrana per infilarsi, non visto, in quella che era stata preparata per lui. Senza fretta ma senza indugi, si veste e scende al piano inferiore dove incontra Ida già indaffarata con la servitù. Dopo essersi scambiati il buongiorno, il Conte viene accompagnato nella saletta dove gli sarà servita la colazione. Gyula ci tiene a mettere Ida al corrente di ciò che si accinge a fare ricevendo, in cambio, un sorriso incoraggiante, ma carico di preoccupazione, al tempo stesso. Puntuale come sempre e in base agli accordi presi la sera precedente, Bernàt arriva a Palazzo con la carrozza che accompagnerà il Conte alla stazione di Buda-Pest, da dove il treno per Vienna partirà alle 7.50.
Mentre la carrozza si allontana nel viale, Gyula guarda dal finestrino verso la camera di Sissi, sperando che tutto il suo amore le giunga così, irradiato dal cuore. Il sonno profondo che ha rapito Sissi non le ha permesso di sentire i movimenti del suo amato né l’arrivo e la ripartenza della carrozza. Quando apre gli occhi dalle tende sembra che il sole stia bussando per farsi aprire. Sissi si rigira e si accorge dell’assenza del suo cavalier cortese e non senza un puerile broncio, si alza e suona il campanello che farà salire Ida. Scostando i drappi di seta blu dalla finestra, il broncio si scioglie in un placido sorriso. Lasciando vagare lo sguardo per la stanza, Sissi scorge un foglio ripiegato sul comodino e si precipita a leggerlo:
“Buongiorno, angelo mio…mi doleva svegliarti e sono andato via senza salutarti. Ida ti dirà tutto. Sii sempre certa che sono e sempre sarò il tuo ardente e innamorato
Gyula”
Ida entrare sorridente dopo aver bussato.
«Buongiorno, Maestà. Vi trovo radiosa stamane, il sonno vi ha rigenerata!»
«Buongiorno Ida cara. Dove è andato il Conte? Mi ha lasciato scritto che mi avresti informata tu»
«Si, Maestà. Il Conte mi ha pregata di informarvi che si sta recando alla Hofburg per parlare con l’Imperatore. Nei giorni scorsi si è tenuto un importante consiglio a corte e Bernàt ha suggerito a Sua Eccellenza di andare a verificare di persona gli esiti.» – resta in silenzio per un attimo – «Naturalmente, Sua Eccellenza è deciso a chiarire la Vostra posizione con l’Imperatore, definitivamente. Così ha detto».
Un’ombra di giustificata preoccupazione scende sul volto di Sissi, non riesce ad immaginare quale potrà essere la reazione di Franz durante il confronto con Gyula, mentre riesce benissimo a visualizzare il viso contratto in una smorfia di disgusto e decisa disapprovazione dell’Arciduchessa Sofia. Di una sola cosa è veramente certa: Gyula non arretrerà di un solo passo. Il viaggio in treno, verso Vienna, dura il tempo necessario per essere informato da Bernàt degli avvenimenti, comprese le sue impressioni riguardo al coinvolgimento della Corte nel rapimento dell’Imperatrice. La posizione di Gyula non è affatto facile: come Ministro degli Esteri riveste, in questo momento storico, un ruolo determinante e, in nome del suo amore per l’Ungheria, non è disposto a rinunciare a lottare per l’indipendenza; come uomo, in nome del suo amore per Sissi non è disposto a rinunciare a lei per alcuna ragione. Secondo la perfetta organizzazione di Bernàt, al loro arrivo a Vienna, una carrozza li attende per portarli a Corte: il Conte sta mettendo in ordine le idee con qualche difficoltà, dovuta al ricordo fresco della notte appena trascorsa, al profumo setoso dei suoi capelli sotto le mani, al tepore della sua pelle candida. La voce di Bernàt lo riporta al contesto presente, facendogli notare che l’Imperatore è in cima alle scale del cortile per le carrozze, pronto a riceverlo: che la singolar tenzone abbia inizio.
Dopo la colazione, Sissi ha bisogno dell’abituale passeggiata: il clima si sta facendo più mite e la primavera sta regalando al bosco un verde più vivo e tocchi di colore qua e là; bucaneve, primule, giacinti selvatici timidamente spuntano sotto alberi ancora spogli e i cespugli di forsythia punteggiano d’oro il sentiero tortuoso. Sissi cammina di buon passo accanto a Ida, che non rinuncia mai ad accompagnare Sua Maestà in qualsiasi momento decida di compiere quel rito per lei tanto importante. L’aria di questo mattino è particolarmente frizzante, il sole è tiepido e il cielo terso.Dopo mezz’ora di cammino, Sissi posa una mano sul braccio di Ida, fermandosi e trattenendo per un attimo il respiro.
«Cosa vi accade, Maestà?» Sissi si porta una mano al petto e tira un forte respiro.
«Tutto bene, Ida, non preoccuparti. Mi è solo mancato per un attimo il fiato…»
«Rientriamo, Maestà!»
L’attesa di eventuali notizie dalla Hofburg riempirà le ore successive.
CAPITOLO 27
“Una travatura di legno ben connessa in una casa non si scompagina in un terremoto, così un cuore deciso dopo matura riflessione non verrà meno al momento del pericolo”
Antico Testamento
«Vostra Maestà.» – Gyula stringe la mano all’Imperatore e lo saluta in tono rigido e nervoso, con un rapido cenno del capo. «Bentornato a Vienna, Ministro Andràssy o vi siete dimenticato del vostro incarico, preso da altri… piaceri?» «Non l’ho affatto dimenticato, Vostra Maestà Imperiale, è anche come Ministro che mi sono permesso di intervenire in una faccenda davvero spinosa…» sostiene lo sguardo severo di Franz Joseph con aria risoluta.
I due si stanno fronteggiando nello studio privato dell’Imperatore, lontani da occhi e orecchie estranee. È un duello: ognuno nutre sospetti fondati sull’altro e attende il momento in cui potrà scoprire le proprie carte, bluffando o meno, per battere l’avversario. «Mi hanno puntualmente informato, Maestà, del consiglio tenutosi nei giorni scorsi. Abbiamo davanti a noi la preparazione di un evento che potrebbe essere decisivo per il destino dell’Impero e non possiamo permettere che gli esiti vengano compromessi da questioni diverse»
«Sapete una cosa, Conte? Avete ragione! Il futuro dell’Impero risiede nelle vostre mani! In mani leali e fidate.» – il tono di Franz si è maggiormente inasprito. Il Conte resta un attimo in silenzio, senza mai abbassare lo sguardo. Il primo attacco austriaco, eseguito con destrezza, ha prodotto un aumento della concentrazione da parte dell’avversario magiaro, il quale deve rispondere prima di poter portare il suo attacco.
«La lealtà e la fiducia sono eccellenti qualità che vanno meritate, Maestà.» – il Conte si alza in piedi e arretra di qualche passo. «Non c’è nulla di più riprovevole che venire meno alle promesse fatte – ora comincia ad avanzare lentamente verso Franz Joseph – proteggere l’Imperatrice, amarla e rispettarla, questo è ciò che avevate promesso quando l’avete resa vostra moglie!» In quell’istante, l’Imperatore si alza anche lui dalla sedia e, stringendo i pugni, resta fermo, con espressione rabbiosa, di fronte al Conte.
«Come osate! Come potete pensare di rivolgervi a me in questo modo!» La risposta del Conte è poco più di un sussurro. «Come avete osato Voi mettere in pericolo la vita della donna che vi ha amato?» – pausa interminabile – «Sarò franco con Voi, Maestà: io amo Elisabetta più di ogni altra cosa al mondo, più di quanto Voi l’abbiate mai amata e molto più di quanto sareste mai capace di amarla! E sono pronto a dare la mia vita per lei.» Franz è pallido e i muscoli del viso sono contratti in una smorfia dolorosa.
«Questa è la mia offerta, da suddito leale: io manterrò la carica di Ministro degli Esteri fino a giugno, quando mi impegnerò con tutte le mie forze per trattare condizioni favorevoli all’Impero; dopo il Congresso, io e Sissi andremo via, insieme. E voi non sentirete mai più parlare di noi.» – affondo perfetto.Franz Joseph si è seduto, con un movimento rapido e silenzioso. Ha abbassato lo sguardo, portandosi una mano alla fronte e restando in silenzio per qualche istante.
«Ma lei è l’Imperatrice, ha dei doveri, degli obblighi!» «Firmerà un accordo in base al quale rinuncerà al titolo imperiale e a tutti i privilegi ad esso legati. Manterrà il suo titolo di Duchessa e Voi potrete annunciare ufficialmente che l’Imperatrice ha la necessità di risiedere in un luogo caldo a causa delle sue condizioni di salute. La Storia poi seguirà il suo corso.» Lo schermidore magiaro ha battuto il rivale asburgico, tattica vincente, esecuzione impeccabile. A Gödöllő, dopo la passeggiata, Sissi non ha gradito pranzare e ha preferito rilassarsi sul divano blu pervinca della biblioteca sfogliando alcuni dei suoi volumi di poesie. Sta tentando, con la lettura, di sfuggire al pensiero costante di Gyula e Franz che si affrontano per lei, circostanza che mai nella vita avrebbe immaginato possibile. La sensazione di nausea che continua a provare contribuisce a renderla nervosa e irritabile.
Ida è preoccupata e anche lei attende di avere notizie da Vienna. In cuor suo è fiduciosa: negli occhi di Gyula ha potuto scorgere tutta la sua passione e il suo coraggio, la forza e la determinazione di un vero magiaro. Bussa alla porta della biblioteca, con due tocchi leggeri. «Posso entrare, Maestà?» «Certo Ida, vieni pure.» – posa il libro accanto a sé e sorride a Ida – «Ci sono novità?»
«No, Maestà, non ancora, ma sono certa che il Conte manderà un telegramma per tranquillizzarvi»
«Credi che andrà tutto bene, Ida? Io sono così nervosa! Vorrei che fosse già domani o che fosse già estate…»
«Calmatevi, Maestà. Il Conte è un leone! Saprà ruggire ed attaccare quando sarà il momento, non temete. Piuttosto, ditemi come state!? Non avete toccato cibo in tutta la mattinata. Volete che vi faccia preparare del tè? Petra ha fatto la crostata…» Conoscendo i gusti di Sissi, Ida sfodera un sorrisino insinuante, che provoca un’espressione di finto rimprovero sul viso regale: «Stai tentando di prendermi per la gola?» Sissi si alza e prende a braccetto Ida, sorridendole affettuosamente: «Cosa farei senza di te, Ida cara?»
Ida apre la porta e indietreggiando di qualche passo, segue Sua Maestà lungo il corridoio che conduce nelle cucine. «Maestà, metterete in imbarazzo Petra!» dice Ida divertita.
«Lo so, mia cara, non vedo l’ora di vedere l’espressione che farà quando mi affaccerò alla soglia del suo regno!»
All’ufficio postale di Buda è giunto un telegramma da recapitare con urgenza al Castello di Gödöllő: un giovane impiegato volenteroso si offre di andare a cavallo per consegnare il messaggio. Dopo averlo assicurato nella tasca interna della giacca, monta in sella e si dirige al galoppo verso il Castello. Durante la corsa, immagina di essere l’Imperatore, di ritorno da una battaglia e che la sua splendida Sissi lo stia attendendo ansiosamente per abbracciarlo. Un sorriso trasognato si affaccia sulle labbra del nostro baldo giovane, il quale, rendendosi conto che potrebbe essere pericoloso distrarsi a quel modo, scuote la testa per allontanare quei pensieri maliziosi e riprende a fissare la strada, con l’unico desiderio di portare a termine il suo compito. Le luci del Castello si intravedono. Sprona il cavallo, incitandolo a galoppare più veloce e, dopo alcuni minuti, eccolo imboccare il viale che porta all’ingresso principale. Jànos si affaccia dalle scuderie e va incontro al visitatore per tenere fermo il cavallo, consentendo al giovane messaggero di smontare e andare verso il portone, dove viene accolto da una delle cameriere più giovani.
«Dite pure…» Il giovane sfila cautamente il telegramma dalla tasca e, tenendolo gelosamente tra le mani, annuncia: «Un telegramma per Sua Maestà l’Imperatrice, da Vienna. Devo consegnarlo nelle sue mani.» La ragazza gli sorride chiedendogli di attendere nell’androne. Emozionato ma impassibile, il volontario rimane immobile in attesa di un cenno qualunque. Dopo qualche minuto, Ida si affaccia sulle scale e chiede al giovane di salire. Davanti alla porta della biblioteca, Ida gli fa un cenno per invitarlo a togliersi il berretto. Imbarazzatissimo, il ragazzo se lo sfila velocissimo, con un gesto che gli scompiglia i capelli. Ida bussa alla porta e annuncia la presenza di un messaggero. Non gli pare vero: sta per essere ricevuto dall’Imperatrice!
Al cospetto della Sovrana ammutolisce, pur riuscendo ad inchinarsi decorosamente. Sissi gli sorride: «Avete un telegramma per me?» Dopo un istante di puro rapimento causato dalla vista dell’Imperatrice e dal suono della sua voce, il giovane riesce a mormorare: «sì, ecco…»
Non sa se avvicinarsi, potrebbe essere considerato sconveniente, ma scioglie la rigidità degli arti e fa un passo in direzione di Sissi, che lo guarda trattenendo una risata a fior di labbra. Sissi è intenerita da quel giovanotto spaurito e spettinato e lo ringrazia per la consegna, porgendogli la mano per consentirgli di baciarla. Goffamente, il ragazzo la prende nella sua, inchinandosi allo stesso tempo e andando così a urtare la testa contro la mano della Sovrana. Paonazzo e tremante, mormora un’incomprensibile forma di saluto e sfreccia via giù per le scale, diretto al cortile dove Jànos si è preso cura del suo cavallo. Rimonta in sella, allontanandosi, in preda ad una emozione mai provata prima. Al suo rientro racconterà il suo incontro con l’Imperatrice, in una versione più fiabesca e romantica, anche se nessuno gli crederà.
CAPITOLO 28
“Attraverso le asperità alle stelle”
Seneca
“Tornerò presto con buone notizie. Segue lettera. Devotamente Conte Gyula Andràssy”
Sissi ha letto le parole del telegramma ad una sola rapida occhiata e ha poi indirizzato il suo sguardo su Ida, mostrandole un viso raggiante: «Ida, cara… buone notizie, scrive così!» «Che sollievo, Maestà! Quando tornerà il Conte?»
«Non lo so Ida, scrive che segue una lettera! Il macigno che sentivo sul cuore comincia a sgretolarsi»
«Sono felice per Voi, Maestà!»
Le due donnec si scambiano un abbraccio sincero e le ipotesi sulla data del ritorno del Conte diventano l’argomento principale della loro conversazione.
A Vienna, nello stesso momento, il Conte si trova nella carrozza che lo condurrà all’Hotel König von Ungarn: soggiornerà lì il tempo necessario per incontrare il consiglio a corte e studiare le strategie mirate ad ottenere un risultato favorevole all’Impero durante il prossimo Congresso di Berlino, già convocato per il 13 giugno. È molto probabile che dovrà recarsi in Gran Bretagna per cercare un’intesa con il Segretario degli Esteri, il Marchese di Salisbury e accordarsi preventivamente sulla linea da mantenere durante i lavori del Congresso. Bernàt è accanto al Conte e sta tentando di mettere ordine fra tutte le carte che si sono accumulate sulle sue ginocchia. «Bernàt, ora verrai con me in hotel e aspetterai che io ti affidi una lettera per l’Imperatrice. Domani stesso rientrerai a Buda-Pest e appena possibile andrai al Castello per consegnarla»
«Come comandate, Eccellenza»
«Se Sua Maestà dovesse avere un messaggio per me, affidalo con ogni precauzione possibile al corriere del mio ufficio a Buda-Pest. Tu resterai in Ungheria fino a nuovo ordine. Andrai tutti i giorni a Gödöllő per assicurarti che l’Imperatrice stia bene e me ne darai notizia tramite telegramma, sono stato chiaro, Bernàt?»
«Come sempre, Eccellenza. Sapete che potete fidarvi di me»
«Lo so, Bernàt»
La carrozza si è fermata davanti all’ingresso dell’elegante hotel intitolato alla nobiltà ungherese: il Conte ama particolarmente questo albergo, sospeso nella raffinata aria viennese, a due passi dal Teatro dell’Opera e dalla Cattedrale di Santo Stefano, cuore pulsante della città. Al suo arrivo nella hall viene riverito e salutato dai concièrges che lo stimano e lo accolgono spesso durante l’anno. La solita stanza, la numero 120, è già stata preparata per lui. I facchini con i bagagli e Bernàt lo anticipano salendo su per le scale, mente il Conte si permette un buon tè caldo. Sorseggiandolo, in quell’attimo di quiete, non può fare a meno di sentire la mancanza della sua amata Sissi. All’arrivo nella stanza, Bernàt sta finendo di sistemare gli indumenti di Sua Eccellenza.
«Va a mangiare qualcosa di caldo…ti aspetto qui tra mezz’ora»
«Si, Eccellenza»
Gyula si libera della giacca e si accomoda allo scrittoio:
Mio angelo adorato,
non è senza amarezza per la nostra lontananza che mi accingo a scriverti. Dovrei, in realtà, considerarmi l’uomo più felice del mondo, avendo la certezza del tuo amore e la soddisfazione di avere finalmente ottenuto la libertà dai vincoli che tanto ti opprimevano: si, amor mio. Sarai libera di amarmi, di vivere con me nella nostra isola, ricordi? Mi rattrista solo il pensiero che dovrò stare qui a Vienna ancora per qualche giorno per questioni politiche della massima importanza. Ti prometto però che prima di partire per Londra, verrò a stare qualche giorno al Castello. Per ora, sappi che sento i tuoi occhi sempre su di me e la tua voce riecheggia di continuo nella mia testa. Abbi cura di te, mia adorata, e nelle notti che ancora ci separano, volgi il tuo sguardo al cielo: se ci sarà la luna o la nostra stella, saprai che anche io starò alla finestra a rimirarla. Ti bacio, ti bacio, e ti bacio ancora.
Non dimenticare mai che sono e sempre resterò il tuo ardente e innamorato
Gyula
Sigillata la busta, il Conte posa la lettera sullo scrittoio e si avvicina alla finestra: è buio ormai, il cielo è opaco, nessun astro punteggia quello scuro manto. Bussano alla porta: è Bernàt, puntuale come al solito, che con un cenno del capo si mette a disposizione di Sua Eccellenza. «Questa è la lettera per l’Imperatrice. Consegnala a lei, personalmente. Ora puoi andare a dormire. A che ora parte il treno per Buda-Pest?» «Alle 7 e 15, Eccellenza»
«Molto bene, così potrai arrivare a Gödöllő prima di sera. E ricorda, un telegramma ogni giorno. Ti avviserò appena avrò la certezza di poter lasciare Vienna. Buonanotte, Bernàt»
«Buonanotte, Eccellenza.» Bernàt tiene il capo chino un po’ più a lungo per congedarsi dal Conte e, voltandosi, apre la porta della camera e ne esce in silenzio.
Finalmente, la tensione della giornata si sta allentando: Gyula si spoglia e, riempita la vasca da bagno, ci si immerge ad occhi chiusi e lasciando che i muscoli si rilassino al calore. Sotto le palpebre, scorrono immagini sfocate: il mare, la loro isola, i loro baci…
Dopo questo rigenerante momento, tutto il mondo e le sue stranezze sembrano essere svaniti e, in cielo, una pallida luna cerca di farsi strada tra le nuvole perlacee.
Sissi è nella sua camera pronta per la notte, ha già salutato Ida. Si è trattenuta sulla poltroncina di velluto blu, indugiando sulla raccolta di poesie di Heine, che Gyula lasciò in biblioteca qualche mese addietro. Alzandosi per andare a letto, non può evitare di guardare fuori dalla finestra: sul verde scuro del giardino, spicca il riflesso della luna in un cielo scintillante, senza nuvole, spazzate via dal vento del nord…
«Ti mando un bacio, amore mio, buonanotte»
CAPITOLO 29
“Quando si agisce cresce il coraggio, quando si rimanda cresce la paura”
Publilio Siro
La prima giornata di consiglio si svolge nel grande studio di Franz Joseph ma in assenza del Sovrano, il quale ha dovuto recarsi in una delle province dell’Impero per sedare un principio di rivolta. Questa almeno è la versione ufficiale. Il Ministro Andrássy prende la parola con la sicurezza e la determinazione che lo hanno da sempre contraddistinto, ma oggi è ancora più incisivo del solito. Sta cercando di far comprendere ai componenti del Consiglio l’importanza di un accordo preventivo con la Gran Bretagna: cominciavano a giungere voci che la Regina Vittoria fosse già in trattative con russi e turchi ed era fortemente consigliabile per l’Impero fare altrettanto. Alcuni consiglieri parlottano tra loro e questo infastidisce il Ministro il quale, facendo appello alle sue doti diplomatiche, richiama più di una volta all’ordine i colleghi. É quasi l’ora del pranzo a corte, dunque i lavori vengono aggiornati al pomeriggio. Il Ministro non ha alcuna intenzione di condividere la tavola con panciuti e vecchi dignitari ipocriti, per questo, con una scusa, si allontana dalla Hofburg, decidendo per una bella camminata a piedi, incoraggiato anche dal clima tutto sommato clemente. In primavera Vienna risplende di una luce più chiara, che valorizza le facciate degli edifici bianche e gialle e le numerose finestre luccicanti. Pensa a Bernàt che tra poco dovrebbe giungere a Buda-Pest e alla sua Sissi: la immagina a passeggio nei boschi intorno al Castello, finalmente serena, sollevata. Non riesce a credere di essere così innamorato! Non gli è mai accaduto prima: ha sempre avuto successo con le donne, ma si è sempre sottratto a relazioni impegnative e vincoli matrimoniali. Con lei, invece, si sente pronto finalmente ad avere una famiglia, una solidità affettiva. «Sarà che sto invecchiando!»
Attende con ansia il telegramma che arriverà in serata da Bernàt con le notizie della sua amata. Un pranzo frugale al Griechenbeisl, storico ristorante della città, e di nuovo per strada, godendo della fresca aria primaverile e di un tiepido sole. Alcune signore lo salutano rivolgendogli sorrisi maliziosi, incontrandolo per strada, ma ricevono in cambio solo un cenno del capo. Da navigato tombeur de femmes quale è stato, avrebbe come minimo tolto il cappello e si sarebbe avvicinato alle dame, baciando loro la mano e blandendole fino a farle arrossire. Quel tempo si è concluso, a quanto pare, e le signore bisbigliano tra loro, chiedendosi cosa sarà accaduto al “Beau Pendu”.
Il grande orologio della piazza scandisce i tre rintocchi: è ora di tornare a corte. A Gödöllő, Sissi sta curando le rose in giardino: è un privilegio per lei potersene occupare, sebbene Ida e il giardiniere si oppongano, sottolineando quanto possa essere poco delicato per la pelle delle sue mani. Tuttavia la Sovrana risponde sempre, con grande gentilezza, che le rose la amano e non la pungono, quindi può continuare a prendersi cura di loro. I colori e i profumi che accompagnano l’arrivo della primavera mettono sempre Sissi di ottimo umore, ma questa volta c’è qualcosa di più: la meravigliosa certezza di essere amata, la reale speranza di poter viver quell’amore appieno, la sensazione di qualcosa di bello che si avvicina. Il pensiero di Gyula è fisso, costante e la forza del suo amore coraggioso la aiuta a sopportarne la mancanza. Attende la sua lettera con trepidante gioia e prega affinché possano presto cominciare la loro vita insieme. Quando viene annunciato il pranzo, Sissi lascia malvolentieri l’attività all’aperto e si reca nel salottino dove in genere le viene servito un pasto frugale, secondo i suoi desideri. «Ida, da domani desidero pranzare all’aperto. È così bello! Dì a Petra di aiutarti ad allestire il gazebo, così potremo pranzare insieme in giardino!»
«Senz’altro, Maestà. Sono lieta di vedervi così serena e vivace, è questa la Sovrana che siete e che dovete essere, per Voi stessa, innanzitutto.»
«Ti ringrazio, Ida. Sei sempre così attenta e amorevole, sono contenta che tu sia qui con me, lo sai, vero?» Ida sorride abbassando un po’ la testa: «Si, Maestà, lo so, ma mi fa sempre tanto piacere che Voi lo diciate!»
Durante il pasto, Elisabetta mangia poco e suscita ancora una volta l’apprensione di Ida: «Maestà, volete che mandi a chiamare il dottore? Non sono tranquilla nel vedervi mangiare così poco. La serenità nel vostro cuore non ha avuto l’effetto che pensavo sul vostro appetito. Vi chiedo di perdonarmi se insisto, ma il Conte mi ha affidato la cura della Vostra persona e Dio mi scansi dalle sue ire se non adempierò al mio dovere!»
Sissi ride divertita e cerca di rasserenare la sua affettuosa amica.
«Temi dunque i suoi rimproveri? Non è così intransigente come sembra!»
«Forse no, Maestà. Ciononostante non ci tengo a provocare la sua collera! Quindi domattina manderemo a chiamare il Dottor Kozma, volete?»
Sissi comprende le ansie di Ida e, dopo tutto, anche lei pensa che curarsi sia importante, specie in questo momento in cui desidera che tutto vada nel verso giusto. «Va bene, Ida, che venga domani pomeriggio.»
«Benissimo, Maestà. Grazie per avermi ascoltata. Sapete che mi permetto solo per il bene che vi voglio.»
«Certo, mia cara ed io non ti ringrazio mai abbastanza…» «Non ne avete bisogno, Maestà. La vostra amicizia è tutto ciò che desidero.»
Dopo questa amichevole conversazione, Sissi decide di abbandonarsi alle sue letture e, una volta in biblioteca, sceglie un volume che non sfoglia da un po’: apre l’Eneide, dono del suo maestro di greco alla Hofburg, e le parole che legge la colpiscono profondamente
“Intanto la regina già da tempo
piagata
da profonda passione, nutre nelle sue vene
la ferita e si strugge di una fiamma segreta.
Le ritorna alla mente lo splendido valore
dell’eroe e la sublime gloria della sua stirpe;
porta confitti in cuore le sue parole e il suo volto,
e non trova riposo, quel fuoco non le dà pace.”
Che struggenti immagini! Quanto ama lo stile di Virgilio, i suoi versi liberi da costrizioni metriche, le sue metafore accese e dolorose! Gli occhi le si chiudono dolcemente, ed ecco: il suo eroe è là, di fronte a lei. La sua armatura scintilla sotto il sole e il suo sorriso illumina tutto! Si dirige verso di lei sul suo cavallo con eleganza e sicurezza. Quando la raggiunge, si sporge per prenderla e farla salire in sella davanti a lui. La bacia con ardore e la cinge nelle sue braccia possenti: davanti a loro, la strada è lunga e soleggiata e, in lontananza, affilando lo sguardo, si può scorgere il mare.
CAPITOLO 30
“Gli dèi ci creano tante sorprese: l’atteso non si compie, e all’inatteso un dio apre la via.
Euripide – Baccanti
La carrozza imperiale sta riportando Franz Joseph a Vienna: la sua visita a Klagenfurt nel Ducato della Carinzia è stata necessaria in vista del Congresso di Berlino e, oltre tutto, gli è servita per allontanarsi dalla Hofburg. La sua situazione personale in questo momento merita ore di riflessioni solitarie: sua madre lo ha duramente redarguito per essere stato troppo arrendevole con il Conte Andràssy e, nonostante le sue giustificazioni, l’Arciduchessa è rimasta del parere che sia necessaria una prova di forza con l’audace ministro. In cuor suo sa di non aver reso felice Sissi e per lei prova ancora affetto e attrazione, ma sa anche che è una donna caparbia, volitiva e orgogliosa, e non tornerà sui suoi passi. Diverse forze eguali e contrarie stanno giocando al tiro alla fune con le sue convinzioni, retaggio della sua rigida educazione e delle imposizioni di Sofia. Per molte notti non è riuscito a prendere sonno, immaginando sua moglie nelle braccia di quel rivoluzionario e stringendo i pugni in preda alla rabbia. Quale potrebbe essere una vendetta adeguata? Il rapimento di Sissi ha dimostrato quanto tenace sia Andràssy; inoltre bisogna agire con prudenza e astuzia e far supporre che il destino punisce inesorabilmente chi osa sfidare gli Asburgo. Franz spera che quando rientrerà a corte, Andràssy sarà già in viaggio per Londra: non ha nessuna voglia di incontrarlo ed è certo che sia meglio lasciargli immaginare di aver vinto, piuttosto che provocare uno scontro ulteriore. É quasi mezzanotte quando arriva alla Hofburg: il silenzio irreale nel palazzo sembra evocare complotti, inganni e trame degne di un romanzo intrigante. Recandosi nella sua stanza si sofferma per un momento a fissare il ritratto di Sissi e tanti ricordi invadono la mente. Una volta a letto, il sonno sembra avvolgerlo in una coltre pesante e Franz si lascia andare ai suoi desideri e alle sue paure, come solo in sogno gli è dato fare. Nel suo hotel di Vienna, Gyula ha appena letto il telegramma di Bernàt che ancora una volta lo rassicura sullo stato di salute dell’Imperatrice. É sollevato anche se la lunga giornata di lavoro lo ha sfiancato. Il consiglio ha deciso per l’accordo preventivo con l’Inghilterra e dunque il Ministro Salisbury lo riceverà di lì a una settimana, ingaggerà una lotta contro il tempo per potersi recare prima a Gödöllő dalla sua Sissi e passare almeno una notte con lei. Mentre si prepara ad andare a letto, deve combattere un senso di inquietudine, un sesto senso che cerca di metterlo in guardia, da cosa? La stanchezza per questa volta ha la meglio e gli occhi di Gyula calano pesanti non prima di aver sussurrato.
«Buonanotte, mia adorata…»
La giornata di Sissi sta per concludersi: ha ricevuto la visita rassicurante di Bernàt e, naturalmente le istruzioni del Conte; ha scritto una lettera per Gyula che consegnerà nelle mani del fidato segretario l’indomani mattina e ora si dirige in cucina per chiedere a Petra di prepararle una tisana al tiglio che le concili il sonno. In corridoio c’è Ida: «Maestà, ancora sveglia? Vi immaginavo già addormentata a quest’ora!»
«Ho fatto tardi scrivendo al Conte» – sorride – «e ora ho desiderio di una tisana al tiglio, Petra sta già dormendo?» «Credo di sì, Maestà, ma ve la preparo io molto volentieri e, se me lo consentite, ne berrò anche io una tazza per farvi compagnia»
«Oh, sì, Ida cara!»
In cucina Sissi e Ida parlottano a bassa voce, ridendo a fior di labbra e rumoreggiando con le stoviglie; ad un tratto, la cuoca si affaccia sulla soglia del suo regno e, arrossendo per la vergogna di essere in camicia da notte di fronte all’Imperatrice, mormora: «Per tutti gli angeli del cielo! Che succede?»
Sissi guarda Ida seria per un istante, poi entrambe scoppiano a ridere, provocando un impercettibile sorriso sul viso imbarazzato di Petra, la quale si congeda da Sua Maestà borbottando un “buonanotte” tra il serio e il faceto. Sissi non resiste e, uscita Petra, si produce in una delle risate più sincere cui Ida abbia mai assistito in anni. «Povera Petra! La faccio disperare! Hai visto che faccia ha fatto?»
«Si, Maestà! Domattina se la prenderà con me!»
«Cielo! Non vorrei essere nei tuoi panni!»
«Nemmeno io, Maestà!»
Il momento di ilarità ha prodotto una sensazione di benessere in Sissi: bevuta la tisana, si sente pronta per abbandonarsi all’abbraccio di Morfeo. Ida la accompagna nella sua camera e la aiuta a prepararsi per la notte. «…e ricordate che domani pomeriggio verrà il Dottor Kozma a visitarvi.»
«Si, Ida, non l’ho dimenticato. Ora puoi andare. Grazie, mia cara.»
«Dormite bene.»
«Buonanotte, Ida. A domani.»
Il tepore della stanza e le lenzuola profumate di pulito conciliano certo la tranquillità del sonno, ma a Sissi piacerebbe che invece ci fosse Gyula accanto a tenerla sveglia. Le sue mani sanno darle i brividi ad un solo leggero tocco, la sua voce le provoca l’insorgere di un desiderio irresistibile di essere presa e amata. Arrossendo un poco, si rigira nel letto, cercando una posizione comoda per rilassare i muscoli ma stenta a trovarla, in preda ad una strana sensazione: si porta la mano al ventre istintivamente, pur non comprendendo il perché. Adagiandosi su un lato, i suoi occhi si posano sulla foto di Gyula che campeggia sul suo scrittoio. Adora quella sua espressione sicura e serena, le sue spalle grandi e forti, la sua chioma spettinata.Il giorno seguente, il sole sembra voler svegliare tutti di buon’ora. Gyula è già pronto per recarsi alla stazione e ha già dettato il telegramma per Bernàt: conta di essere a Gödöllő ben prima di sera dopo di che dovranno recarsi a Calais per imbarcarsi per l’Inghilterra. Gli pesa enormemente dover stare lontano da Sissi ancora per altre due settimane, ma lo consola il pensiero che dopo il Congresso di Berlino potranno finalmente fuggire via lontano dalle corti e dai palazzi per poter finalmente vivere un’altra vita.. Sissi si è svegliata presto e ha chiesto di poter fare colazione in giardino: l’aria è dolce e mite e la rugiada sulle rose di prima mattina è uno spettacolo cui non vuole rinunciare. Dopo un succo di pompelmo e una fetta di pane nero con un po’ di miele, Sissi si sente pronta alla usuale passeggiata del mattino. Ida la segue, come sempre, ma oggi ha insistito per portare con loro ombrellino da sole e mantellina, anche se sa già che a Sua Maestà non importa che il viso le si colorisca al sole. Procedendo sul percorso solito, d’improvviso Sissi si deve fermare: le manca il fiato e sente le forze mancare. Ida, preoccupata, la sorregge e la invita a rientrare subito per riaversi e riposare in attesa del dottore. Sissi sorride e sente la necessità di rassicurare Ida che il mancamento non è durato che un momento e ora si sente bene, ma la sua amica la fa accomodare sul divano della biblioteca e le proibisce, seppure con rispetto e amorevolmente, di alzarsi per alcun motivo. «Ida, stai davvero esagerando! Sto bene, ti ho detto!»
«Non ne sono così certa, Maestà! Lo sarò quando lo dirà il dottore. Sono settimane che avete questi episodi ed io non starò tranquilla fino a che non sentirò il dottore affermare che siete in salute. Ora vi faccio portare una tazza di tè, o preferite qualcosa da mangiare?»
«Non voglio nulla, Ida! Da brava, non insistere, aspetterò il dottore qui e non mi muoverò. Sei contenta?»
Sissi comprende le precauzioni di Ida, ma ha una certezza nel cuore grazie alla quale sa che va tutto bene e probabilmente il dottore sprecherà una buona ora della sua giornata in una visita del tutto inutile.
La carrozza con il Dottor Kozma a bordo varca il cancello del Castello prima dell’ora stabilita: quando viene annunciato, Ida corre ad accoglierlo e il medico giustifica il suo anticipo spiegando che di lì a due ore dovrà recarsi in ospedale per un intervento che è stato a sua volta anticipato, ragion per cui si è visto costretto a disturbare Sua Maestà anzitempo. In realtà Sissi non potrebbe essere più felice di questo cambiamento, l’inattività è inconcepibile per lei. Dinanzi a Sua Maestà, il Dottor Kozma si inchina sorridendole e complimentandosi con lei per la sua bellezza, dopo di che Ida esce dalla camera di Sissi e attende in corridoio. All’uscita del medico dalla stanza, Ida vorrebbe capire dalla sua espressione l’esito della visita e il Dottor Kozma le si avvicina sorridendo.
«State tranquilla, Ida. Sua Maestà è in ottima salute! Diciamo che d’ora in avanti dovrà stare un po’ più attenta all’alimentazione e a non fare sforzi, ma sono certo che se la caverà benissimo!»
«Dottore, intendete dire che Sua Maestà è.…»
«Sì, Ida, è proprio ciò che intendevo: Sua Maestà è in attesa!»
CAPITOLO 31
“Che cosa è tutto quanto gli uomini han pensato in millenni, di fronte a un solo istante di amore?”
Friedrich Hölderlin – Iperione
«Eccellenza, bentornato. La carrozza vi attende.» – con un cenno della testa, Bernàt saluta il Conte appena sceso dal treno proveniente da Vienna.
«Grazie Bernàt, ho molta fretta, andiamo.»
I due uomini montano sulla carrozza pronta a partire dalla piazza antistante la stazione di Buda alla volta del Castello di Gödöllő: durante il tragitto, Bernàt fornisce al Ministro tutti gli aggiornamenti politici e amministrativi con la solita precisione. Gyula si sforza di stare attento e annuisce spesso, anche se in realtà sta inseguendo ben altri pensieri. Al termine del lungo soliloquio, la carrozza ha già imboccato il viale di ingresso al Castello: tutta la servitù si precipita alle finestre per scoprire l’identità dell’ospite in arrivo, sebbene tutti si aspettino solo una persona. Ida è emozionatissima, al pari di Sissi la quale si è subito recata all’ingresso per accogliere il suo uomo. Ha un’espressione serena, luminosa e gli occhi mostrano un colore più acceso e brillante.
«Amore mio, bentornato…» Le sue braccia si stringono intorno al collo del Conte che non riesce a trattenere un bacio impudente «Mia adorata! Sei bella come un angelo, come stai?»
«Benissimo, amore.» Sissi sorride radiosa, prendendo Gyula per mano per dirigersi su per le scale ed in biblioteca, dove potranno stare soli per raccontarsi le novità. Ida ha salutato il Conte con un sorriso più entusiasta del solito ed è corsa a dare disposizioni per la cena. Appena soli in biblioteca, Gyula abbraccia Sissi stringendola a sé e baciandola ovunque la sua pelle sia scoperta, ben poca cosa, in verità. Sissi è sopraffatta da tutta quella appassionata attività e non senza difficoltà riesce a prendere fiato per dire: «Ho da dirti una cosa importante!» – ottenendo non più che un mugolio indistinto da parte di Gyula che continua a posare le sue labbra sul collo, sulle guance e sulla bocca di Sissi. – «Ti prego, amore mio, fermati un momento…» In realtà nemmeno lei è convinta di volerlo interrompere ma freme dall’impazienza.
«Perdonami, tesoro mio, è che avevo tanto desiderio di vederti. Dimmi questa cosa importante…»
«Ecco, ieri è venuto a visitarmi il Dottor Kozma e.…»
«Perché? Cosa è successo? Non stai bene? Eppure Bernàt non mi ha scritto nulla in proposito. Perché nascondermelo? Io non…»
«Ma no, Bernàt non ti ha nascosto nulla! Non lo sapeva…» «Ma io gli avevo dato ordini ben precisi in tal senso! Mi sentirà, altro che! É assurdo che…»
«Oh ma insomma caro! Lasciami dire… Vedi, Ida ha insistito perché il medico mi visitasse, visto che da qualche giorno avvertivo strani mancamenti. E così ieri il Dottor Kozma mi ha visitato…»
«Sono sicuro che ti ha trovato in ottima salute, hai un aspetto incantevole…» – dicendo ciò, Gyula ricomincia a baciare Sissi. Per qualche istante le parole lasciano il posto a sospiri e fremiti amorosi ma, riconquistando il controllo, Sissi riprende: «Ti dicevo, il dottore mi ha visitato e mi ha detto che non c’è nulla di preoccupante ma dovrò stare attenta all’alimentazione e dovrò evitare di andare a cavallo, per un po’…»
«Oh ma che sciocchezze, mia cara! Per quale motivo non dovresti cavalcare?» Sissi si porta una mano sul ventre e sorride a Gyula con tenerezza.
«Sai, potrebbe essere pericoloso.» Gyula rimane interdetto per un istante, poi fa qualche passo indietro quasi a voler trovare un indizio scrutando Sissi attentamente.
«Vuoi dire che… intendi proprio dire che… insomma significa che tu…»
«Avremo un bambino!»
Gyula è evidentemente in preda all’emozione più profonda, gli occhi si fissano in quelli di Sissi e i corpi si stringono in un lungo abbraccio struggente.
Alla Hofburg, Franz è in attesa di ricevere alcuni membri del Consiglio per definire meglio le linee strategiche da seguire durante i prossimi, imminenti, eventi politici. L’incontro del Ministro Andràssy con Salisbury a Londra è visto come il miglior viatico per la riuscita dei lavori del congresso di giugno. L’Imperatore prova ormai quasi un senso di repulsione verso quell’uomo ma, almeno per il momento, non può mostrare alcuna riserva nei confronti di colui che con ogni probabilità otterrà delle condizioni favorevoli per l’Impero. Non è di secondaria importanza, però, concepire un piano per fargliela pagare: questo pensiero è diventato preponderante nella mente di Franz, ben dissimulato in pubblico, lacerante in solitudine. É circondato da uomini fidati e sua madre sarà sicuramente pronta a sostenerlo ed aiutarlo nell’attuazione della volontà vendicativa, ma deve considerare ogni aspetto con molta attenzione e circospezione.
Bernàt si trova al Ministero impegnato, come sempre, nel disbrigo di tutte le incombenze formali, alleggerendo in questo modo il lavoro del Conte. Dopo anni di collaborazione, Bernàt gli è davvero affezionato e ora più che mai vorrebbe che finalmente mettesse la testa a posto! Elisabetta è la donna giusta per lui ed è sicuro che insieme potranno essere felici, solo non si fida dell’apparente accettazione silenziosa dell’Imperatore: non è pensabile che egli si rassegni alla perdita della consorte, per causa di un uomo che ha sempre mal tollerato, senza reagire. Il rapimento dell’Imperatrice è stato un tentativo mal ordito, in fretta e imprudenza, il prossimo sarà invece un atto premeditato e pianificato e potrebbe risultare assai pericoloso. Bernàt sarà affianco del Conte nel suo viaggio in Inghilterra e la sua attenzione continua non permetterà nemmeno ai dettagli più apparentemente insignificanti di sfuggire ad una lucida valutazione. Dovrà essere vigile e accorto: Sua Eccellenza sarà preso da questioni di enorme importanza e la sua indole avventurosa di certo mal si accorda con la prudenza. Pur turbato da questi pensieri, Bernàt si impegna a terminare il lavoro e ad approntare tutti i documenti necessari per l’incontro con il Ministro britannico.
É una serata mite. Chiuso l’ufficio, al termine della lunga giornata di lavoro, Bernàt si concede qualche minuto di tranquillità camminando a piedi verso casa del Conte, un bell’appartamento in un vecchio edificio sulla collina che guarda il Danubio, all’interno del quale fu ricavata una piccola dépendance che gli permettesse di essere presente secondo la volontà e le esigenze del Conte. Questa notte può andare a dormire senza aspettarlo: Sua Eccellenza non rientrerà.
Gyula e Sissi sono nella loro camera: la sera è giunta dolce e tiepida, spingendoli a ritirarsi nell’intimità della loro alcova. Abbracciati nelle lenzuola candide, i loro respiri all’unisono intervallano brevi frasi sussurrate con ardore, alternandosi a carezze audaci e sensuali.
«Non posso pensare che ripartirai già domani…»
«Non pensarci adesso, mia cara, abbiamo stanotte e ti assicurò che mi impegnerò affinché sia lunga, molto lunga».
CAPITOLO 32
“Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce”
Platone
Che risveglio magnifico! Gyula le dorme accanto, il sole vorrebbe insinuarsi tra le lenzuola con tutto il suo bagliore. Tra i rami le allodole hanno intonato il loro canto melodioso, cosa potrebbe desiderare ancora? Gyula apre piano gli occhi e trova immediatamente quelli di Sissi che lo implorano di abbandonare il sonno.
«Buongiorno amore mio…già sveglia? – il sorriso di Gyula è irresistibilmente bello – Stai bene?»
Sissi si avvicina per baciarlo sulle labbra e sorride serenamente a sua volta.
«Sto benissimo, amore, mai stata meglio!»
Cominciare la giornata con dei gesti affettuosi è una novità per Sissi: si è sempre svegliata da sola, anche quando era sposata. Peccato che Gyula dovrà ripartire tra poco più di un’ora.
«Perché ti sei intristita, angelo mio?»
«Nulla, mio caro. Stavo solo pensando che fra poco dovrai andar via.» Gyula abbraccia Sissi con tenerezza.
«Si, amore mio. Non sai cosa darei per poter restare, ma sai che ho un incontro importante a Londra. Ti prometto che cercherò di tornare prestissimo e dopo il Congresso di Berlino nulla esisterà più per me se non tu!»
«Non vedo l’ora, caro. Ho tanto bisogno di te.»
Le carezze si fanno più audaci, i baci più sensuali e, in men che non si dica, si ritrovano di nuovo avvinti nel più dolce degli amplessi.
Bernàt è già pronto e ha fatto caricare i bagagli sulla carrozza: ora si dirigerà verso il Castello per prelevare il Conte e insieme recarsi alla stazione; prenderanno il treno per Calais da dove si imbarcheranno per l’Inghilterra: un viaggio lungo e non privo di insidie, secondo Bernàt. Durante il percorso in carrozza verso Gödöllő, varie ipotesi sgomitano nella sua testa, ma a nessuna vuole permettere di intimorirlo. Dopo una veloce colazione, Gyula si è vestito ed attende Bernàt in biblioteca; Sissi ha deciso di aspettare che Gyula sia partito per procedere con la lunga toilette quotidiana ed indossa una veste da camera bianca e soffice come una nuvola, sulla quale ricadono i suoi lunghissimi capelli sciolti. All’arrivo della carrozza, Sissi si avvinghia a Gyula e lo abbraccia fino a togliergli il fiato.
«Amore mio, non vorrai privare l’Impero del suo più rilevante Ministro prima del tempo soffocandolo?»
«Oh! Non mi importa dell’Impero. Voglio che tu resti qui!» Gyula le accarezza il viso e la guarda fisso negli occhi: «Ti ho promesso che tornerò presto, abbi cura di te, amor mio!»
Tenendosi per mano si incamminano verso le scale.
«Non scendere, non stancarti inutilmente. Ti amo»
«Anch’io, infinitamente.»
Un bacio e Gyula è già a metà della scalinata. Si volta per un attimo, mandando un altro bacio a Sissi con la mano e poi raggiunge Bernàt che è sceso dalla carrozza per rivolgere il suo saluto all’Imperatrice. Sono le sette di una mattina di inizio giugno, l’Europa è in fermento e il destino dell’Impero Austro-Ungarico è ad una svolta. La Hofburg è anch’essa in fermento: tutti sanno dell’incontro che il Ministro Andrássy terrà di lì a qualche giorno con il Ministro inglese Salisbury e sperano che sarà concluso un accordo preventivo in grado di salvaguardare almeno una parte degli interessi austriaci. Franz si trova già nel suo ufficio e l’Arciduchessa Sofia sta per raggiungerlo: c’è un argomento urgente di cui ha intenzione di parlargli ed è intenzionata a non uscire da quella stanza prima di aver convinto suo figlio. La sua reazione di fronte all’oltraggioso atteggiamento del Conte Andrássy non le è affatto piaciuta ed è tempo che Franz faccia valere il nome e il potere degli Asburgo nei confronti di quell’ungherese infido e traditore. Il colloquio tra Sofia e suo figlio va avanti per più di un’ora e mezza; al termine, Sofia esce visibilmente soddisfatta dall’ufficio imperiale, mentre l’espressione di Franz tradisce un’irrequietezza indefinita. In ogni caso, il piano è stabilito. Il treno sibila rumorosamente in una stazione quasi deserta: è puntuale alla partenza per la cittadina francese sulla Manica che raggiungerà tra un paio di giorni. Gyula e Bernàt hanno uno scompartimento esclusivo nella carrozza con wagon-lit di prima classe, pulito ed elegante. La prima mezz’ora di viaggio viene utilizzata per sistemare i bagagli e il necessario per la toilette notturna. Il Ministro e il suo factotum sfrutteranno l’inattività del viaggio per rileggere il carteggio con il Ministro inglese e redigere un documento che spieghi i termini del loro accordo. Gyula sente tutto il peso della responsabilità nei confronti della sua terra ed è certo che nessun trattato potrà impedire al futuro di presentarsi con tutte le sue innovazioni. A Bernàt invece sta a cuore un altro argomento: non esita a presentare a Sua Eccellenza i suoi timori circa la possibile ritorsione dell’Imperatore. «Credi che io non ci abbia pensato? Attendo una sua mossa a breve, ma non dimenticare che senza di me il Congresso di Berlino sarebbe vano per gli Asburgo: Sua Maestà non metterà a rischio il futuro dell’Impero per vendetta personale. In ogni caso, hai ragione: dovremo guardarci le spalle.» Bernàt ora è più tranquillo, anche se sa di non poter abbassare la guardia. Hanno provveduto anche ad affidare l’incolumità di Sissi alle due guardie che hanno aiutato Gyula nella ricerca dell’Imperatrice dopo il suo rapimento, e che non lasceranno il Castello prima di un ordine preciso del Conte. Anche Ida è stata allertata ed ogni eventuale visita alla Sovrana dovrà essere rimandata. Dopo due giorni, il battello per Southampton attracca nel porto inglese: un altro treno porterà il Ministro e il suo fido segretario a Londra, dove saranno ospiti all’Hotel Savoy, prima di recarsi dal Ministro Salisbury. Il clima inglese in questa stagione non è intollerabile come in pieno inverno: un pallido sole sembrerebbe voler ricordare ai sudditi della Regina Vittoria che esiste anche la primavera, oltre al freddo e alla pioggia. Il Conte spera che Salisbury sia disposto a riceverlo già in giornata, così da abbreviare il più possibile i tempi di permanenza in Inghilterra e tornare in Ungheria al più presto. Al Savoy tutto è pronto per accogliere la mini delegazione ungherese e in pochi minuti i valletti hanno sistemato i bagagli del Conte nella suite. Gyula si siede allo scrittoio e redige un messaggio per il Ministro inglese, avvisandolo del suo arrivo e chiedendogli udienza immediata. Il biglietto viene chiuso e sigillato e affidato a Bernàt il quale lo consegnerà personalmente al segretario del Ministro. Dovendo attendere necessariamente il ritorno di Bernàt, Gyula pensa che riempire la vasca da bagno sia la migliore delle idee, dopodiché si cambierà d’abito e sarà pronto ad affrontare il vertice. Mentre si sta dirigendo verso la stanza da bagno, vede al di sotto della porta un foglio bianco. Spalanca l’uscio d’un colpo ma nessuno è presente nel corridoio; con il biglietto tra le mani, richiude la porta e si accinge a leggerlo: MEMENTO MORI
«Ah, bene, per fortuna ho studiato il Latino. Che cortesia ricordarmi che devo morire!» Il biglietto viene lasciato sullo scrittoio e Gyula si dirige, come se nulla fosse accaduto, verso la vasca da bagno. Si è già rivestito quando Bernàt ritorna, annunciando che il Ministro Salisbury è pronto a riceverlo subito. Naturalmente, il Conte mette a conoscenza il suo segretario del gentile messaggio, ottenendo un’espressione corrucciata e un silenzio ansioso. «Non preoccuparti, amico mio, non è ancora giunta la mia ora!» dice Gyula chiudendo la frase con una risata.Il colloquio tra i due Ministri degli Esteri più importanti in Europa dura ormai da due ore: le questioni sono di capitale importanza, più per l’Impero Asburgico in realtà che non per la Gran Bretagna, la quale ha già concluso un vantaggioso accordo preventivo con la Russia. Dopo oltre quattro ore e mezza, i Ministri si stringono la mano, certi di aver scritto una pagina importante della storia d’Europa e dandosi appuntamento di lì a una decina di giorni a Berlino. Visibilmente soddisfatto il Ministro Andrássy passa la notte a Londra, ansioso di ripartire per Buda-Pest. Sul treno che li riporta in Ungheria, Bernàt ritrova un proiettile sotto il cuscino nella cuccetta del Conte: «Qualcuno è entrato qui mentre eravamo a pranzo nella carrozza ristorante, Eccellenza e ha messo questo sotto il vostro cuscino. Io sono terribilmente preoccupato».
CAPITOLO 33
“Nei momenti sereni ricordati di temere sempre le avversità e nelle avversità ricordati di sperare sempre in cose migliori”
Catone – Distici
«Vostra Eccellenza, l’Imperatore vi attende alla Hofburg domani di prima mattina». Bernàt è in piedi accanto al Ministro che, alla sua scrivania, sta dando una occhiata veloce alla posta.
«Si, Bernàt, ripartiremo stasera stessa per Vienna. Ma ora non voglio più parlare di lavoro: fammi preparare la carrozza, vado a Gödöllő. A che ora c’è l’ultimo treno per Vienna?»
«Alle 20.10, Eccellenza.»
«Allora verrai al Castello alle 19.30», un cenno del capo e Bernàt si congeda dal Ministro, lasciandolo solo nel suo studio. Gyula smette di fare finta di leggere le missive sistemate dal suo segretario in ordine cronologico e si alza andando verso la finestra della stanza che guarda il Danubio: a sé stesso non può nascondere quel senso di apprensione che si è conficcato come uno spillo nella sua mente. Certo, non è un codardo e non si farà intimorire, ma il pensiero che qualcosa possa impedirgli di raggiungere la felicità, ora che la sente così vicina, non gli rende la vita serena. Quando vedrà Sissi non ne farà parola. Non gliene avrebbe parlato in ogni caso, figuriamoci ora che è in attesa, in attesa! Anche se mancano ancora lunghi mesi, non può fare a meno di immaginare un bel maschietto che gli sorride e lo chiama “papà”. Al suo rientro nella stanza, Bernàt trova il Conte perso nei suoi pensieri e deve bussare sulla porta aperta per riportare Sua Eccellenza alla realtà. «Sì, Bernàt, arrivo»
I due uomini si dirigono a passo svelto verso il cortile del grande edificio che ospita gli uffici del Ministero degli Esteri, e dopo un ultimo scambio di informazioni, la carrozza parte rapida verso il Castello con a bordo solo il Conte. Prima di giungere a Gödöllő, occorre trovare una collocazione remota per i timori e le preoccupazioni, quindi Gyula pensa di fermarsi a scegliere un regalo per Sissi, prima di lasciare Buda-Pest: verrà recapitato a Sissi tra qualche ora e sarà una vera sorpresa.
Al suo arrivo al Castello, Gyula viene accolto dalla splendida Elisabetta in abito blu pervinca ed aspetto fulgido.
«Amore mio! Come fai a diventare sempre più bella?»
«Conte, vi divertite ad adularmi!» – Gyula si avvicina a Sissi sussurrandole: «Sei luminosa più di uno sciame di stelle, ti adoro…» Il bacio che segue mette in imbarazzo tutti i presenti. Ida e la servitù, accorsi per accogliere il Conte, ritornano impacciati alle loro occupazioni, avendo compreso di non poter essere di nessuna utilità in quel momento. Dopo quasi un’ora dall’arrivo di Gyula, giunge a Palazzo un garzone con carretto per una consegna urgente. Il presente viene portato al piano superiore nel salone di Sissi la quale resta per un attimo senza parole: un enorme cesto di rose rosse campeggia al centro della sala e lo sguardo di Gyula è molto eloquente.
«Amore mio, che splendore! Quante sono?»
«Cento, mia adorata, ma non splendono quanto i tuoi occhi in questo momento!»
«Oh, c’è un biglietto!» In preda ad una infantile curiosità, Sissi prende la piccola busta assicurata con un nastrino rosso ad una rosa e legge: «Queste rose sfioriranno, per questo, se ti volterai, vedrai nelle mie mani il mio eterno amore racchiuso in una goccia di luce»
Sissi si gira su sé stessa, incontrando lo sguardo del suo uomo innamorato: nelle sue mani un piccolo scrigno in velluto rosso aperto, all’interno del quale uno sfavillante anello con brillante riluce. Il cuore di Sissi le batte in gola, poche lacrime di gioia si affrettano lungo il viso e un abbraccio struggente lega i due amanti per un momento infinito. Anche Gyula è commosso, si nota dal leggero tremore della mano mentre cerca di mettere l’anello all’anulare di Sissi. «Amore, non ho parole… è meraviglioso!»
«Il nostro amore lo è.»
Peccato che “tempus fugit” e il momento di separarsi giunge come un lampo.
Nella carrozza che lo sta portando alla stazione, Gyula ripensa alle ultime parole dette a Sissi prima di lasciarla a Gödöllő: «Dopo che avrò incontrato l’Imperatore a Vienna, dovrò partire per Berlino. Non so bene ancora quanto durerà il Congresso ma le mie guardie saranno sempre qui a proteggerti. Scrivimi e abbi cura di te, tesoro mio»
Non è facile allontanarsi da lei, l’unico motivo per cui non si è ancora dimesso è il desiderio di rendere l’Ungheria un paese libero. Il treno per Vienna procede spedito nella sera: l’incontro con l’Imperatore sarà molto interessante, è curioso di vedere se si lascerà dominare dal solito rigore asburgico oppure se si concederà qualche accesso d’ira, tanto per sottolineare da che parte sta il potere. Stanchissimi, Gyula e il suo factotum sono accolti in albergo, dove finalmente un po’ di meritato riposo li attende.
Il mattino dopo il valletto di corte annuncia così a Franz Joseph l’arrivo dell’ungherese più temuto e più odiato in questo momento: «Sua Eccellenza, il Ministro Andrássy».
Un marziale cenno del capo è il saluto che Gyula rivolge al Sovrano, seduto nel suo studio e attorniato dai suoi più fidi consiglieri: «Bentornato, Ministro. Eravamo in ansia per voi e per l’esito dell’incontro, bene inteso. Ragguagliateci, vi prego.» Il tono di Franz è serio ma ha un che di ironico. Il Ministro Andrássy, dopo aver preso posto e adagiato sul tavolo i documenti relativi all’accordo con la Gran Bretagna, inizia il suo eloquente discorso. Tutti i presenti ascoltano, in silenzio e con sguardi interessati, le sue parole: l’accordo concluso è senza dubbio determinante per l’Impero, ma il Ministro ci tiene anche a precisare il suo personale punto di vista: «Sono profondamente convinto, Vostra Maestà, che i tempi che verranno porteranno grandi cambiamenti e alcuni di questi potrebbero determinare la nascita di singole nazioni, autonome e indipendenti da qualunque regno o impero.» Questa conclusione suscita le ire e il vociare polemico di tutto il consiglio, nonché l’espressione indignata e sprezzante di Franz Joseph.
«Le vostre parole suonano minacciose, debbo rammentarvi che siete un Ministro dell’Impero e costituite dunque parte integrante del regime che considerate agonizzante?»
«Non lo sarò ancora per molto e, se Dio me lo concederà, vedrò da uomo libero l’Ungheria libera»
«Signor Ministro! Vi esorto a lasciare immediatamente questo luogo! E fate molta attenzione d’ora in avanti a come vi comportate in mia presenza! Ed anche in mia assenza!»
«Vi assicuro che lo farò, Vostra Maestà, starò molto attento.» e guadagna l’uscita di scena, voltando le spalle all’Imperatore e al Consiglio tutto.
«Oh! Ma è inaudito!»
«È scandaloso!»
Franz sa bene che gli avvertimenti non lo hanno spaventato e lascia ai suoi consiglieri l’indignazione, tenendo per sé il piacere di pregustare l’imminente vendetta.
CAPITOLO 34
“Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno; chi potrà conoscerlo?”
Geremia, 17:9
Le temperature miti di giugno a Gödöllo regalano a Sissi un colorito roseo ed energie nuove. Ida non fa che starle dietro e cercare di farle seguire i consigli del dottore, ma la gravidanza sta rendendo la Sovrana una vera leonessa e non bada affatto alle raccomandazioni. Gyula sta preparando i bagagli per il soggiorno a Berlino nel suo appartamento di Buda: i congressisti saranno tutti alloggiati nel castello di Charlottenburg mentre i lavori si svolgeranno presso il palazzo della cancelleria nella Wilhelmstrasse. Tutte le più alte cariche europee confluiranno tra qualche giorno nella città tedesca, ognuna cercando di far valere le esigenze dalla nazione che rappresentano, sebbene l’intento di Bismarck sia volto a far acquisire maggior prestigio al suo Stato e, perchè no, alla sua figura. Come il Conte ben sa, non sarà un Congresso semplice e prevede molti momenti di tensione, essendo in gioco, per ogni stato coinvolto, il suo assetto nazionale ed internazionale. L’obiettivo principale dei negoziati dovrebbe essere evitare una guerra europea che avrebbe risultati nefasti per tutti. Gyula ha già ricevuto il primo invito a cena a Berlino dal suo vecchio amico l’ambasciatore Meyer e sarà senza dubbio uno dei suoi primi impegni, appena giunto nella città tedesca. Bernàt è pronto ad assistere Sua Eccellenza con la preparazione dei documenti e la scelta dei capi più indicati da mettere nei bauli: tra qualche ora il treno per Berlino fischierà alla sua partenza dalla stazione di Vienna, dando così inizio a quello che per il Conte sarà l’ultimo incarico per l’Impero Asburgico.
11 giugno 1878
ore 19.20
Il Ministro Andrássy e il suo segretario varcano la soglia del Castello di Charlottenburg: tre fanciulle in abito tradizionale con fiori e sorrisi incantevoli accolgono i due ospiti i quali vengono accompagnati nelle stanze a loro destinate.
«Gentile da parte del Cancelliere.» Un sorriso ironico accompagna questa esclamazione di Gyula, seguita dal cenno di assenso di Bernàt. Guardandosi intorno, i due ungheresi non possono fare a meno di osservare il fasto e l’eleganza che li circondano: alzate in porcellana ricolme di frutta, calici di Boemia su vassoi d’argento accanto ad una bottiglia del migliore champagne, tendaggi e arazzi preziosi, biancheria da letto raffinata. Un leggero tocco alla porta fa voltare entrambi d’improvviso verso l’uscio: è Bernàt che va ad aprire, ricevendo da un valletto una busta chiusa indirizzata al Conte. «Amico mio, vi aspetto questa sera a cena. La mia carrozza passerà a prendervi alle 20.00. Albert Meyer»
ore 20.25
Casa Meyer è uno splendido edificio del ‘500 nella zona più antica di Berlino. Ad attenderlo in giardino ci sono l’ambasciatore e una giovane donna carina ed elegante. «Mio caro, caro Conte Andrássy! Avete dimenticato questa brutta vecchia faccia!»
«Ahaha! Niente affatto, amico mio! Piuttosto temo di non riconoscere la graziosa fanciulla che ti dà il braccio.»
«Ma come? É la mia Grete. Beh, certo, l’ultima volta che l’hai vista portava ancora le trecce!»
«Ma Papà!» Grete è leggermente arrossita, sorridendo al Conte che le si è avvicinato per baciarle la mano.
«Molto onorato, Fraulein. Lasciatemi dire che siete cresciuta bella e rigogliosa, un fiore germanico di rara bellezza.»
«Ah! Non lo stare ad ascoltare, figlia mia: dice così a tutte le fanciulle che conosce!» Nell’ilarità generale, Grete è ancora una volta arrossita, questa volta per il complimento del Conte. I tre entrano in casa e si dirigono nella sala da pranzo, dove una tavola imbandita di ogni bontà attende i commensali. «Ditemi, Fraulein, siete mai stata in Ungheria?»
«Purtroppo non ancora. So che la vostra Buda-Pest è una città meravigliosa.»
«Oh sì! Lo è. Suvvia, Albert, regala a tua figlia un bel viaggio in Ungheria!»
«Non ci penso neanche! È già abbastanza difficile tenerla d’occhio qui: non potrei stare tranquillo sapendola in mezzo a tanti magiari bellimbusti come te!» Una sonora risata da parte dei due uomini provoca un leggero imbarazzo in Grete che si riprende subito: «Dopo cena, mi piacerebbe suonare per voi, Conte Andrássy»
«Non potrei chiedere di meglio. Che strumento suonate?»
«Il pianoforte. Spero sia di vostro gradimento.»
«Come potrebbe non esserlo? Non vedo l’ora di ascoltarvi, mia cara»
ore 22.00
Grete è al pianoforte: le mani le tremano un po’ per l’emozione; suo padre e il Conte sono seduti in due delle comode poltrone del salone. Gyula la sta osservando: avrà circa vent’anni, un incarnato chiaro e luminoso, occhi verdi, capelli di un biondo dorato, fisico asciutto ma morbido ed elegante, bella voce, delicata e calda.
«Potrei chiedervi di eseguire un brano di Chopin? É un compositore che amo molto»
«Vi accontenterò con piacere, Conte. Eseguirò uno dei miei Notturni preferiti.» Con il cuore che le batte ad un ritmo più sostenuto di quanto le circostanze consentirebbero, Grete posiziona le mani sui tasti e, inspirando profondamente, inizia a suonare, percependo su di sé gli occhi del Conte. Le note si susseguono, creando un’atmosfera incantevole, mentre l’Ambasciatore sonnecchia senza nemmeno provare a nasconderlo. Al termine dell’esecuzione, Grete resta un attimo immobile di fronte ai tasti silenziosi, ma il Conte rompe la quiete e il sonnellino di Meyer con un battito di mani ed una esclamazione: «Sono oltremodo impressionato, Fraulein! Siete bravissima! Albert, svegliati un po’, vecchio mio! Non avevo idea che tua figlia fosse un tale gioiello di fanciulla!»
«Io si, invece! Pertanto mi permetto di distrarmi ogni tanto. Ma ora l’età mi impone di raggiungere il mio letto. Buonanotte, amico mio. La carrozza è fuori che ti attende, spero di rivederti presto»
Dopo una amichevole stretta di mano, l’Ambasciatore si dirige verso la scalinata che porta al piano superiore. Gyula e Grete restano soli per qualche minuto: «Ho passato una bellissima serata, Fraulein.» Il tono di voce del Conte è basso e suadente, come sempre di fronte al gentil sesso, e prende la mano di Grete tra le sue, portandola alle labbra.
«Vi auguro una notte serena…» Grete è visibilmente emozionata e, con un timido cenno del capo, saluta dicendo: «Buonanotte, Conte Andrássy» Seguendo con lo sguardo la figura del Conte che sale in carrozza, Grete sorride arrossendo e si appresta a trascorrere una notte popolata di sogni romantici, forse.
13 giugno 1878
ore 9.00
I lavori del Congresso internazionale di Berlino sono ufficialmente iniziati: tutti i congressisti hanno preso posto e, una volta terminato il brusio iniziale, il Ministro Andrássy prende la parola in francese, lingua scelta per i lavori. «Onorevoli e stimati colleghi, nel ringraziare per la inappuntabile ospitalità l’Imperatore Guglielmo, cui va il nostro rispettoso saluto, propongo di nominare il Cancelliere Von Bismarck, Presidente del Congresso.» Mozione approvata all’unanimità e primo applauso bene augurante. In realtà, questa è solo una prima sessione esplorativa: le negoziazioni entreranno nel vivo il giorno seguente e si è previsto un numero tra dieci e tredici sedute plenarie per giungere alla redazione del Trattato. Il Conte spera siano molte meno, ma è consapevole che gli interessi in gioco non permetteranno soluzioni veloci o superficiali. Sono presenti per la Germania oltre a Bismarck, il segretario degli Esteri von Bülow; per l’Impero Austro-ungarico oltre ad Andrássy, Haymerle e Károly; per la Gran Bretagna il Primo Ministro Disraeli e il Ministro degli Esteri Salisbury; per la Russia Šuvalov e Gorčakov rispettivamente Ambasciatore e Cancelliere di Stato; per la Turchia il primo delegato di Costantinopoli Alèxandros Karathéodòris; per l’Italia il Ministro degli Esteri Luigi Corti; per la Francia il Ministro degli Esteri William Waddington.
Viene letto, discusso e approvato l’ordine del giorno per la assemblea plenaria del giorno successivo. Tutti i delegati si spostano ora nella grande sala per il banchetto inaugurale.
La prima giornata del Congresso si conclude senza accadimenti importanti e i partecipanti sono liberi di scegliere se rientrare al Castello o trattenersi con gli altri delegati. Il Conte è deciso a rientrare in stanza e lavorare un po’, prima di concedersi una bella notte di riposo. Appena giunto, un valletto gli porge un biglietto, è di certo stato scritto da una donna, il profumo che emana è inequivocabile e, aprendolo, anche la grafia non lascia adito a dubbi.
«Volevo ringraziarvi per i complimenti e per la bella serata. Vi aspetto a cena stasera. Grete.» Subito Gyula chiede carta e penna e scrive la risposta: «Sono io a ringraziarvi e a rinnovarvi i miei complimenti, ma temo di dover declinare il vostro invito. Porgete i miei saluti a vostro padre. Conte Gyula Andrássy.» Consegnandolo al valletto, dice: «Portatelo subito a Casa Meyer.» La destinataria del messaggio non nasconde la sua delusione, ma si ripromette di invitare nuovamente il Conte tra qualche giorno o forse c’è un altro modo per incontrarlo, da sola.
16 giugno 1878
ore 21.40
È stata una sessione molto faticosa, complessa dal punto di vista politico e impegnativa sotto il profilo personale: molte attese sono riposte nell’operato di Andrássy e la sua linea rischia di essere molto dura per alcuni delegati. Tutto ciò di cui ha bisogno ora è un bagno caldo e rilassante. Quando rientra nella sua camera al Castello, Bernàt è intento a sistemare nell’armadio gli indumenti appena riportati puliti e stirati. Prima del bagno però, sente la necessità di scrivere alla sua Sissi una lettera, e non il solito messaggio telegrafato che le invia tutti i giorni. Utilizzando carta e inchiostro a disposizione sullo scrittoio, procede:
Angelo mio adorato,
ho provato stasera il desiderio di scriverti più di qualche breve parola in un freddo telegramma, ed eccomi qui davanti a questo foglio bianco che mi parla della tua assenza. La tua assenza è il mio abisso e io mi vedo sprofondarci in caduta libera, ma senza paura perché so che quando avrò finito di precipitare sarò nelle tue braccia, le uniche che io brami e adori. Sono certo, mia adorata, e sii certa anche tu, che le ore, i giorni che ancora dobbiamo contare prima del nostro abbraccio sono meno numerosi di quelli che ci vedranno insieme.
Scrivimi, amor mio…le tue parole annulleranno la distanza e mi condurranno da te, dipingendomi il tuo viso, i tuoi occhi, le tue mani. È buio ormai e piove…quella pioggia sottile e dispettosa che a te piace tanto…sappi che ogni cosa mi parla di te e mi rammenta che tu esisti in me e al di fuori di me, intorno a me e ovunque io guardi.
Ora proverò a chiudere gli occhi e stringerti a me, accarezzandoti i capelli mentre ti sussurro “buonanotte…”
Ricorda che sono e sarò sempre il tuo ardente e innamorato
Gyula.
Chiusa e sigillata, la busta con la lettera viene affidata alla portineria che provvederà a spedirla in Ungheria con il primo treno del mattino seguente.
20 giugno 1878
ore 12.15
Il banchetto per i delegati è appena cominciato: non sono tutti presenti, ma il Conte questa volta ha pensato che parlare davanti ad una gustosa pietanza, con il delegato turco, potrebbe alleggerire le sue riserve sulla piega che stanno prendendo i negoziati: la questione della Bosnia potrebbe risolversi negativamente per la Turchia, ma Andrássy in questo momento sta parlando a Karathéodòris di un possibile accordo privato per mantenere intatti i diritti del Sultano. Al termine del pranzo, il Conte decide di fare due passi per tornare a Charlottenburg: la giornata è bella e soleggiata e invita a camminare all’aperto. Ad un tratto, una voce femminile pronuncia il suo nome alle sue spalle: «Conte Andrássy!» Gyula si volta, ritrovandosi a qualche passo dalla Signorina Grete. «Oh, buongiorno, Fraulein! Che gradevole sorpresa…» Il baciamano è d’obbligo.
«Siete in giro con vostro padre?»
«No, no. Mio padre è a casa e, in verità, è proprio il caso che ci torni anche io.»
«Posso avere l’onore di accompagnarvi? È una bella giornata ed è così piacevole camminare per la vostra splendida città.» «Ne sarei lieta, Conte. Dopo tutto non allungherete di molto il vostro percorso.»
«Non sarebbe affatto un problema, Fraulein.»
Procedono fianco a fianco, parlando del tempo e di musica, Grete non riesce a sottrarsi al fascino magnetico del Conte e quando lui è distratto, gli riserva sguardi curiosi e rapiti. Giunti davanti a Casa Meyer, Grete lo invita ad entrare.
«Mi farà piacere vedere vostro padre: mi tratterrò giusto il tempo di stringergli la mano.» Entrando in casa, Grete si toglie il cappellino e chiede al maggiordomo di andare a chiamare l’Ambasciatore.
«É uscito poco fa, Fraulein Grete. Mi ha detto di riferirvi che non pranzerà in casa, oggi.»
«Oh, beh! Questa è bella! Io torno apposta per pranzare con lui e lui se la svigna!» con una leggera nota di imbarazzo nella voce, dice: «Mi fate compagnia voi, Conte?»
«Mi vedo costretto a rifiutare ancora, Fraulein: ho appena finito di pranzare con i delegati e ho del lavoro che mi aspetta. Sono davvero spiacente.»
«Dispiace anche a me, Conte Andrássy. Arrivederci, allora»
È stata fin troppo sfrontata, e salutando il Conte sulla soglia, assume un’espressione seria e pensosa.
28 giugno 1878
ore 10.45
I lavori sono cominciati di buon mattino: i delegati sono quasi tutti tesi ed esausti dal protrarsi delle sessioni. Come era stato ampiamente previsto dal Conte, dieci sedute plenarie non sono bastate ad analizzare e dare una risposta a tutti i quesiti sul tavolo. Restano ancora da affrontare le questioni legate ai territori come la Serbia e il Montenegro, la Romania, l’Asia Minore e l’Italia. Nessuno sa quanto sarà necessario andare avanti, ma certamente nessuno intende lasciare Berlino prima di aver ottenuto compensi per i sacrifici richiesti. I toni si accendono nel momento in cui si parla dell’occupazione della Bosnia da parte dell’Austria e il Ministro italiano, Corti, chiede spiegazioni. Il nervosismo in sala cresce e Andrássy è costretto ad essere drastico nei confronti del delegato italiano che, infine, lascia la sala indignato.
Una sessione per alcuni versi drammatica era anch’essa prevedibile, ma tutti sperano che la prossima assemblea potrà rendere i delegati più consapevoli che ciò a cui si sta lavorando non è solo un’assegnazione strategica di territori, ma soprattutto una base di partenza per una stabilità maggiore dell’Europa. La seduta è aggiornata al giorno dopo, meglio far calmare gli animi. Bernàt è fuori dal palazzo della Cancelleria ad attendere il Conte, deve consegnargli una lettera arrivata da Gödöllo. Gyula la infila nella tasca interna della giacca e con il suo fido segretario si incammina verso Charlottenburg. Nella sua stanza si mette subito in libertà: si toglie la giacca, non prima di aver posato la lettera sullo scrittoio, si sbottona appena la camicia bianca e si avvicina alla finestra, sfilando il foglio di carta giallo pallido dalla busta:
Mio amore lontano,
vorrei trovare le parole con le quali farti comprendere almeno una parte delle emozioni che abitano il mio cuore in questi giorni. Sapere di portare in grembo la nostra creatura è per me una gioia indicibile e solo questa mi impedisce di soffrire della tua mancanza. Non avrei mai, mai nella vita creduto di poter giungere così vicino alla felicità, tanto da temere di bruciarmi o che le mie ali si sciolgano al sole. So che questo non accadrà perché TU sei il mio sole e io percepisco il tuo calore e la tua forza anche da lontano, e grazie ad essa non temo nulla. Divento ogni giorno un po’ più forte e ogni giorno cresce in me la certezza che verrà il momento in cui non ci separeremo più. Quello che stai facendo per le nazioni europee è segno della tua grande onestà e del tuo enorme senso del dovere e mi rende orgogliosa e fiera di te.
Chissà se, quando tornerai, mi troverai cambiata! Ciò che non cambierà mai, invece, è il mio amore immenso per te…che è sempre qui, pronto ad avvolgerti e a tenerti stretto. Ti aspetto, amore mio.
Con tutto il mio cuore
Tua per sempre
Sissi
Chiude per un istante gli occhi, rincorrendo l’immagine di quella donna che lo ha stregato con i suoi occhi profondi, il suo temperamento deciso, la sua bellezza misteriosa e un po’ selvaggia. Forse per la stanchezza di quella giornata nervosa, Gyula si assopisce dopo essersi buttato sul letto in preda ad una leggera nostalgia. Cavalli selvaggi liberi per la campagna sterminata, Sissi che li ammira estasiata. Camminano insieme, mano nella mano, si scambiano baci leggeri e sorridono, ad un tratto Sissi grida, qualcuno sta puntando una pistola contro di lui, due colpi.
Gyula si desta di soprassalto e impiega qualche minuto prima di realizzare che erano solo immagini frutto della tensione e di un sonno agitato. È quasi ora di cena ormai e Bernàt è giunto a dirgli che hanno appena consegnato un pacchetto per lui.
«Chi lo ha mandato?»
«Nessuno sa dirlo, io temo che…»
«Lo sapremo subito, amico mio.»
Gyula apre la piccola scatola, all’interno della quale vede un fazzolettino di seta con una ‘G’ ricamata e un bigliettino scritto con grafia nota che recita:
Piacevole incontro Goethe
Nell’ampia cappa avvolto fin al mento,
prendevo la via tra le rocce, aspra e grigia,
e poi giù per i prati invernali,
l’animo inquieto, disposto alla fuga.
D’un tratto, il nuovo giorno si spogliò del vel:
giunse una fanciulla, bella come il cielo,
perfetta come quelle donne leggiadre
care ai poeti. La mia ansia s’acquietò.
Ma sviai il passo e la lasciai andare,
mi strinsi più forte nelle pieghe,
come per difendermi nel mio calore.
Eppure la seguii. Mi fermai. Era accaduto!
Nella mia veste non potei più celarmi,
la gettai via. E ci fu lei tra le mie braccia
«Puoi dormire sonni tranquilli, Bernàt: è solo l’omaggio di una ragazzina infatuata.»
«Ne sono lieto, Eccellenza.»
«Davvero? Io avrei preferito un altro proiettile!» Inutile nascondere a sé stesso e alla propria vanità una leggera soddisfazione, ma il malinteso va senza dubbio chiarito.
2 luglio 1878
ore 12.05
Le sessioni del Congresso diventano sempre più pesanti: siamo a quindici e ancora non si è arrivati alle conclusioni. Tra incontri privati con i delegati, pranzi e cene, il Conte non ha ancora trovato il tempo per parlare con la signorina Grete. Stasera sarà finalmente libero da altri impegni e potrà fare visita all’Ambasciatore. In effetti, ha incaricato Bernàt di portare personalmente a Casa Meyer un suo biglietto con l’annuncio della sua visita in serata. Inutile descrivere lo stato di eccitazione della fanciulla in risposta alla frase «Verrà il Conte Andrássy stasera, Grete cara.», tanto che l’Ambasciatore ha ritenuto opportuno ragguagliarla sulla fama del Conte: «Figlia mia, sebbene io abbia sempre ammirato il suo spirito indomito, non posso negare che abbia una discutibile reputazione: è stato un rivoluzionario e un dongiovanni. Ha sedotto più donne di quanto sia lecito immaginare! Non è certo l’uomo per te.» E come sempre accade quando i padri desiderano mettere in guardia le proprie figlie dall’uomo che potrebbe significare la loro rovina, la dolce fanciulla ne è già innamorata.
Ore 20.15
«Il Conte Andrássy.» annuncia il maggiordomo di Casa Meyer. Grete si precipita allo specchio per controllare che l’acconciatura sia a posto, le labbra e le guance adeguatamente colorate. L’Ambasciatore non è per nulla tranquillo nell’osservare l’irrequietezza della giovane e spera che avrà il buon senso di non rendersi ridicola.
«Buonasera, amico mio. Buonasera Fraulein.» Grete gli è andata incontro tendendo la mano e ha ricevuto un baciamano educato ed uno sguardo indifferente. Durante la cena, i due uomini hanno parlato quasi esclusivamente della situazione politica della Germania e dunque Grete non ha avuto molte occasioni di parlare con il Conte; se si fossero potute vedere le sue gambe sotto il tavolo, si sarebbe notato il nervosismo e l’inquietudine che le agitavano, e non poco. Al termine del pasto, Grete chiede il braccio al Conte per recarsi nel salone dove il pianoforte fa bella mostra di sé. Per stasera ha scelto il “Sogno d’amore” di Liszt e si appresta ad eseguirlo con tutto il trasporto possibile. Dopo le prime note, l’Ambasciatore sonnecchia appesantito dalla digestione, e Gyula coglie l’occasione per avvicinarsi al piano e lasciare che Grete termini l’esecuzione prima di parlarle. Il cuore della ragazza è in tumulto, averlo così vicino le rende difficile perfino respirare. Al termine del brano, Gyula si guarda bene dall’applaudire, si siede sullo sgabello del pianoforte accanto a Grete e dice a voce bassa: «Siete una fanciulla molto graziosa e una eccellente pianista. Sono certo che avrete uno stuolo di giovanotti a farvi la corte!»
«A me non interessano i giovanotti…»
«Ah no? E perché mai?»
«Mi interessano maggiormente gli uomini maturi…» Quella vicinanza la scombussola ma la rende audace. Volta il capo verso destra ritrovandosi così a pochi centimetri dalle labbra dell’affascinante Conte.
«Fraulein Grete, non sapete quello che dite. Siete troppo agitata in questo istante.»
«Pensate che io sia solo una sciocca ragazzina infatuata? Ebbene vi sbagliate! So bene quel che dico e quel che voglio!» Fissa negli occhi il Conte per un lungo istante.
«Se pensate che io sia l’uomo giusto per voi, state commettendo un errore enorme.» Il tono di voce di Gyula è dolce e comprensivo «Vi prego di credermi.»
«Ma io… io vi amo.»
«No, non è così. Voi amate l’idea di avere un uomo, ma non sono io quello che vi renderà felice.»
«Siete crudele, Conte.»
«Devo esserlo, Grete. Vedete, il mio cuore appartiene ad una donna meravigliosa che amo con tutto me stesso.» A queste parole, il viso di Grete si è come pietrificato, il respiro sospeso per un attimo, lo sguardo perso nel vuoto. «Mi dispiace, mia cara, volete che vi porti un bicchiere d’acqua?»
«No, Conte, grazie.» In quel momento, l’Ambasciatore si è ridestato e aprendo gli occhi ha visto il Conte allontanarsi rapidamente verso l’ingresso e Grete immobile al pianoforte, persa chissà in quali pensieri.
Tornato a Charlottenburg, Gyula sente il pressante bisogno di scrivere alla sua amata:
Mia adorata,
ho appena riletto la tua lettera, dirti l’emozione profonda che ha scosso il mio animo è una impresa impossibile. Ogni parola, ogni sillaba sono gocce di felicità nel mare del mio sentimento, profondo e irrequieto. La mia anima trabocca di un mare di sensazioni che mi scuote e mi possiede. Sono in balia dei tuoi occhi, così lontani eppure presenti, sono portato al largo dal tuo abbraccio, così distante eppure così caldo.
Sapere che la nostra creatura cresce dentro di te e ti aiuta a trovare la serenità di cui hai bisogno è per me una grande gioia ma, allo stesso tempo, acuisce la voglia che ho di tenerti nelle mie braccia, vuote e pesanti senza te.
Se Dio vorrà, le trattative saranno presto concluse e io tornerò a te, al tuo volto, alle tue mani, al tuo grembo.
Ti prego, angelo mio, sii prudente, che io non abbia ad aggiungere ulteriore pena a quella che provo quotidianamente per averti lasciata.
Sappi che ti ho sempre nel mio cuore e che sono e sempre sarò il tuo appassionato e innamorato
Gyula.
7 luglio 1878
ore 18.00
Si è da poco conclusa la più lunga sessione plenaria dall’inizio del Congresso: caffè e tè si sono versati a fiumi, così come le parole, ma alla fine i delegati, forse non tutti, possono dirsi soddisfatti. Alcune delle questioni più spinose hanno trovato una soluzione condivisa ma la crisi interna al Governo tedesco turba e non poco lo svolgimento delle trattative. La giornata si conclude con il ritorno a Charlottenburg di tutti i delegati, desiderosi di riposo e quiete.
10 luglio 1878
ore 9.00
Viene letto l’ordine del giorno: fortunatamente è piuttosto esiguo, visto che ormai restano ancora da risolvere i problemi legati all’accesso e al possesso dei porti principali dell’Asia Minore, i cui contendenti, la Russia e la Gran Bretagna, stanno inasprendo i toni della discussione.
13 luglio 1878
ore 12.30
«Stimati colleghi delegati, siamo giunti oggi, dopo un cammino faticoso e complicato, al termine di questo Congresso. Tutto ciò che era nei nostri ambiziosi progetti ha trovato la sua realizzazione in questo trattato che tra poco saremo chiamati a firmare. È mia ferma convinzione che le conclusioni del nostro lungo lavoro non sono che l’inizio di un percorso politico che le nostre nazioni si impegnano a compiere per il bene dei nostri popoli e delle generazioni future: a loro va il nostro pensiero quando studiamo le carte geografiche dei nostri Stati e per loro il nostro impegno deve essere instancabile, perché possiamo consegnare nelle loro mani il seme di un’Europa più giusta e più unita. Grazie a tutti.»
Il discorso conclusivo del Ministro Andrássy viene applaudito a lungo, seguono molte strette di mano e qualche commento ironico e seccato, soprattutto da parte dei delegati russi e italiani. Il saluto finale spetta al Cancelliere Bismarck il quale, con evidente soddisfazione, sottolinea l’importanza cruciale del Congresso appena concluso per la scongiurata crisi europea che avrebbe potuto scatenare una guerra mondiale. Si procede dunque con le firme e con le finali strette di mano a suggellare il trattato.
È una splendida giornata a Berlino: il Conte ha già dato disposizioni a Bernàt di preparare i bagagli e ora si accinge a lasciare la Cancelleria per recarsi camminando a Charlottenburg, col cuore già in volo verso la sua amata. Ha già varcato il cancello e lo sguardo si volge al cielo terso e azzurro di questa giornata. Alcuni delegati gli passano accanto, salutandolo cordialmente ed egli risponde con una poderosa stretta di mano e il suo più classico sorriso. Rimasto solo, si volta a sinistra per incamminarsi ma, senza avere il tempo di rendersi conto di ciò che accade, due colpi di rivoltella vengono esplosi contro di lui e in un attimo si trova in terra, sanguinante e privo di sensi. Alcuni impiegati della Cancelleria hanno sentito gli spari e sono subito corsi fuori trovandosi dinanzi il Conte Andrássy ferito e in stato di incoscienza. Immediatamente viene mandato a chiamare il medico personale di Bismarck, il quale ordina subito di portare il Ministro all’interno dell’edificio, dove potrà essere soccorso. Lo sconcerto e lo stupore per ciò che è avvenuto lascia tutti attoniti: chi può aver fatto un gesto simile? I gendarmi di guardia all’esterno della Cancelleria hanno visto la persona che ha sparato: d’altro canto, non era distante dal Ministro e si sono precipitati a bloccarla, ma una volta fatto ciò hanno assistito anche alla fuga attraverso il giardino di Wilhelmstrasse di qualcun altro che non sono riusciti a fermare. La persona che ha sparato viene portata al cospetto del Cancelliere: «Vi rendete conto di ciò che avete fatto? Cosa vi ha spinto a sparare al Ministro Andrássy?»
La giovane non parla, è in preda ad un pianto disperato e si contorce nella consapevolezza della follia compiuta. Naturalmente, tutti la riconoscono: è la figlia dell’Ambasciatore Meyer. Le ferite del Conte vengono analizzate scrupolosamente dal medico: un proiettile ha colpito il braccio destro, ferendolo di striscio, mentre del secondo si vede un foro d’entrata all’altezza dell’ultima costola. Con la massima delicatezza, il medico cerca il foro d’uscita e lo trova poco più su del rene sinistro. Il medico dunque tranquillizza i presenti sulle condizioni di salute di Andrássy e consiglia il ricovero in ospedale.
«È assolutamente fuori discussione! Curatemi le ferite e mettetemi in condizione di viaggiare: devo tornare al più presto in Ungheria! Avete preso il pazzo che mi ha sparato?» Un notevole imbarazzo regna tra i presenti: tutti hanno visto la figlia dell’Ambasciatore sconvolta, con la rivoltella ancora tra le mani. In quel momento il Cancelliere Bismarck si fa largo tra gli astanti e chiede a tutti di allontanarsi per poter parlare con il Ministro. Mentre il medico si sta occupando delle ferite, il Conte domanda, non senza una smorfia di dolore: «Allora, chi è stato? Voglio vederlo penzolare dalla forca!»
Nonostante il Cancelliere sia un uomo anziano e non nuovo a questo tipo di esperienze, è anch’egli perplesso e dubbioso: «Ministro Andrássy, voi conoscete la figlia dell’Ambasciatore Meyer?»
«Si, certo… ma cosa ha a che fare questo con ciò che è accaduto?» Dopo un momento di silenzio, Bismarck dice: «È stata lei.»
«Cosa? Di cosa parlate?»
«Vi ha sparato lei, Conte»
Lo sbigottimento negli occhi di Gyula è evidente: se non fosse stata una persona così autorevole a comunicargli la notizia, avrebbe pensato ad uno scherzo, certo di pessimo gusto. Il pensiero va al suo amico Albert e a quella fragile fanciulla e poi subito a Sissi. Prega il Cancelliere di fare in modo che nessuno faccia trapelare nulla riguardo all’incidente: «Dobbiamo proteggere la signorina Grete e, per quanto mi riguarda, non voglio che nemmeno alla Hofburg sappiano nulla: è stato un malaugurato incidente…»
CAPITOLO 35
“È la volontà che fa l’uomo grande o piccolo.”
Friedrich Schiller
È il viaggio di ritorno più strano che possa mai aver immaginato: è ferito e dolorante, ma non è mai stato così fiducioso per l’avvenire, anche se sta recandosi a corte per rassegnare le sue dimissioni da Ministro degli Esteri dell’Impero e ritirarsi definitivamente dalla scena politica internazionale, risvolto impensabile fino a qualche mese addietro. Il Trattato di Berlino non è l’unico documento che l’Imperatore ratificherà: ce n’è uno di diversa natura che al Conte interessa maggiormente. Sissi è stata avvisata che il Congresso è terminato e che il Ministro Andrássy si sta recando alla Hofburg per espletare le ultime formalità con l’Imperatore. L’attesa le sta creando una sottile ansia, ma Gyula, nella sua ultima lettera la ha rassicurata, anticipandole la certezza che Franz non avrebbe rifiutato di firmare l’accordo. Questa è l’ultima volta che varcherà la soglia di questo palazzo, è l’ultima volta che si sentirà un suddito, è l’ultima volta che vedrà Franz come un rivale in amore. L’intero consiglio imperiale attende Andrássy per ascoltare dalla sua voce gli articoli del Trattato e per esprimergli tutta la soddisfazione per il lavoro svolto: per l’Imperatore non è proprio così, non è esattamente il finale che aveva desiderato e preparato. Dopo il plauso dei consiglieri, Franz Joseph chiede di essere lasciato solo con il Ministro: «Immagino abbiate qualcosa di dirmi.» «Avete ragione, Vostra Maestà. Mi rincresce che qualcuno abbia scombinato i vostri piani: come vedete sono vivo e vegeto!» L’espressione di Franz è una maschera di rabbia e silenzio.
«Ho deciso che Sissi non saprà mai che mi volevate morto e questo perché non voglio che vi serbi rancore. Naturalmente nessun altro sarà messo al corrente dei vostri piani criminosi, tutto ciò, a patto che firmiate questo documento – Gyula, nonostante il dolore della ferita sia ancora acuto, tira fuori, senza scomporsi, un foglio ripiegato in tre dalla tasca interna della giacca. – Con questo accordo, Elisabetta rinuncia al suo titolo imperiale e a tutti i privilegi ad esso legati. Riprenderà il titolo che le spetta per nascita, cioè quello di Duchessa in Baviera. Per Vostra parte, Voi rinunciate ad ogni diritto coniugale, riservandovi di sciogliere il vincolo matrimoniale quando lo riterrete opportuno. Contestualmente, io presento le mie dimissioni da Ministro degli Esteri, ben consapevole di aver reso il miglior servizio che potessi all’Impero e di aver ottenuto per esso le migliori condizioni possibili con il Trattato».
Franz ha lo sguardo fisso sul foglio: quell’accordo misura la volontà di due uomini e la loro determinazione in rapporto al potere più indiscutibile al mondo. «Nemmeno un Asburgo può vincere sempre»
È quasi buio a Gödöllő: Sissi cerca di rendere meno inquieta l’attesa leggendo in biblioteca, anche se non sa nemmeno che libro ha tra le mani e lo sguardo vaga tra parole a caso sulle pagine e la finestra. L’orologio ha appena battuto le otto quando un distinto fragore di ruote e scalpitio di zoccoli fa balzare Sissi in piedi. Eccola precipitarsi fuori dalla stanza e chiamare: «Ida! Ida! Eccolo! È lui! È tornato!»
«Finalmente, Maestà! Non vi agitate. Lo faccio salire subito.» «No! Voglio che mi veda subito, scendiamo!» La carrozza ha appena varcato l’ingresso del Castello e si è fermata nel grande androne. Sissi è ai piedi della grande scalinata ed è la prima persona che Gyula vede al suo arrivo. Abbracciandolo con tutta la sua gioia, Sissi si accorge subito che il Conte non sta bene.
«Amore, che cos’hai?»
«Andiamo nella nostra camera, tesoro mio, ho bisogno di parlarti. Dio quanto sei bella!»
Giunti al piano superiore, nella loro alcova, Gyula bacia ardentemente la sua donna, un bacio che ha il sapore della vittoria e del conforto, della tensione che si allenta, lasciando il posto al calore e al ristoro del cuore. «Quanto mi sei mancata, amore mio. A volte mi sembrava di soffocare»
«É passato, mio caro, ora sei qui…con me. Cosa c’è che non va? Stai male?»
Gyula si allontana da Sissi guardandola negli occhi e le dice: «Siediti, devo raccontarti che cosa è accaduto a Berlino.»
Sissi si è seduta sul bordo del grande letto e, con le mani in grembo ed un’espressione tra il curioso e il preoccupato, si pone in ascolto. Gyula parla camminando su e giù per la stanza, ma ad un tratto si ferma davanti a Sissi dicendo: «Non so perché abbia frainteso, ti assicuro che non le ho dato modo di illudersi, anzi! Le ho detto chiaramente che il mio cuore appartiene ad una donna meravigliosa. Forse la sua giovane età la rende troppo sensibile. Insomma, l’ultimo giorno del Congresso mi ha atteso fuori dalla Cancelleria e mi ha sparato.» Sissi si è portata le mani al viso: «O mio Dio! Dove ti ha ferito?» Gyula chiede a Sissi di aiutarlo a sfilarsi la giacca, poi lei gli sbottona la camicia, fino a scoprire la vistosa fasciatura intorno al torace e quella più piccola intorno al braccio. Le fa una profonda impressione vedere il corpo del suo splendido cavaliere così vulnerabile, oltraggiato e leso. «Ho rischiato di perderti, oh Dio!» Gyula abbraccia Sissi nonostante il dolore.
«Sono qui, angelo mio. Non mi hai perso, non mi perderai mai»
«Cosa ne sarà di lei?»
«Non lo so, ho chiesto che sia messo tutto a tacere, mi dispiace tanto per il caro Albert»
«Sì, hai fatto bene.» Si guardano per un lungo istante.
«Ora basta, Duchessa, voglio vedere il tuo splendido sorriso.» Sissi lo fissa per un attimo senza parlare, poi dice: «Vuoi dire che Franz ha accettato?»
«Sì, amore mio: la nostra vita insieme è appena cominciata»
Sissi getta le braccia al collo del suo uomo il quale, seppure sofferente, ricambia quello slancio appassionato. «Possiamo andare dovunque tu voglia. Anche se io un’idea ce l’ho già…» «Dimmi!»
«Andiamo a Santorini, la nostra isola. Partiamo subito, prima che per te diventi troppo pericoloso. Nostro figlio nascerà al sole, sul mare, in una terra di eroi e di sapienti, immerso nella bellezza e nell’amore, che ne dici?»
«Dico che è una bellissima idea, Conte»
«Ne sono felice, Duchessa».
PER DOVERE DI CRONACA
Care lettrici, gentili lettori,
ho riservato per questa pagina finale alcuni dettagli della storia che vi interesserà conoscere. Per dovere di cronaca, appunto, è bene sappiate che il giovane scappato ai gendarmi nel giardino di Wilhelmstrasse fu intercettato da Bernàt, che, in un vero e proprio slancio eroico, gli si gettò addosso, avendo sentito gli spari, mentre a piedi si dirigeva verso la Cancelleria. Il potenziale assassino confessò, dietro un’insistenza che definirei ‘persuasiva’ del Conte e del suo fido segretario, di aver ricevuto il compito di colpire a morte il Ministro direttamente dall’Imperatore. Il Conte, dopo un’attenta riflessione, decise che avrebbe rimandato a Vienna il suo carnefice con un messaggio per l’Imperatore che recitava più o meno così:
“Meglio arrendersi ad un avversario tenace che provocare una risposta imprevista del destino.
Ci vedremo a Vienna.
Conte Gyula Andrássy”
Il Conte avrebbe anche voluto ricompensare Bernàt con una medaglia, ma come avete appreso, il ferimento rimase un segreto. La povera Grete si riprese dallo shock e fece recapitare al Conte e alla Duchessa una lettera con la sua richiesta di perdono, prontamente concesso. E i nostri innamorati? Secondo il desiderio di Gyula, si imbarcarono per l’incantevole isola greca di Santorini, dove si sposarono secondo il rito ortodosso, avendo Sissi ottenuto lo scioglimento del vincolo matrimoniale. La Duchessa diede in seguito alla luce un bellissimo maschietto per il quale scelsero il nome Alexandros. Vissero lontani dalle corti e dai clamori, amandosi con semplice e pura passione. Per ciò che mi riguarda, se siete giunti fin qui, è giusto che io vi ringrazi: la vostra attenzione è la ricompensa migliore che io possa desiderare.
Vivete felici.